Integra il delitto di calunnia la denuncia con la quale si rappresentino circostanze vere, astrattamente riconducibili ad una determinata figura criminosa, celando, però, consapevolmente la concorrenza di una causa di giustificazione, la cui presenza priva di tipicità il fatto rendendolo insussistente e, quindi, non punibile, con la conseguenza che la condotta di denuncia del reato presupposto si risolve in una falsa e consapevole incolpazione di una persona che si sa essere innocente, configurando pienamente la fattispecie incriminatrice per la doppia offesa inferta all’interesse dello Stato alla corretta amministrazione della giustizia e al diritto all’onore e alla libertà del soggetto privato falsamente accusato
CORTE DI CASSAZIONE
SEZ. III PENALE
SENTENZA 12 settembre 2017, n.41562
Pres. Amoresano – est. Di Nicola
RITENUTO IN FATTO
E’ impugnata l’ordinanza con la quale il tribunale del riesame di Roma, in riforma del provvedimento applicativo della misura della custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Civitavecchia, ha sostituito la misura di massimo rigore con quella degli arresti domiciliari in relazione ai reati previsti:
(capo a) dall’art. 572 c.p. e art. 61 c.p., n. 11-quinquies perchè il ricorrente sottoponeva a maltrattamenti la nuora, alla presenza della figlia minore, minacciandola quotidianamente di morte, spintonandola, insultandola e ponendo in essere la condotta descritta al successivo capo b);
(capo b) dagli artt. 56 e 609-bis c.p. perchè, afferrando per il petto la nuora, inseguendola mentre la stessa cercava di allontanarsi, dicendole ‘aspetta brutta mignotta che te devo finì di ammazzà… tanto ndovai’, colpendola e facendola rovinare in terra, afferrandola per i pantaloni e sfilandoglieli parzialmente, poneva in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere la vittima a subire atti sessuali;
capo c) dall’art. 582 e art. 585, comma 1, in relazione all’art. 576, comma 1, n. 2 e art. 576, comma 1, n. 5, perchè, al fine di commettere il reato di cui al capo b) colpendo la nuora tanto da farla rovinare in terra, le cagionava lesioni personali consistite in ‘trauma alla spalla destra, anca destra e ginocchio destro, caviglia destra, trauma cranico minore’ giudicate guaribili in giorni sei;
d) dell’art. 368 c.p. perchè, con denuncia – querela presentata presso il commissariato di pubblica sicurezza di Civitavecchia in data 14 febbraio 2017, dichiarava di essere stato ‘immotivatamente e improvvisamente’ colpito con un tubo di ferro dalla nuora e con calci al torace e all’addome, tanto da subire lesioni personali, omettendo di riferire di aver per primo aggredito la donna afferrandola per il petto, inseguendola mentre la stessa cercava di allontanarsi, dicendole ‘aspetta brutta mignotta che te devo finì di ammazzà… tanto ndovai’, colpendola e facendola rovinare in terra, afferrandola per i pantaloni e sfilandoglieli parzialmente, cagionando alla medesima le lesioni personali descritte al capo c), incolpando pertanto la nuora di un reato sapendola innocente atteso che questa aveva commesso il fatto per legittima difesa.
Per l’annullamento dell’impugnata ordinanza il ricorrente, tramite il difensore, articola un unico complesso motivo di gravame, qui enunciato ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso il ricorrente denuncia il vizio di motivazione per illogicità, contraddittorietà del sostegno razionale della decisione impugnata nonchè l’omessa valutazione delle doglianze difensive con conseguente generico riferimento alle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato e il conseguente vizio di travisamento del fatto (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Afferma che, in sede di riesame e, ancor prima, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, aveva sottoposto al vaglio dei giudici cautelari diverse doglianze che non hanno ricevuta adeguata e sufficiente risposta in termini di diritto.
Nella memoria difensiva era stata eccepita preliminarmente la nullità, ex art. 292 c.p.p., comma 2, lett. b), c) e c-bis, e comma 2-ter, dell’ordinanza impugnata, senza che il tribunale della libertà avesse adeguatamente motivato in proposito.
In sede di riesame, era stato anche denunciato l’omesso difetto motivazionale nella parte in cui il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Civitavecchia non aveva preso in considerazione gli elementi forniti dalla difesa in occasione dell’interrogatorio di garanzia, soprattutto sotto il profilo dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati contestati.
Tale difetto motivazionale non sarebbe stato colmato dal tribunale del riesame.
In particolare, era stata eccepita l’inconfigurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia per l’assenza di un rapporto di convivenza tra l’indagato e la vittima.
Quanto al reato di tentata violenza sessuale, invece, il tribunale del riesame non avrebbe preso in alcuna considerazione la prospettazione difensiva che sollecitava i giudici di merito ad attenersi ai principi affermati in casi analoghi dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso dell’obbligo da parte del giudice di avere riguardo, nella valutazione della vicenda specifica, ad un approccio interpretativo di tipo sintetico al fine di stimare l’elemento oggettivo del reato e stabilire, per l’effetto, l’intero contesto nel quale il contatto tra i due protagonisti si era verificato, pervenendo a ritenere o meno sussumibile il fatto storico nella fattispecie incriminatrice contestata di tentata violenza sessuale.
Il Collegio cautelare avrebbe invece del tutto travisato i fatti in quanto la visione del video, allegato al fascicolo di indagine, rendeva evidente una realtà dei fatti totalmente diversa da quella ricostruita dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Civitavecchia e dal tribunale della libertà di Roma:
(a) la donna non aveva agito in uno stato di legittima difesa ma aveva volontariamente aggredito il ricorrente;
(b) quest’ultimo, a fronte della istigazione della nuora, si avvicinava alla stessa che iniziava a sferrare dei calci che colpivano l’indagato il quale, al quarto colpo, riuscì ad afferrare la gamba della donna, cadendo entrambi per terra;
(c) in tale frangente, la donna cinse l’indagato con le proprie gambe e alla sua testa e, durante la violenta lite, alla donna scesero i propri pantaloni di qualche centimetro fin sotto al gluteo, senza che l’indagato entrasse in contatto con le parti intime della vittima, con la conseguenza che sarebbe del tutto inconfigurabile il reato di tentata violenza sessuale non avendo l’indagato compiuto alcun atto inteso a palpeggiare o a raggiungere le parti intime della vittima durante la colluttazione.
Stabilito, dunque, che la colluttazione, secondo l’assunto del ricorrente, fu caratterizzata da momenti di inaudita violenza innescati dalla condotta della presunta parte offesa, tanto il reato di tentata violenza sessuale quanto il reato di calunnia non sarebbero configurabili, venendo meno i gravi indizi di colpevolezza posti a fondamento della misura cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il tribunale della libertà ha premesso come il giudice delle indagini preliminari abbia adottato la decisione in conseguenza della denuncia – querela presentata dalla persona offesa, delle sommarie informazioni testimoniali rese dalle persone informate sui fatti e sulla base del referto di pronto soccorso attestante le lesioni patite dalla persona offesa, dando conto della abitualità delle condotte descritte nell’imputazione provvisoria e della loro finalizzazione nonchè della loro idoneità a cagionare sofferenze psichiche e a determinare un intollerabile regime di convivenza per la persona offesa, ricostruendo in modo puntuale la vicenda in esame.
Dopo aver riepilogato i fatti sulla base delle dichiarazioni rese dalla vittima, riscontrate da altre deposizioni e dal referto medico, come riportati nell’ordinanza cautelare, il tribunale del riesame ha osservato che, quanto al reato di maltrattamenti, la configurabilità della fattispecie incriminatrice richiede la presenza di una condotta abituale che si estrinsechi con più atti produttivi di sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, collegati nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa diretta a ledere l’integrità fisica o morale del soggetto passivo infliggendogli abitualmente tali sofferenze. Siffatta situazione sarebbe concretizzabile anche tra suocero e nuora ancorchè non conviventi.
Quanto alla gravità indiziaria in ordine ai reati provvisoriamente contestati ai capi b) e d), il Collegio cautelare ha osservato che la condotta posta in essere dall’indagato, come puntualmente descritta dalla vittima, aveva trovato riscontro nelle immagini tratte da un documento video, acquisito in atti, e nelle lesioni patite dalla vittima compatibili con la descritta dinamica dei fatti.
La condotta posta in essere dall’indagato è stata ritenuta diretta in modo non equivoco alla commissione del delitto di violenza sessuale sia dal punto di vista oggettivo (la cintura dei pantaloni era al di sotto delle natiche per effetto della condotta posta in essere dall’indagato che tentava di sfilare i pantaloni alla vittima mentre questa li manteneva con la mano sinistra) sia dal punto di vista soggettivo (per le parole pronunciate: ‘Ora la zoccola te la faccio fare io’), circostanze indicative, secondo il logico convincimento del tribunale del riesame, dell’intenzione dell’indagato di appagare i propri istinti sessuali. Parimenti è stata ritenuta configurata la calunnia sulla base della ricostruzione dei fatti operati dalla vittima, della visione dei filmati, emergendo da ciò che l’indagato aveva accusato la persona offesa pur sapendola innocente.
Al cospetto di tali risultanze, appare evidente come le doglianze del ricorrente, introducendo nelle censure apportate al provvedimento impugnato rilievi fattuali tendenti ad una diversa ed alternativa ricostruzione del materiale probatorio utilizzato in via cautelare, siano, in presenza di una logica ed adeguata motivazione, del tutto inammissibili e non consentite nel giudizio di legittimità.
Va infatti ricordato che, in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato (o ad altri atti del processo specificamente indicati nel ricorso), che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della decisione in sè e per sè considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è ‘geneticamente’ informata, ancorchè questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
Ciò vale anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per effetto della L. n. 46 del 2006, restando precluse al giudice di legittimità la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di diversi parametri di ricostruzione dei fatti e il riferimento, contenuto nel nuovo testo dalla norma citata, agli ‘altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame’ non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità, al quale rimane estraneo il controllo sulla congruità della motivazione in rapporto ai dati processuali (Sez. 5, n. 19855 del 22/03/2006, Blandino, Rv. 234095).
Rimanendo allora nell’ambito dell’indagine sul testo della ordinanza impugnata, resta da considerare che le doglianze sollevate con il ricorso si risolvono, nella sostanza, in rilievi che, sollecitando una diversa lettura del materiale probatorio, attingono il merito delle regiudicande cautelari, opzione non consentita nel giudizio di legittimità in quanto, secondo gli insegnamenti in proposito impartiti dalle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione, il vizio di motivazione, che risulti dal testo del provvedimento impugnato o (a seguito della novella apportata all’art. 606 c.p.p., lett. e) dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8) da altri atti del processo specificamente indicati nel ricorso, in tanto sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621).
Fermi allora i fatti, come ricostruiti dai giudici cautelari, restano dunque da esaminare esclusivamente le censure in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti stessi.
Esse sono infondate.
4.1. Quanto al reato di maltrattamenti, il tribunale cautelare ha correttamente applicato il principio di diritto secondo il quale il reato di maltrattamenti può essere commesso da qualsiasi membro della famiglia in danno di un altro, anche non convivente, purchè la relazione tra i due sia di intensità e caratteristiche tali da generare un rapporto stabile di affidamento e solidarietà reciproche (Sez. 2, n. 39331 del 05/07/2016, Spazzoli, Rv. 267915; Sez. 2, n. 30934 del 23/04/2015, Trotta, Rv. 264661; Sez. 6, n. 33882 del 08/07/2014, C., Rv. 262078).
Perciò il reato è configurabile anche nel caso, come quello in esame, di maltrattamenti posti in essere dal suocero in danno della nuora (in tal senso, anche Sez. 2, n. 30934 del 23/04/2015, cit.) dimoranti, nella specie, in appartamenti contigui, come si evince dal testo dell’ordinanza cautelare che integra in parte qua quella di riesame.
4.2. Quanto al reato di tentata violenza sessuale, è vero che la Corte regolatrice si è espressa nel senso che, in tema di atti sessuali, la condotta vietata dall’art. 609-bis c.p. è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell’aggressore, o a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, dell’intero contesto in cui il contatto si è realizzato e della dinamica intersoggettiva (Sez. 3, n. 24683 del 17/02/2015, V., Rv. 263881), ma il tribunale cautelare non si è discostato da questo principio avendo valorizzato, ai fini della valutazione circa l’idoneità e la univocità degli atti, le frasi utilizzate dall’aggressore dirette indubbiamente a mostrare una condotta finalizzata a compromettere la libertà sessuale della vittima.
Va infatti richiamato l’insegnamento nomofilattico secondo il quale l’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, sicchè non è necessario che detto atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri dell’agente nè rilevano possibili fini ulteriori – di concupiscenza, di gioco, di mera violenza fisica o di umiliazione morale – dal medesimo perseguiti (Sez. 3, n. 4913 del 22/10/2014, dep. 2015, P., Rv. 262470).
4.3. Quanto, infine, al delitto di calunnia, accertato in punto di fatto da parte dei giudici cautelari laddove è stato evidenziato che la vittima si era dovuta difendere per non soccombere all’aggressione altrui, osserva il Collegio come occorra dare continuità al principio di diritto secondo il quale integra il delitto di calunnia la denuncia con la quale, come nel caso di specie, si rappresentino circostanze vere, astrattamente riconducibili ad una determinata figura criminosa, celando, però, consapevolmente la concorrenza di una causa di giustificazione (Sez. 6, n. 1255 del 28/11/2013, dep. 2014, Pandolfi, Rv. 258006), la cui presenza priva di tipicità il fatto rendendolo insussistente e, quindi, non punibile, con la conseguenza che la condotta di denuncia del reato presupposto si risolve in una falsa e consapevole incolpazione di una persona che si sa essere innocente, configurando pienamente la fattispecie incriminatrice per la doppia offesa inferta all’interesse dello Stato alla corretta amministrazione della giustizia e al diritto all’onore e alla libertà del soggetto privato falsamente accusato.
Le precisazioni, che è stato necessario svolgere in diritto, rendono conclusivamente il ricorso infondato.
Pertanto, sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge
Leave a Reply