La violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto, non coincide con la perdita di chances connesse allo svolgimento di singole specifiche scelte di vita non potute compiere

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Deve pertanto ritenersi che le circostanze di fatto consistenti nella sopportazione di una condizione esistenziale di forte o rilevante dolore fisico (e dunque di materiale apprezzabile sofferenza) sin dal primo contatto con i convenuti, fossero state debitamente dedotte in giudizio dalle originarie attrici.
Proprio con riguardo a tali (incontestate) circostanze di fatto, le originarie attrici ebbero ad argomentare la rimproverabilita’ del comportamento colposo dei medici convenuti, per avere gli stessi compromesso – non avviando tempestivamente il paziente ai doverosi approfondimenti diagnostici -, non tanto (o non solo) l’evitabilita’ dell’evento letale, quanto (e soprattutto) le possibilita’ di un apprezzabile prolungamento della vita residua (quale possibile effetto di un’eventuale terapia avviata in epoca anteriore), o anche solo la qualita’ di tale ridotta prospettiva esistenziale, che non sarebbe stata certamente pregiudicata da una tempestiva (e dunque anteriore) conoscenza, da parte del paziente, delle proprie effettive e reali condizioni di salute.
7. Fermo il riscontro di tali puntuali allegazioni circostanziali (da ritenere, peraltro, altresi’ comprovate, ex articolo 115 c.p.c., trattandosi di fatti e circostanze nei cui confronti non risultano mai opposte, neppure in questa sede, specifiche contestazioni di controparte), occorre convenire con le ricorrenti principali la’ dove denunciano l’erroneita’ della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto indispensabile, al fine di procedere alla valutazione delle relative rivendicazioni risarcitorie, la specifica deduzione, da parte delle attrici, di quali sarebbero state “le scelte di vita del paziente, diverse da quelle che avrebbe adottato se non si fosse verificato l’evento dannoso”, non potendo accedersi a una considerazione in re ipsa del danno denunciato (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
8. Sul punto, osserva il Collegio come la corte territoriale sia incorsa in un evidente equivoco, atteso che il danno nella specie denunciato dalle attrici non puo’ in nessun modo farsi consistere nella perdita di specifiche possibilita’ esistenziali alternative, necessariamente legate alle particolari scelte di vita non potute compiere dal paziente (un discorso solo impropriamente, e in larga misura erroneamente, tradotto con l’equivoco richiamo al tema della perdita di chances), bensi’ con la perdita diretta di un bene reale, certo (sul piano sostanziale) ed effettivo, non configurabile alla stregua di un quantum (eventualmente traducibile in termini percentuali) di possibilita’ di un risultato o di un evento favorevole (secondo la definizione elementare della chance comunemente diffusa nei discorsi sulla responsabilita’ civile), ma apprezzabile con immediatezza quale correlato del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto; e dunque quale situazione soggettiva suscettibile di darsi ben prima (al di qua) di qualunque (arbitraria) scelta personale che si voglia gia’ compiuta, o di la’ da compiere; e ancora, al di la’ di qualunque considerazione soggettiva sul valore, la rilevanza o la dignita’, degli eventuali possibili contenuti di tale scelta.
9. Il senso della compromissione della ridetta situazione soggettiva di liberta’ appare d’immediata comprensione non appena si rifletta sulla circostanza per cui, non solo l’eventuale scelta di procedere (in tempi piu’ celeri possibili) all’attivazione di una strategia terapeutica, o la determinazione per la possibile ricerca di alternative d’indole meramente palliativa, ma anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico (senza ricorrere all’ausilio di alcun intervento medico) in attesa della fine, appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignita’, al novero delle alternative esistenziali che il velo d’ignoranza illecitamente indotto dalla colpevole condotta dei medici convenuti ha per sempre impedito che si attuassero come espressioni di una scelta personale. Poiche’ anche la sofferenza e il dolore, la’ dove coscientemente e consapevolmente non curati o alleviati, acquistano un senso ben differente, sul piano della qualita’ della vita, se accettati come fatto determinato da una propria personale opzione di valore nella prospettiva di una fine che si annuncia (piu’ o meno) imminente, piuttosto che vissuti, passivamente, come segni misteriosi di un’inspiegabile, insondabile e angosciante, ineluttabilita’ delle cose. Rilievo che vale a tradursi in una specifica percezione del se’ quale soggetto responsabile, e non mero oggetto passivo, della propria esperienza esistenziale; e tanto, proprio nel momento della piu’ intensa (ed emotivamente pregnante) prova della vita, qual e’ il confronto con la realta’ della fine.
10. La tutela (risarcitoria) della situazione soggettiva in esame si risolve, pertanto, nell’immediata protezione giuridica di una specifica forma dell’autodeterminazione individuale (quella che si esplica nella particolare condizione della vita affetta da patologie ad esito certamente infausto) e, dunque, del valore supremo della dignita’ della persona in questa sua ulteriore dimensione prospettica; una situazione soggettiva che deve ritenersi fatalmente e direttamente violata dal colpevole ritardo diagnostico della patologia ad esito certamente infausto di cui si sia reso autore il sanitario chiamato a risponderne.
11. Sulla base delle considerazioni che precedono, pertanto, deve ritenersi che, una volta attestato il colpevole ritardo diagnostico di una condizione patologica ad esito certamente infausto – nonche’ il dato (di per se’, peraltro, non indispensabile) della condizione di materiale (rilevante o, comunque, apprezzabile) sofferenza del paziente derivante dalla ridetta patologia – (come ritualmente comprovato, rispetto al (OMISSIS), secondo la valutazione del giudice a quo), la conseguente violazione del diritto del paziente di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una simile condizione di vita, vale a integrare la lesione di un bene gia’ di per se’ autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l’assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno cosi’ inferto sulla base di una liquidazione equitativa.
12. Dalle indicate premesse discende l’accertamento dell’avvenuta falsa applicazione, ad opera della Corte d’appello di Roma, degli articoli 1218 e 2043 c.c., la’ dove la stessa ha ritenuto che, alla luce delle evidenze incontestate, non potesse farsi luogo all’accoglimento della domanda risarcitoria avanzata dalle attrici (odierne ricorrenti), sul presupposto che le stesse si sarebbero sottratte all’assolvimento degli oneri di necessaria allegazione argomentativa e probatoria in ordine alle scelte di vita del paziente, diverse da quelle che avrebbe adottato se avesse avuto tempestiva consapevolezza delle proprie effettive condizioni di salute.
13. Con l’unico motivo del proposto ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del ricorso principale, (OMISSIS) censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1218 e/o 2043 c.c., degli articoli 2727 e 2729 c.c., del Decreto Ministeriale 21 febbraio 1997, articolo 1 (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la violazione, da parte del (OMISSIS), delle norme cautelari nella specie applicabili in relazione al mancato avviamento del paziente ai necessari approfondimenti diagnostici, al fine di anticipare l’accertamento della patologia neoplastica dallo stesso sofferta, attesa l’inesigibilita’, nei confronti del (OMISSIS), di una capacita’ interpretativa dei referti radiografici allo stesso consegnati dal paziente, al momento della relativa visita, suscettibile di consentirgli l’effettivo avviamento dello stesso ai ridetti approfondimenti, tenuto conto del ragionevole affidamento riposto, dallo stesso (OMISSIS), nella competenza dei colleghi radiologi che avevano provveduto alla previa creazione e interpretazione della documentazione radiografica acquisita, dalle quali ultime era emersa l’insussistenza di alcuna obiettiva esigenza di ulteriori accertamenti, come peraltro confermato in occasione delle indagini tecniche eseguite nel corso del giudizio.

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