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3. Proposto appello dalla (OMISSIS) (e appello incidentale condizionato dal (OMISSIS) verso il proprio assicuratore), il gravame principale veniva accolto – come detto – dalla Corte romana, la quale, respinto il gravame dell’appellato, riformava anche la decisione sulle spese. Essa, infatti, condannava il (OMISSIS) a rifondere all’Erario le spese di entrambi i gradi di giudizio (essendo stata la (OMISSIS) ammessa al beneficio del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 113), compensando, invece, “quelle di primo grado relative al rapporto processuale (OMISSIS) (OMISSIS), nonche’ le spese dell’appello relative al rapporto processuale (OMISSIS) – (OMISSIS)”.
4. Avverso la decisione della Corte di Appello propone ricorso per cassazione il (OMISSIS), sulla base di due motivi.
4.1. Con il primo motivo, deduce “violazione e falsa applicazione dell’articolo 282 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Muovendo dal presupposto che la sentenza resa all’esito del giudizio di primo grado della causa divisoria, pendente tra la (OMISSIS) ed il (OMISSIS), “e’ sopravvenuta all’ordinanza di delega del 19.04.2002, sostituendo all’accordo tra le parti, quale condizione di ripartibilita’ della somma ricavata dalla vendita da parte del Notaio, la statuizione del Tribunale in ordine alla ripartizione pro quota, e in misura specificamente determinata, di detta somma tra i condividenti”, il ricorrente assume che non avrebbe potuto sottrarsi in quanto pubblico ufficiale – a dare esecuzione immediata a quell’ordine di ripartizione.
Viziata, pertanto, sarebbe la pronuncia impugnata, giacche’ fondata “esclusivamente sull’erroneo presupposto che la sentenza di divisione non sia suscettibile di esecuzione in quanto non contiene in se’ alcuna condanna”, affermazione errata poiche’ “lo scioglimento della comunione si attua concretamente solo con la ripartizione tra i condividenti delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni comuni nella misura spettante a ciascuno”.
Ne’, d’altra parte, coglierebbe nel segno – si assume sempre nel ricorso – il rilievo della Corte capitolina secondo cui il professionista “non poteva non ipotizzare modifiche della sentenza di primo grado all’esito dell’appello” (peraltro concretamente intervenute, giacche’ in accoglimento del gravame proposto dalla (OMISSIS) l’esito della fase di appello del giudizio divisorio consisteva nel riconoscimento del diritto della stessa a meta’ della somma ricavata dalla vendita). Non era, infatti, compito del notaio – si legge sempre nel ricorso – “ipotizzare scenari futuri” idonei a “giustificare il trattenimento della somma, quali l’esito del giudizio di secondo grado, o l’insolvenza o irreperibilita’ dell’altro condividente”, giacche’ cio’ sarebbe equivalso a contravvenire “al dispositivo di una sentenza esecutiva”.
Infine, si sottolinea come il principio dell’esecutivita’ immediata “non avrebbe potuto essere scalfito” neppure se la sentenza di primo grado fosse intervenuta successivamente all’avvenuto deposito della somma su libretto vincolato all’ordine del giudice istruttore (adempimento al quale il professionista non ha mai dato corso), giacche’ quest’ultimo “non avrebbe potuto far altro che dare pronta esecuzione alla sentenza, svincolando le somme a favore dei condividenti nella misura indicata in sentenza”.
4.2. Con il secondo motivo si ipotizza “violazione e falsa applicazione dell’articolo 1218 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3)”.
Qualificando l’ordinanza di delega come fonte di un’obbligazione contrattuale, avente ad oggetto il corretto espletamento di una prestazione d’opera professionale, il ricorrente assume di aver “diligentemente adempiuto alla stessa”. Il giudice di appello, dunque, nel ritenere la condotta del notaio produttiva di danno nei confronti della (OMISSIS) avrebbe violato e falsamente applicato la norma sulla responsabilita’ contrattuale, atteso che “la sopravvenienza di una sentenza provvisoriamente esecutiva ha reso impossibile una diversa prestazione”, e cio’ “per causa ad esso non imputabile”, circostanza, quest’ultima, che lo esonererebbe “da qualsivoglia responsabilita’ professionale”.
5. Ha proposto controricorso la (OMISSIS), resistendo all’avversaria impugnazione, della quale assume l’infondatezza.
In particolare, quanto al primo motivo, rileva che, con il deposito della sentenza di primo grado resa nell’ambito del giudizio divisorio, ogni incarico del (OMISSIS) “doveva intendersi concluso”, sicche’ non spettava al medesimo “dare esecuzione alla sentenza” (donde l’inconferenza del richiamo all’articolo 282 c.p.c.), essendo, invece, “le parti tenute ad attivarsi, chiedendo al Giudice lo svincolo delle somme depositate sul libretto bancario”.
In ordine, invece, al secondo motivo si assume l’erroneita’ della tesi che ipotizza l’insorgenza di un obbligo contrattuale a carico del notaio per effetto dell’incarico ricevuto, atteso che il professionista ha operato come ausiliario del giudice.
6. Sono intervenuti i (OMISSIS), facendo constare che, “nonostante la mancanza di pronuncia nei propri confronti”, essi “hanno provveduto al versamento (tranne la franchigia) del liquidato per sorte ed accessori”, e cio’ “nel rispetto, comunque, delle previsioni contrattuali”, concludendo affinche’ questa Corte decida “come di giustizia” in ordine al proposto ricorso, “con ogni consequenziale pronuncia in caso di accoglimento”, ed in particolare perche’ – in caso di annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio al giudice di appello – si tenga conto, in quella sede, di chi ha provveduto materialmente al pagamento.
“Nulla”, invece, “per le spese”.
7. E’ intervenuto il Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte, chiedendo il rigetto del ricorso, attesa l’infondatezza di ambo i motivi.
8. Ha presentato memoria la (OMISSIS), insistendo nelle proprie conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
9. Il ricorso va rigettato.
9.1. Il primo motivo di ricorso non e’ fondato.
9.1.1. In relazione ad esso, infatti, e’ dirimente – ai fini dell’esclusione della violazione dell’articolo 282 c.p.c. – il rilievo sulla natura del giudizio divisorio.
Ha osservato questa Corte – cfr. Cass. Sez. 2, sent. 10 febbraio 2004, n. 243 (in motivazione) – che “anche a non voler considerare l’ormai prevalente opinione dottrinaria dalla quale s’evidenzia la natura costitutiva della pronunzia sulla divisione, comunque il principio della natura dichiarativa della stessa, sostenuto dalla dottrina tradizionale e dalla prevalente giurisprudenza in ragione dell’espressa previsione normativa nell’articolo 757 c.c., d’una fictio iuris posta al fine di risolvere particolari esigenze pratiche, opera inderogabilmente, in ragione di tale sua limitata finalita’, con esclusivo riguardo alla retroattivita’ dell’effetto distributivo, per la quale ciascun condividente e’ considerato titolare, sin dal momento dell’apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnatigli”. Cio’ premesso, si e’ precisato che “persino nell’ipotesi di pronunzia dichiarativa, per quanto possa operare la fictio della retroattivita’ posta dall’articolo 757 c.c. e lo stato d’indivisione debba considerarsi come non mai sorto, la comunione e’ stata, tuttavia, per tutto il tempo della sua durata, una realta’, di fatto e di diritto, per la quale si sono prodotti effetti materiali e giuridici la cui rilevanza non puo’ essere pretermessa, e che tale situazione si e’ protratta sino alla pronunzia dei provvedimenti definitivi con i quali e’ stata sciolta la comunione ed e’ stata attuata la divisione”.
Orbene, se “la situazione d’indivisione del bene comune e’, dunque, una realta’ di fatto e di diritto (…) che permane sino al suo scioglimento a seguito della pronunzia dei provvedimenti definitivi che la fanno venir meno”, deve concludersi “che prima di tale momento non sussiste debito (e credito, n.d.r.) alcuno”, essendo “la principale finalita’ cui deve rispondere il giudizio divisorio” quella “che sia assicurata la formazione di porzioni di valore corrispondente alle quote, esigenza cui si provvede facendo precedere la formazione delle porzioni – che possono avere ad oggetto parti del bene comune, ma anche somme di denaro, pur se non comprese nella massa dividenda come nell’ipotesi del conguaglio – dalla stima del bene”.

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