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7. sia la ricorrente che il P.G. hanno censurato l’orientamento affermato con le ordinanze n. 8997/12, 668/13, cui si è espressamente richiamata l’ordinanza impugnata, anche con riferimento alla ratio della deroga di competenza in parola, individuata nella “prossimità di sede”.
che comprometterebbe l’imparzialità e la terzietà del giudice chiamato a decidere un processo (o procedimento) penale o una controversia civile di responsabilità in cui sia parte, anche potenziale, un suo collega; in particolare è stata sostenuta l’inconsistenza di un tale argomento, in quanto non vi sarebbe ragione per ritenere che il rischio di lesione dell’immagine di terzietà e imparzialità, nel giudicare magistrati della Corte di cassazione – nell’odierno sistema giudiziario – sia maggiore per i magistrati del Tribunale di Roma, piuttosto che per i magistrati del Tribunale di Perugia o di tribunali di altri distretti ed è stato, altresì, rilevato che la disciplina dell’art. 11 cod. proc. pen., richiamata nella normativa sulla competenza per le azioni di responsabilità civile dei magistrati, costituisce una regolamentazione che si inquadra nelle norme dirette a rafforzare la natura imparziale del giudizio (art. 25 e 111 Cost.) mediante un criterio oggettivo e predeterminato idoneo a conciliare le esigenze di terzietà del giudice – libero da ogni condizionamento di “colleganza” – con l’effettività della tutela giurisdizionale garantendo il non aggravamento dei costi e delle condizioni di esercizio del diritto di ciascun cittadino di ricorrere al giudice per la tutela dei propri interessi (art. 24 Cost.);
il P.G. ha pure sottolineato che la Corte costituzionale ha più volte affermato (Corte cost. n. 51 del 1988, n. 444 del 2002, n. 332 del 2003, n. 147 del 2004) che anche il valore dell’immagine e della terzietà del giudice va bilanciato con altri valori costituzionalmente tutelati, quali la garanzia di effettività del diritto, la garanzia del giusto processo, ecc. e che, secondo la Corte delle leggi, “solo il legislatore può stabilire, nell’esercizio del suo potere discrezionale, quando ricorra quell’identità di ratio che imponga l’estensione pura e semplice del criterio di cui all’art. 11 cod. proc. pen. – come del resto esso ha già ritenuto relativamente alle controversie in materia di danno arrecato dai magistrati nell’esercizio delle loro funzioni (v. artt. 4 e 8 della legge 13 aprile 1988, n. 117) – e quando, invece, quella ratio non ricorra affatto o sia realizza/211e attraverso la previsione di un foro derogatorio appropriato alla specifica materia” e ciò a maggior ragione nel processo civile, con riferimento al quale la predetta Corte ha affermato che l’esigenza di intervenire con strumenti legislativi a garanzia della terzietà e imparzialità del giudice, pur avendo pieno valore costituzionale, va diversamente valutata rispetto al processo penale, se non altro per la “disomogeneità” degli interessi coinvolti, testimoniata anche dalla previsione di una molteplicità dei fori civili rispetto all’unico foro del commesso reato (Corte cost. 147 del 2004, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 bis, primo comma, cod. proc. ci., ad eccezione della parte relativa alle azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui sia parte un magistrato, nei termini di cui all’art. 11 cod. proc. pen.);
la ricorrente e il P.G. hanno, inoltre, evidenziato gli inconvenienti conseguenti all’attribuzione della competenza al Tribunale di Perugia, laddove vi sia stata pronuncia della Cassazione, con lo spostamento di un notevole contenzioso (comprendente anche le cause ivi già trattate in primo grado) presso tale Tribunale, ufficio di dimensioni inferiori rispetto a quelle del Tribunale di Roma, che sarebbe competente rispetto ai giudici delle giurisdizioni superiori se si negasse per essi l’applicazione dell’art. 11 cod. proc. pen., non senza sottolineare che il criterio adottato da Cass., sez. un., n. 6307 del 2010 – nell’interpretazione del criterio di collegamento stabilito dall’art. 11 cod. proc. pen., richiamato dall’art. 3, primo comma, legge 24 marzo 2001, n. 89 – si fondava anche sulla considerazione che l’interpretazione da essa accolta favoriva la diffusione del contenzioso sull’intero sistema delle Corti d’appello, anziché una sua elevata concentrazione su Roma, resa possibile dal fatto di avervi ivi sede gli organi di vertice dei diversi ordini giudiziari, ordinario e speciale;
il P.G. ha aggiunto che una “forzatura” del principio della eadem ratio sarebbe destinata inevitabilmente a riverberarsi nell’applicazione della deroga di competenza penale anche per i numerosi magistrati fuori ruolo che operano a Roma, organi centrali del governo autonomo compresi, con lo spostamento di notevole contenzioso giudiziario da una sede di grandi dimensioni (Roma) ad una sede di medie dimensioni (Perugia) e con l’aggravamento (non l’attenuazione) del rischio astratto di lesione dell’immagine di terzietà ed imparzialità dei giudici chiamati a decidere;
nel censurare l’ordinanza del Tribunale di Roma in questione, la parte ricorrente ha, infine, sostenuto l’applicabilità al caso di specie, per analogia, del criterio dettato dall’art. 3 della legge n. 89 del 2001, come da ultimo novellato, in base al quale, per le domande di equa riparazione, la competenza territoriale spetta alla Corte di appello del distretto in cui ha sede il giudice dinanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto;
alla luce di quanto sopra rappresentato e in particolare della giurisprudenza non univoca sul tema della individuazione del giudice territorialmente competente a decidere le cause di responsabilità civile ai sensi della legge 117/88 inerenti a magistrati in servizio presso questa Corte, ricorrono al riguardo, ad avviso del Collegio, le condizioni per rimettere gli atti al Primo Presidente, affinché lo stesso valuti l’opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite sulla predetta questione.
P.Q.M.
Il Collegio, rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza relativa alla individuazione del giudice territorialmente competente a decidere le cause di responsabilità civile ai sensi della legge 117/88 inerenti a magistrati in servizio presso questa Corte
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