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I due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi asserenti il difetto di valida ed idonea prova scritta ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo per il pagamento delle spese condominiali oggetto di lite.
Tutte le censure evidenziano palesi difetti dei necessari caratteri di tassatività specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, risolvendosi in una critica generica della sentenza del Tribunale di Larino.
È in ogni caso da ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569). Nello stesso giudizio di opposizione, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione, ma solo questioni riguardanti l’efficacia di quest’ultima. Per quanto detto, tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629). Quando il condominio abbia così provato il proprio credito, spetta al singolo condomino, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 2697 c.c., l’onere di provare l’effettivo pagamento del proprio contributo.
Il Tribunale ha poi fatto corretta applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, per cui, in relazione all’art. 2719 c.c. (che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche), applicabile tanto all’ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione, nel silenzio della norma in merito ai modi e ai termini in cui i due suddetti disconoscimenti debbano avvenire, opera per entrambi la disciplina degli artt. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta (tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione) se la parte comparsa non la disconosca, in modo formale, e quindi specifico e non equivoco, alla prima udienza, ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione. Alla stregua di tale principio, nell’ambito di un procedimento a contraddittorio differito quale quello che si origina da un decreto ingiuntivo, la “prima risposta” deve essere individuata nell’atto di opposizione (e con la formulazione delle difese in seno a detto atto), atteso che, con tale opposizione, si dà inizio non ad un autonomo processo, ma ad una fase di quello già iniziato con la notificazione del ricorso e del pedissequo decreto, sì da configurarsi essa stessa come “la prima risposta” del debitore, dopo che questi sia stato messo in grado di esaminare i documenti depositati in cancelleria e posti a fondamento dell’istanza (e del provvedimento) monitorio (Cass. Sez. 3, 17/07/2008, n. 19680; si vedano anche Cass. Sez. 6 – 3, 04/02/2014, n. 2374; Cass. Sez. 5, 28/01/2004, n. 1525). La ricorrente EDI.M. s.r.l., non ha indicato specificamente, nel suo primo motivo di censura, come impostole dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quali termini avesse contestato in modo formale e specifico nell’atto di opposizione la conformità agli originali delle copie fotostatiche prodotte dal condominio a sostegno del ricorso per ingiunzione, affermando, piuttosto, che “la contestazione e la impugnazione dei documenti sono stati totali”. Nell’esposizione sommaria dei fatti di causa, la ricorrente ha peraltro integralmente trascritto il contenuto dell’atto di opposizione, e da esso risulta soltanto un generico disconoscimento di “tutte le fotocopie depositate”, e in particolare “della delibera”, in quanto non certificate come autenticate da pubblici ufficiali a ciò abilitati. Anche da tale lettura, manca quindi l’indicazione specifica sia dei documenti esibiti che si intendessero contestare, sia degli aspetti per i quali si assumeva che differissero dagli originali, riducendosi il tutto ad una negazione astratta dell’efficacia probatoria delle copie non autenticate (cfr. Cass. Sez. 3, 03/04/2014, n. 7775; Cass. Sez. 3, 12/04/2016, n. 7105).
Il ricorso va perciò rigettato e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente Condominio le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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