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1.5.1. Si e’, infatti, esattamente osservato (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio 201.3, Rv. 254584) che “La funzione tipica dell’impugnazione e’ quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilita’ (articoli 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione e’, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioe’ con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta).
1.5.2. Il motivo di ricorso in cassazione e’ caratterizzato da una “duplice specificita’”: “Deve essere si’ anch’esso conforme all’articolo 581 c.p.p., lettera C (e quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando “attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresi’, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisivita’ rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, si’ da condurre a decisione differente” (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio 2013 cit.).
1.5.3. Risulta, pertanto, evidente che, “se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motiivo d’appello, per cio’ solo si destina all’inammissibilita’, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale e’ previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente “attaccato”, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, e’ di fatto del tutto ignorato. Ne’ tale forma di redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello) potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice d’appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilita’. E cio’ per almeno due ragioni. E’ censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non e’ mediata dalia necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa motivazione (e tanto piu’ nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza “grafica”, pretende la dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come detto, e’ pure onerata dell’obbligo di argomentare la decisivita’ del vizio, tale da imporre diversa conclusione del casa”.
1.5.4. Puo’, pertanto, concludersi che “la riproduzione, totale o parziale, del motivo d’appello ben puo’ essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo quando cio’ serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima sentenza con i morivi d’appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione” (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio 2013 cit.).
1.6. Anche il giudice d’appello non e’ tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacche’ le stesse possono essere disattese per implicito o per aver segJito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilita’ con la ricostruzione effettuata (per tutte, Sez. 6, sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002, dep. 2003, Rv. 223061).
1.6.1. In presenza di una doppia conforma affermazione di responsabilita’, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilita’ della motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli gia’ esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non e’ tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita’ della motivazione, tanto piu’ ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicche’ le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita’ (Sez. 2, sentenza n. 1309 del 22 novembre 1993, dep. 1954, Rv. 197250; Sez. 3, sentenza n. 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 2012, Rv. 252615).
1.6.2. D’altro canto, questa Corte, con orientamento (Sez. 4, n. 19710 del 3.2.2009, rv. 243636; Sez. 2, n. 7986 del 18.11.2016, dep. 2017, Rv. 269217) che il collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilita’), il vizio di travisamento della prova puo’ essere rilevato in sede di legittimita’ solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (“Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, e’ ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso puo’ essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimita’, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice”).
1.7. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione “oltre ogni ragionevole dubbio”, presente nel testo novellato dell’articolo 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all’affermazione di responsabilita’ dell’imputato, e’ opportuno evidenziare che, al di la’ dell’icastica espressione, mutuata dal diritto anclosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui e’ permeato il nostro sistema processuale.
Si e’, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva piu’ che sostanziale, giacche’, in precedenza, il “ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, sicche’ non si e’ in presenza di un diverso e piu’ rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma e’ stato ribadito il principio, gia’ in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario (tanto da essere gia’ stata adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10 luglio 2002, Rv. 222139 -, e solo successivamente recepita nel testo novellato dell’articolo 533 c.p.p.), secondo cui la condanna e’ possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilita’ dell’imputato (Sez. 2, sentenza n. 19575 del 21 aprile 2006, Rv. 233785; Sez. 2, sentenza n. 16357 del 2 aprile 2008, Rv. 239795).
In argomento, si e’ piu’ recentemente, e conclusivamente, affermato (Sez. 2, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012, dep. 2013, Rv. 254025) che “La previsione normativa della regola di giudizio dell'”al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, che trova fondamento nel prircipio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e piu’ restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilita’ dell’imputato”.
2. I RICORSI.
Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli odierni ricorsi.
3. Ricorso del PG contro gli imputati non ricorrenti:
– (OMISSIS);
– (OMISSIS);
– (OMISSIS).
(I GUP del Tribunale di Catanzaro, con sentenza del 17.5.2013, aveva dichiarato:
– (OMISSIS) classe (OMISSIS) (detto “(OMISSIS)”) colpevole del reato ascrittogli al capo 1), con la contestata recidiva, ed operata la riduzione per il rito lo aveva condannato alla pena di anni 8 e mesi 8 di reclusione, oltre alle statuizioni accessorie. Al (OMISSIS) si contestava la partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, costituita, promossa, organizzata e diretta da (OMISSIS) detto “(OMISSIS)”, capo riconosciuto della locale di Nicastro, con ruolo svolto nella âEuroËœndrina integrata nel clan (OMISSIS), famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS) (“chilli da’ muntagna”), alle dipendenze di (OMISSIS), killer della cosca e spacciatore di sostanze stupefacenti (in (OMISSIS), con condotta perdurante);
(OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli dei reati a ciascuno ascritti ai capi 9) e 16), esclusa per entrambi l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 7, e, ritenuto sussistente il vincolo della continuazione, operata la riduzione per il rito, aveva condannato ciascuno alla pena di anni 6 e mesi 4 di reclusione ed Euro 24.000 di multa, oltre alle statuizioni accessorie. Per quanto in questa sede rileva, ai predetti imputati si contestava sub 16) il concorso in estorsione aggravata e continuata in danno di (OMISSIS), fatto commesso in Lamezia Terme dal 6 al 13 ottobre 2011.
3.1. La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza impugnata, ha:
– assolto (OMISSIS) classe (OMISSIS) dal reato di cui al capo 1) per non aver commesso il fatto;
– assolto (OMISSIS) dal reato di cui al capo 9) per non aver commesso il fatto e dal reato di cui al capo 16) perche’ il fatto non sussiste;
– assolto (OMISSIS) dal reato di cui al capo 16), riducendo la pena per il residuo reato.

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