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8.2.3. In particolare, quanto all’affermazione di responsabilita’ in ordine al reato associativo di cui al capo 1, la Corte d’appello (f. 139 ss. della sentenza impugnata):
– ha evidenziato la non corrispondenza al vero del dato riguardante i colloqui, insistentemente invocato dalla difesa, anche contro l’evidenza: la documentazione prodotta dalla difesa era, infatti, assolutamente incompleta, tanto da non ricomprendere neanche un colloquio intercettato in data 30.11.2010, sicuramente intervenuto. Su tale assorbente argomentazione della Corte di appello (“Condivisibilmente la sentenza (di primo grado) ha escluso che rivestano carattere dirimente i prospetti, depositati dalla difesa, dei colloqui in carcere intrattenuti da (OMISSIS) negli anni 2009, 2010, 2011 con i familiari. Trattasi di documentazione incompleta (e peraltro riferita ai soli colloqui visivi e non a quelli telefonici) tanto che nella stessa non vi e’ menzione dello stesso colloquio intercettato in data 30/11/10”), la difesa e’ rimasta del tutto silente, riproponendo la doglianza pedissequamente, non e’ agevole comprendere per quali finalita’;
– ha valorizzato l’oggettivita’ del lungo e significativo colloquio intercettato in data 11.11.2011, nel corso del quale la donna riferisce al fratello (OMISSIS) il volere del padre, che – per essere riferito – deve essere stato da lei conosciuto e, quindi, in qualche modo, di necessita’, deve esserle stato comunicato: neanche la difesa ipotizza che la donna si sia inventata quanto riferisce all’interlocutore essere il volere del padre;
– ha osservato incensurabilmente (f. 140 della sentenza impugnata, lucidamente ed inequivocabilmente) che il suo intervento non e’ occasionale ne’ marginale, ma di rilievo, ed e’ svolto anche facendosi portatrice di una propria volonta’ pacificatrice, per ritrovare l’unita’ del sodalizio messa a repentaglio dalle attivita’ di taluni membri;
– ha esaminato le doglianze riguardanti le denunciate divergenze tra le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), e l’asserita circostanza che alcuni collaboratori di giustizia ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) avrebbero escluso che l’imputata ricoprisse un ruolo attivo nell’ambito del sodalizio, superandole in considerazione dell’esistenza di plurimi elementi inequivocabilmente confermativi dell’affermazione di responsabilita’ dell’imputata, dei quali la difesa non tiene conto, tentando sistematicamente di enfatizzare elementi in realta’ privi di rilievo: a ben vedere, quello che l’imputata faceva essenzialmente per conto del sodalizio (essere latrice da e per il carcere, dove erano ristretti i congiunti prossimi, di messaggi in vario modo riguardanti la vita del sodalizio) e’ dimostrato essenzialmente dalle intercettazioni di conversazioni valorizzate (f. 140 ss. della sentenza impugnata) e dalle stesse dichiarazioni del fratello dell’imputata (OMISSIS) (che neppure la difesa assume essere calunniatorie), a loro volta confermate da quelle del collaboratore di giustizia (OMISSIS). Con riguardo a tale ultimo elemento, inoltre, non puo’ ritenersi vincolante, ai fini della qualificazione giuridica della condotta posta in essere dall’imputata quanto dichiarato (verosimilmente in maniera interessata, per sminuire le responsabilita’ della sorella, e salvaguardarne lo status hbertatis, onde consentirle di continuare ad attivarsi, nell’ambito del sodalizio, nell’interesse dei congiunti) dal fratello (OMISSIS), secondo il quale la sorella, come piu’ in generale le donne, aveva nell’ambito del sodalizio un ruolo marginale, poiche’ la verifica di cio’ e’ compito esclusivo del giudice. Trattasi, d’altro canto, ed all’evidenza, di una mera valutazione, come tale irrilevante, o comunque non vincolante;
– ha interpretato incensurabilmente (cfr. quanto gia’ osservato nel § 4.2.1.2. di queste Considerazioni in diritto) quanto captato in sede di colloquio tra (OMISSIS) padre e figlio (f. 141 della sentenza impugnata), per desumerne conferma del ruolo ascritto all’imputata;
– ha evidenziato, che anche l’accertata commissione delle estorsioni in ordine alle quali l’imputata ha riportato condanna costituisce sintomo valorizzabile del suo consapevole inserimento nell’associazione.
La Corte di appello (f. 16) ha anche osservato, sia pur con riferimento all’episodio della consegna del pizzino da (OMISSIS) alla moglie (OMISSIS), che “sebbene non si conosca il contenuto di quel messaggio, l’episodio assume obbiettiva valenza indiziaria, riscontrando quanto riferito dai collaboratori sul fatto che nella cosca si usasse il sistema dei pizzini per comunicare con l’esterno (come confermano le stesse dichiarazioni di (OMISSIS)) e confermano che il canale di comunicazione di (OMISSIS) verso l’esterno era rappresentato dai colloqui con i familiari”.
8.2.3.1. Sempre con riguardo al reato associativo (capo 1), le doglianze delle difese dell’imputata quanto alla configurazione, in diritto, della ritenuta condotta di partecipazione (essenzialmente basate, secondo convenienza di parte, su di un unico precedente, non massimato, senza considerare la piu’ ampia elaborazione dedicata al tema dalla giurisprudenza di questa Corte) sono infondate.
E’ senz’altro dominante, e comunque condiviso dal collegio, l’orientamento per il quale integra la condotta di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso l’attivita’ di trasmissione di messaggi scritti tra membri influenti della medesima, in quanto essa inerisce al funzionamento dell’organismo criminale, sia sotto il profilo della disponibilita’ di risorse materiali utilizzabili per l’attivita’ di questo, sia sotto quello del mantenimento di canali informativi tra i suoi membri, che e’ incombenza di primaria importanza per il funzionamento dell’associazione per delinquere (Sez. 1, sentenza n. 13008 del 28/09/1998, Rv. 211900: fattispecie relativa alla consegna, da parte dell’imputato, a vari associati, di messaggi segreti); nel medesimo senso, successivamente, si e’ ritenuto che integra il delitto di partecipazione ad una associazione mafiosa la condotta del soggetto che assolve il compito di far circolare ordini ed informazioni tra accoliti detenuti ed accoliti in liberta’ (Sez. 2, sentenza n. 13506 del 28/02/2013, Rv. 255731: fattispecie relativa alla moglie del capo di una cosca ristretto da lungo tempo in carcere). Si e’ anche ritenuto – con evidente identita’ di ratio – che integra il delitto di partecipazione ad una associazione mafiosa, e non quelli mene gravi di assistenza agli associati o di favoreggiamento personale, la condotta di colui che curi sotto il profilo logistico la latitanza del capo del sodalizio, assicurandogli al contempo in maniera stabile la possibilita’, per il suo tramite, di mantenere i contatti con gli altri associati e di continuare a dirigere l’organizzazione, perche’ detta condotta rende palese la volonta’ di agevolare non solo il soggetto latitante ma l’intera associazione (Sez. 6, sentenza n. 2533 del 26/11/2009, Rv. 245703).
8.2.3.2. Ne’ risultava piu’ favorevole per l’imputata – comportando una qualificazione giuridica diversa, ma connotata dai medesimi limiti edittali – l’orientamento meno recente e nelle more superato, per il quale integrerebbe pur sempre il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, e non la meno grave fattispecie di favoreggiamento personale, la condotta del soggetto, estraneo all’associazione, che faccia da “corriere” tra un latitante od un soggetto ristretto in carcere ed altri membri del sodalizio criminale, mediante la consegna di messaggi inerenti alle attivita’ delittuose del gruppo (Sez. 1, sentenza n. 54 dell’11/12/2008, dep. 2009, Rv. 242577 e n. 1073 del 22/11/2006, dep. 2007, Rv. 235855: quest’ultima aveva, in particolare, ritenuto configurabile il concorso esterno a carico delle persone che avevano curato la trasmissione di messaggi – i c.d. pizzini – tra uno dei capi dell’associazione mafiosa, latitante da lungo tempo, ed un rappresentante di spicco della stessa, detenuto, in quanto tali condotte avevano fornito un contributo consistente all’associazione – garantendo agli esponenti di vertice di “Cosa Nostra” di mantenerne la gestione anche in situazioni di difficolta’ quali la latitanza e la detenzione – e sussisteva la piena consapevolezza di recare aiuto all’intera organizzazione in capo agli autori delle condotte, a conoscenza del ruolo ricoperto all’interno dell’organizzazione dal soggetto ristretto in carcere, per effetto del vincolo di parentela ed affinita’ con quest’ultimo, vincolo che aveva legittimato la continua ammissione ai colloqui nella Casa circondariale).
13.2.3.3. Nessun dubbio, quindi, che la condotta dell’imputata, resasi non episodicamente, ma stabilmente, disponibile nell’ambito dell’enucleato sodalizio, sia pur essenzialmente su base endofamiliare, a fungere da latrice da e per il carcere – dove erano ristretti i congiunti prossimi, peraltro tutti soggetti in posizione verticistica nell’ambito del sodalizio di cui al capo 1) – di messaggi in vario modo riguardanti la vita dello stesso sodalizio, integri la condotta di partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso, in quanto essa e’ risultata causalmente inerente al funzionamento dell’organismo criminale de quo, sia sotto il profilo della disponibilita’ di risorse materiali utilizzabili per l’attivita’ di questo, sia sotto quello del mantenimento di canali informativi tra i suoi membri, che e’ incombenza di primaria importanza per il funzionamento del sodalizio.
8.2.4. Per quanto, invece, riguarda l’affermazione di responsabilita’ in ordine alle estorsioni di cui ai capi 15 e 28, come e’ stato gia’ evidenziato con riguardo al ricorso delle tre coimputate del reato di cui al capo 28, la Corte di appello ha incensurabilmente valorizzato le inequivocabili dichiarazioni della p.o. (gli sconti erano concessi per paura, e se non concessi in misura adeguata, esponevano i commercianti a ritorsioni, come nell’episodio dell’incendio dell’autovettura del commerciante che a (OMISSIS) aveva praticato solo uno sconto del 30%), oltre alla minaccia implicita promanante dal sodalizio ex articolo 416-bis c.p., che non necessita di una condotta ulteriore.
Quanto al fatto che gli sconti – praticati in misura esulante dalle normali prassi di commercio – fossero dovuti, e quindi estorti, si rinvia a quanto osservato dalla sentenza impugnata a f. 133, in particolare con riferimento a quanto emergente dall’intercettazione di una conversazione intercorsa tra (OMISSIS) ed il marito (OMISSIS) (in riferimento ad un acquisto per il quale non era stato praticato il dovuto “sconto”, la (OMISSIS) espressamente afferma che della cosa avrebbe dovuto occuparsi lei personalmente; altre conversazioni di notevole rilievo sono ricordate e riportate dalla Corte di appello nella medesima sede, cui si rinvia).
8.2.4.1. Per quanto riguarda il reato di cui al capo 15), deve convenirsi che la Corte d’appello e’ rimasta del tutto silente in merito all’eccezione riguardante la qualifica processuale della p.o. (OMISSIS), e conseguentemente quanto al regime di utilizzabilita’ delle dichiarazioni dalla stessa rese.
Tuttavia, la questione:
essendo stata – tardivamente ed ingiustificatamente – proposta in motivi nuovi, non era:onsentita, e quindi inammissibile;
– era, comunque, manifestamente infondata, poiche’ tra le vicende valorizzate dalla ricorrente ed il reato in oggetto non vi era immediata attinenza.
Poteva residuare un problema di attendibilita’ intrinseca, peraltro agevolmente superabile valorizzando i numerosi elementi di riscontro acquisiti (cfr. f. 128 ss., ed in particolare f. 130, della sentenza impugnata quanto allo stato di soggezione nel quale versava lâEuroËœ (OMISSIS)), con i quali la difesa non si confronta adeguatamente.
Infine, essendo stata valorizzata a fondamento della contestata affermazione di respDnsabilita’ una pluralita’ di elementi, il ricorso avrebbe dovuto spiegare convincentemente le ragioni di una presunta asserita decisiva incidenza del vizio lamentato, il che non e’ stato fatto (cfr. § 4.2.1.3. di queste Considerazioni in diritto).
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