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Tale diffuso e pervasivo potere di intervento del giudice, che ha l’onere di controllare la completezza compendio probatorio (e di accrescerlo, ove necessario) non contrasta con la natura “accusatoria” del rito, tenuto conto del fatto che le fonti sovralegislative, e segnatamente la Costituzione e la Convenzione Edu, non inibiscono in alcun modo il potere integrativo del giudice, ne’ la sua funzione di controllo sulla progressione processuale, che potrebbe patire iniqui sbilanciamenti a causa dell’inerzia delle parti. Le garanzie previste dalla Costituzione e dalla Convenzione Edu garantiscono infatti il contraddittorio nella “formazione” della prova, ma non inibiscono i poteri di controllo del giudice sulla completezza del compendio di elementi su cui deve fondarsi la decisione. Tali Carte si limitano a garantire che la responsabilita’ sia valutata sulla base di prove sottoposte al controllo critico delle parti, limitando al minimo l’utilizzabilita’ delle prove raccolte unilateralmente e non sottoposte alla verifica del contraddttorio (articolo 111 Cost., CEDU, art 6, nella interpretazione data dalla sentenza Tahery Al Kawaja, Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2011; Schatschaschwili v. Germania, Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2015). Nessun accenno si rinviene invece alla inibizione del controllo giudiziale sulla progressione processuale e sulla completezza del compendio probatorio, ovvero della funzione che costituisce il naturale correlato della natura pubblica dell’accertamento penale e, non come ritenuto dal ricorrente una illegittima distorsione del modello “accusatorio”.
La giurisdizione penale essendo diretta alla tutela di interessi ultraindividuali non puo’ prescindere dalla previsione di un diffuso, penetrante ed imparziale, controllo giudiziale sulle (eventuali) inerzie delle parti. Chiare, in tal senso le indicazioni della Corte costituzionale secondo cui “sarebbe contrario ai principi costituzionali di legalita’ e di obbligatorieta’ dell’azione concepire come disponibile la tutela giurisdizionale assicurata dal processo penale. Cio’, invero, significherebbe, da un lato, recidere il legame strutturale e funzionale tra lo strumento processuale e l’interesse sostanziale pubblico alla repressione dei fatti criminosi che quei principi intendono garantire; dall’altro, contraddire all’esigenza, ad essi correlata, che la responsabilita’ penale sia riconosciuta solo per i fatti realmente commessi, nonche’ al carattere indisponibile della liberta’ personale. Sotto questo profilo, e’ significativo che il nuovo codice non conosca procedure in cui la concorde richiesta delle parti vincoli il giudice sul merito della decisione; prova ne sia che ad un simile esito non conduce neanche l’istituto dell’applicazione di pena su richiesta (cfr. sentenza n. 313 del 1990)” (Corte cost. n. 111 del 1993). Altrettanto nette le prese di posizione sulla incostituzionalita’ della inibizione dei poteri di intervento del giudice sulla latitudine del compendio probatorio: “l’assunzione di un principio dispositivo in materia di prova non trova riscontro nella normativa positiva neanche sul terreno del giudizio ordinario. Il metodo dialogico di formazione della prova e’ stato, invero, prescelto come metodo di conoscenza dei fatti ritenuto maggiormente idoneo al loro per quanto piu’ possibile pieno accertamento, e non come strumento per far programmaticamente prevalere una verita’ formale risultante dal mero confronto dialettico tra le parti sulla verita’ reale: altrimenti, ne sarebbe risultata tradita la funzione conoscitiva del processo, che discende dal principio di legalita’ e da quel suo particolare aspetto costituito dal principio di obbligatorieta’ dell’azione penale” (Corte cost. n. 111 del 1993).
1.2. Il collegio ribadisce pertanto che l’esercizio dei poteri di integrazione probatoria previsti dall’articolo 507 c.p.p., e’ legittimo anche se la prova di cui si dispone l’assunzione non e’ stata richiesta dalle parti; il potere integrativo previsto dall’art 507 c.p.p., e’, infatti, funzionale a garantire il controllo giudiziale sull’esercizio dell’azione penale e sul suo sviluppo processuale, ovvero sulla completezza del compendio probatorio su cui deve fondarsi la decisione. L’assegnazione all’organo giudicante di tale potere non e’ in contrasto con le indicazioni della Carta costituzionale e della Corte Edu, che si limitano a garantire il contraddittorio nella formazione della prova, ma non inibiscono il controllo del giudice sulla completezza del compendio probatorio. Il permanente e diffuso controllo del giudice sulla progressione del processo, anche nell’area della formazione della prova e’, infatti, il necessario correlato della indisponibilita’ dell’azione penale, conseguente al riconoscimento della natura ultraindividuale degli interessi tutelati dalla giurisdizione penale.
1.3. Nel caso di specie, in coerenza con tali linee ermeneutiche, il Tribunale disponeva l’audizione del teste (OMISSIS) ritenendone l’audizione assolutamente necessaria ai fini della decisione, nulla rilevando che lo stesso non fosse stato previamente citato dalle parti.
1.4. Anche il motivo di ricorso che deduce l’illegittimita’ del diniego del rinvio chiesto dalla difesa dell’imputato per procedere al suo esame e’ manifestamente infondato.
Il collegio condivide la giurisprudenza secondo cui anche in assenza di una rinuncia del pubblico ministero all’espletamento dell’esame dell’imputato, ritualmente ammesso e fissato, e’ legittima la revoca dell’ordinanza di ammissione, allorche’ l’imputato stesso non sia comparso all’udienza stabilita per l’incombente, adducendo un impedimento ritenuto non legittimo dal giudice (Cass. sez. 1 n. 40137 del 10/11/2006 Rv. 235110).
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