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Innanzitutto, l’affermazione che gli (OMISSIS) avessero letto all’epoca la vicenda della donazione in modo diverso da come poi dichiarato nel 2008 rimane a livello di pura astrazione svincolata dalla indicazione specifica di concreti elementi probatori che la avvalorino e che nel successivo sviluppo motivazionale non emergono; in secondo luogo, la mancanza di riscontri alle dichiarazioni della costituite parti civili e’ affermazione apodittica, che non si confronta con le specifiche risultanze processuali evidenziate dal primo giudice. Deve, inoltre, rilevarsi che la convinzione del giudice di appello che ritiene “possibile” che gli (OMISSIS) “si siano persuasi a risolvere la donazione perche’ si sentivano additati come approfittatori della comunita’ religiosa cui appartenevano”, da un lato, e’ esplicitamente formulata come mera possibilita’ in violazione dei principi in materia che impongono la formulazione di ipotesi alternative basate su una rigorosa e completa valutazione del compendio probatorio, da un altro lato, non si confronta con il fatto accertato con sentenza successivamente passata in giudicato (cfr. Cass. Sez. 2, n. 1885 del 15/12/2016, dep. 16/01/2017) della effettiva configurabilita’ di una vicenda estorsiva in relazione alla quale sono stati condannati in separato giudizio (OMISSIS) e (OMISSIS), concorrenti con il (OMISSIS) nel reato di estorsione in danno di (OMISSIS) e (OMISSIS). Del resto, la stessa sentenza impugnata nel successivo sviluppo motivazionale riconosce – in evidente contraddizione logica con la precedente affermazione secondo la quale gli (OMISSIS) si sarebbero “persuasi” a risolvere la donazione – “l’intento predatorio dei coniugi (OMISSIS)”, ma esclude che il (OMISSIS) si fosse reso conto di tale intento poiche’ di cio’ “non esiste prova certa”; ancora una volta, in tal modo, evitando di confrontarsi con gli elementi probatori valutati dal primo giudice e limitandosi a svilire il significato della “anomalia” individuata dal Tribunale nella risoluzione della prima donazione modale e nella stipula di una seconda donazione, senza, peraltro, tenere conto del complesso delle dichiarazioni testimoniali del notaio rogante, come evidenziate nei motivi di ricorso, e, soprattutto, operando una valutazione atomistica del singolo elemento probatorio in violazione del principio della valutazione unitaria della prova, che e’ principio cardine del processo penale, sintesi di tutti i canoni interpretativi dettati dalla norma dell’articolo 192 c.p.p., perche’ nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme puo’ assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, P.M., p.c., Musumeci ed altri, Rv. 19123001; da ultimo Sez. 2, n. 33578 del 20/05/2010, Isoa, Rv. 24812801: la valutazione della prova impone di considerare ogni singolo fatto e il loro insieme non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, e di verificare se essi, ricostruiti in se’ e posti vicendevolmente in rapporto, possano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante che consenta, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verita’ processuale).
4. Molteplici sono gli elementi probatori evidenziati dal primo giudice e neppure esaminati nel loro contenuto e nelle loro connessioni dal giudice di appello.
Il Tribunale, infatti, evidenziava: 1) che le dichiarazioni di (OMISSIS), “nelle tre distinte occasioni in cui e’ stato compiuto il suo esame”, si sono caratterizzate per una “apprezzabile precisione e coerenza del narrato”; 2) che tali dichiarazioni trovano riscontro non solo in quelle dei suoi prossimi congiunti, la moglie (OMISSIS) e la figlia (OMISSIS) (OMISSIS), ma anche in quanto dichiarato da (OMISSIS) e da (OMISSIS), parenti di (OMISSIS) e (OMISSIS); 3) che, al fine di valutare la credibilita’ delle suddette dichiarazioni, e’ rilevante il particolare modo nel quale e’ venuta fuori la vicenda, dopo molti anni dall’accaduto ed in occasione di una denuncia per un distinto episodio di violenza sessuale “senza potersi ravvisare una pregiudiziale strumentalizzazione finalizzata a pregiudicare la posizione dell’odierno imputato”; 4) che da tali dichiarazioni emergeva che il (OMISSIS) era a conoscenza dei comportamenti invasivi posti in essere dai suoi originari coimputati ed aventi la specifica finalita’ di togliere l’immobile dalla disponibilita’ del soggetto minacciato; 5) che il profitto del reato e’ stato conseguito dall’organizzazione religiosa rappresentata dal (OMISSIS); 6) che la seconda donazione, alla quale era presente anche il (OMISSIS), era all’evidenza “anomala”, come ammesso dallo stesso notaio nella sua testimonianza, in quanto veniva revocata un’originaria donazione modale per sostituirla con una donazione “pura” certamente meno conveniente per la posizione di (OMISSIS). In definitiva, dal complesso convergente delle risultanza probatorie emergeva, a giudizio del Tribunale, che il (OMISSIS) era “autore non di una singola ed esplicita minaccia, ma di una serie di pressioni velate, di intensita’ progressivamente crescente, tali da determinare la coartazione della volonta’ delle persone offese, anche avvalendosi, in modo incisivo, della forza intimidatrice e di persuasione derivante dal ruolo apicale da egli ricoperto nell’ambito dell’organizzazione religiosa della quale l’ (OMISSIS) e la sua famiglia erano adepti”.
Ebbene, il semplice confronto testuale delle motivazioni dei due giudici evidenzia non solo la assoluta mancanza da parte del secondo giudice di autonoma rivalutazione del compendio probatorio nei suoi singoli elementi e nel complesso, ma anche la totale assenza di specifico confronto con le argomentazioni sviluppate dal primo giudice e cio’ e’ quanto basta per condurre all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in applicazione dei principi sopra esplicitati.
5. A questo punto, pero’, occorre esaminare lo specifico motivo di ricorso con il quale i ricorrenti deducono la violazione dell’articolo 6 CEDU, perche’ il secondo giudice, avendo espresso un giudizio di attendibilita’ delle prove dichiarative diverso rispetto a quanto ritenuto in primo grado, avrebbe avuto l’obbligo di rinnovare l’istruzione ed escutere nuovamente i dichiaranti.
6. L’obbligo di rinnovare l’istruzione e di escutere nuovamente i dichiaranti, gravante sul giudice dell’impugnazione qualora valuti diversamente la loro attendibilita’ rispetto a quanto ritenuto in primo grado e’ sancito dall’articolo 6 CEDU, come interpretato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, che con sentenza del 5 luglio 2011 nel caso Dan c/Moldavia, intervenuta in un caso in cui il giudice di primo grado non aveva ritenuto intrinsecamente attendibile il testimone principale, che riferiva su tutte le circostanze fondanti l’accusa, mentre il giudice di secondo grado, senza una nuova raccolta delle prove ma sulla sola base della lettura delle dichiarazioni rese in primo grado, ne aveva affermato la piena attendibilita’, ha ritenuto un tale sistema non conforme alla Convenzione EDU perche’ un equo processo comporta che il giudice che deve utilizzare la dichiarazione di un testimone (in modo difforme da altro giudice) deve poterlo ascoltare personalmente e cosi’ valutarne la attendibilita’ intrinseca; la pronuncia e’ espressione del principio di immediatezza, che si ritiene attuato quando vi e’ un rapporto privo di intermediazioni tra l’assunzione della prova e la decisione: al fine di permettere una valutazione sull’attendibilita’ delle dichiarazioni si vuole che il giudice prenda direttamente contatto con la fonte di prova (nello stesso senso: Manolachi c. Romania, 5 marzo 2013; Flueras c. Romania, 9 aprile 2013; Hanu c. Romania, 4 giugno 2013; Moinescu c. Romania, 15 settembre 2015; Nitulescu c. Romania, 22 settembre 2015; da ultimo: Lorefice c. Italia, 29 giugno 2017).
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha avviato un immediato processo conformativo dello statuto della prova dichiarativa nel giudizio di secondo grado alla ratio decidendi emergente dalla giurisprudenza della Corte Edu sopra richiamata, ritenendo che l’articolo 603 c.p.p. debba essere interpretato in modo convenzionalmente orientato, nel senso di prevedere la preventiva necessaria obbligatorieta’ della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per una nuova audizione dei testimoni gia’ escussi in primo grado, nel caso in cui la Corte di Appello intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione dell’imputato.
Il tema ha costituito oggetto di una complessiva rivisitazione da parte delle Sezioni Unite, dapprima chiamate a pronunciarsi sulla rilevabilita’ d’ufficio della violazione dell’articolo 6 della CEDU (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta) e, successivamente, sulla applicabilita’ del principio della necessaria rinnovazione in appello delle prove dichiarative, in caso di reformatio in peius, anche con riferimento al giudizio abbreviato (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano). In tali pronunce si rileva che “la percezione diretta e’ il presupposto tendenzialmente indefettibile di una valutazione logica, razionale e completa. L’apporto informativo che deriva dalla diretta percezione della prova orale e’ condizione essenziale della correttezza e completezza del ragionamento sull’apprezzamento degli elementi di prova, tanto piu’ in relazione all’accresciuto standard argomentativo imposto per la riforma di una sentenza assolutoria dalla regola del “ragionevole dubbio”, che, come gia’ osservato, si collega direttamente al principio della presunzione di innocenza”, con la conseguenza che “dovere di motivazione rafforzata da parte del giudice della impugnazione in caso di dissenso rispetto alla decisione di primo grado, canone “al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, dovere di rinnovazione della istruzione dibattimentale e limiti alla reformatio in pejus si saldano sul medesimo asse cognitivo e decisionale”, di modo che il giudice di appello “non puo’ riformare la sentenza impugnata nel senso dell’affermazione della responsabilita’ penale dell’imputato senza avere proceduto, anche d’ufficio, a norma dell’articolo 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado”. Tale ricostruzione sistematica e’ portata alle ulteriori conseguenze con l’applicazione del medesimo principio di obbligatorieta’ di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale da parte del giudice di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilita’ dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, poiche’, argomentano le Sezioni Unite Patalano, il canone “oltre ogni ragionevole dubbio” assume veste di “criterio generalissimo” nel processo penale, direttamente collegato al principio costituzionale della presunzione di innocenza” e “pretende che, in mancanza di elementi sopravvenuti, l’eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello sia sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze od insufficienze della decisione assolutoria” e “pretende dunque (ben al di la’ della stereotipa affermazione dei principio del libero convincimento del giudice) percorsi epistemologicamente corretti, argomentazioni motivate circa le opzioni valutative della prova, giustificazione razionale della decisione, standards conclusivi di alta probabilita’ logica” e che, dunque, “si faccia ricorso al metodo di assunzione della prova epistemologicamente piu’ affidabile”, “perche’, insomma, l’overturning si concretizzi davvero in una motivazione rafforzata, che raggiunga lo scopo del convincimento “oltre ogni ragionevole dubbio”, non si puo’ fare a meno dell’oralita’ nella riassunzione delle prove rivelatesi decisive”.
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