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La giurisprudenza di questa Corte ha, però, precisato che non ogni pericolo che si concretizza nell’ambito del domicilio giustifica la reazione difensiva, atteso che, come suggerito all’interprete dalla collocazione della norma di nuovo conio dopo quella di cui all’art. 52, comma 1, cod. pen., restano fermi i requisiti strutturali stabiliti dalla disposizione generale: il pericolo attuale di offesa ingiusta e la costrizione e la necessità della difesa, dai quali scaturisce l’inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o dell’altrui incolumità o, alle condizioni date, dei beni propri o altrui (Sez. 1, n. 16677 del 08/03/2007 – dep. 02/05/2007, P.G. in proc. Grimoli, Rv. 23650201). Di conseguenza si è affermato che la causa di giustificazione prevista dall’art. 52, comma 2, cod. pen., così come delineata dall’art. 1 L. 13 febbraio 2006 n. 59, non consente un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora, ma presuppone un attacco, nell’ambiente domestico, alla propria o altrui incolumità, o quanto meno un pericolo di aggressione (Sez. 5, n. 35709 del 02/07/2014 – dep. 13/08/2014, Desogus e altri, Rv. 260316; Sez. 4, n. 691 del 14/11/2013 – dep. 10/01/2014, Gallo Cantone, Rv. 257884; Sez. 1, n. 12466 del 21/02/2007 – dep. 26/03/2007, Sampino, Rv. 23621701).
Venendo al caso di specie, ritiene il Collegio del tutto corretta la motivazione della Corte di appello che ha ribadito la impossibilità di applicare la scriminante di cui all’art. 52, comma 2, cod. pen. al fatto commesso dal G. , facendo difetto il requisito del pericolo attuale di un’offesa ingiusta, senza che, peraltro, il giudice del gravame sia incorso nella violazione dell’obbligo di conformarsi al decisum della Corte di cassazione in esito al giudizio rescindente prescritto dall’art. 627, comma 3, cod. proc. pen..
Difatti l’accadimento per cui vi è processo avvenne intorno alle ore 17 del 25 luglio 2007 nel Comune di Santa Marinella, all’interno del bar gestito dal G. , il quale aveva poco prima, alla presenza di R.E. , rivolto battute sgradevoli nei confronti di una giovane donna a questi sentimentalmente legata. Secondo la ricostruzione operata nella sentenza impugnata, il R. , uscito dal bar, vi aveva fatto nuovamente ingresso indossando un casco da motociclista e, una volta messovi piede, evidentemente perché “maldisposto” per quanto in precedenza verificatosi, si era liberato del casco e l’aveva lanciato contro un espositore di caramelle; di poi aveva ingaggiato una colluttazione a mani nude con il titolare del bar, raggiunto dietro il bancone, nel corso della quale questi, afferrato un coltello utilizzato per tagliare il ghiaccio, l’aveva colpito sferrandogli due fendenti da distanza ravvicinatissima, attingendolo con uno dei due nella zona paracardiaca.
Ritiene il Collegio che la Corte territoriale, con il dare conto, nei termini indicati, delle cadenze in cui il fatto maturò e raggiunse la sua acme offensiva, e con il precisare che il dato centrale del compendio probatorio dovesse essere colto nel ‘contesto determinatosi a seguito dell’ingresso di R. nel bar’ ove questi si trattenne, evidentemente ‘maldisposto’ per gli apprezzamenti rivolti dal G. alla sua donna, si è validamente conformato al dictum impostogli all’esito del giudizio di rinvio escludendo che la persona offesa si fosse introdotta all’interno del bar contro la volontà espressa o tacita del G. , il quale aveva il diritto di escluderlo. All’interno dell’esercizio commerciale, secondo la prospettazione offerta dal Collegio del gravame, R. certamente si trattenne, palesando in tale frangente le sue intenzioni aggressive, ma siffatta condotta non rileva ai fini dell’integrazione della violazione di domicilio siccome descritta dall’art. 614, comma 2, cod. pen. non essendovi alcun riferimento nella sentenza impugnata all’espressa volontà contraria manifestata dal titolare dello ius excludendi alios, costituente, secondo la dottrina, l’elemento di fattispecie idoneo a descrivere, in termini obiettivi, l’offensività del permanere da parte del soggetto agente in un luogo di privata dimora – o a questo equiparato – all’interno del quale egli si sia introdotto legittimamente.
Da ciò consegue che non è ravvisabile l’eccepita violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. e, altresì, che, non essendovi stata violazione di domicilio da parte della parte offesa del tentato omicidio ascritto all’imputato, nella fattispecie censita fa difetto anche il primo dei requisiti previsti per il venire in essere della scriminante della legittima difesa siccome prevista dall’art. 52, comma 2, cod. pen. come novellato dall’art. 1 I. 13 febbraio 2006, n. 59.
Nessun vizio evidente di motivazione inficia, peraltro, la decisione impugnata nel passaggio in cui il giudice del rinvio ha escluso anche il requisito del pericolo attuale per la propria o altrui incolumità o per i propri beni, risultando pienamente conforme alle regu/ae iuris stabilite in materia ed ai canoni della logica il ragionamento posto a fondamento del giudizio di merito che ha ritenuto che il comportamento tenuto dal R. non potesse seriamente rappresentare per l’imputato quel pericolo attuale richiesto per la configurabilità della scriminante della legittima difesa. Tale presupposto implica, infatti, un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista volto a porre in essere una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti come concreta e imminente, così da rendere necessaria l’immediata reazione difensiva (Sez. 1, n. 6591 del 27/01/2010 – dep. 18/02/2010, Celeste, Rv. 24656601): caratteristiche, queste, che la Corte di appello, con motivazione insindacabile in questa sede, non ha riconosciuto nell’azione del R. siccome ricostruita.
Correttamente, dunque, il Collegio distrettuale ha ritenuto di non estendere il proprio esame al requisito dell’inevitabilità altrimenti della reazione difensiva.
Va da sé che, se non è giuridicamente prospettabile l’esimente della legittima difesa, non è, concettualmente, ipotizzabile neppure l’eccesso colposo.
Come è ovvio, l’eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti ad essa immanenti, sicché, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare che di questa vi fossero le condizioni e, poi, procedere alla differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’art. 55 cod.pen., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria che comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante (Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005 – dep. 15/12/2005, P.G. in proc. Bollardi, Rv. 23335201). Ed invero, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, poichè il presupposto su cui si fondano sia l’esimente della legittima difesa che l’eccesso colposo è costituito dall’esigenza di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata (nel caso che ci occupa tale ritenuta ex lege) e adeguata, l’eccesso colposo si distingue per un’erronea valutazione del pericolo e dell’adeguatezza dei mezzi usati: ne deriva che, una volta esclusi gli elementi costitutivi della scriminante, non v’è spazio ovviamente – per l’inesistenza di una offesa dalla quale difendersi – per la configurazione di un eccesso colposo, sicché non vi è neppure obbligo per il giudice di una specifica motivazione sul punto, pur se l’eccesso colposo sia espressamente prospettato dalla parte interessata (Sez. 5, n. 2505 del 14/11/2008 – dep. 21/01/2009, Olari e altri, Rv. 24234; Sez. 1, n. 740 del 04/12/1997 – dep. 21/01/1998, Mendicino ed altro, Rv. 20945201).
L’infondatezza del motivo determina il rigetto del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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