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2.4. E’ su tali presupposti che questa Corte, chiamata a valutare l’uso dello pseudonimo sotto il diverso profilo della responsabilita’ conseguente alla pubblicazione dell’opera, ha affermato che la sostituzione nominativa attuata con il ricorso allo pseudonimo (priva, di regola, di diretta rilevanza penale) la puo’ acquisire, nella diffamazione a mezzo stampa, nei confronti della posizione del direttore responsabile, del direttore editoriale e dell’editore, ove l’alias sia utilizzato dall’autore per sottrarsi alla negative conseguenze della ideazione e diffusione di fatti non veri e delle correlate valutazioni, ingiustificatamente offensive.
La pubblicazione di un articolo senza nome, e quindi senza l’indicazione della persona che si assume professionalmente la responsabilita’ delle notizie e delle valutazioni in esso contenute, comporta l’attribuzione dell’articolo al direttore responsabile, per la sua consapevole condotta volta a diffondere lo scritto diffamatorio.
E’ stato pertanto condivisibilmente osservato che la configurazione del reato ex articoli 110 e 595 c.p., e non del reato ex articolo 57 c.p., corrisponde alla razionale esigenza di non creare – in sede interpretativa – una sorta di zona franca e l’abrogazione di fatto dell’articolo 595 c.p., nella fattispecie della diffamazione commessa con nom de piume.
Tale orientamento interpretativo e’ pienamente conforme non solo ai principi costituzionali e alla normativa penalistica, ma anche alla specifica disciplina legislativa e contrattuale secondo cui il direttore responsabile – trait d’union fra redazione ed editore – ha il diritto di guidare la redazione, in tutta autonomia rispetto all’editore, e ha la facolta’ di operare tagli, modifiche, integrazioni sul testo scritto del giornalista, salvo il diritto di quest’ultimo di non firmare l’articolo se non condivide le modifiche apportate.
Di conseguenza, il direttore di un periodico risponde del reato di diffamazione – e non di quello meno grave di omesso controllo previsto dall’articolo 57 c.p. – per la pubblicazione di un articolo lesivo dell’onore e della reputazione altrui, l’identita’ del cui autore e’ rimasta celata dietro lo pseudonimo utilizzato per firmarlo, qualora da un complesso di circostanze esteriorizzate nella pubblicazione del testo (come la forma, l’evidenza, la collocazione tipografica, i titoli, le illustrazioni e la correlazione dello scritto con il contesto culturale che impegna e caratterizza l’edizione su cui compare l’articolo) possa dedursi il suo meditato consenso alla pubblicazione dell’articolo medesimo nella consapevole adesione al suo contenuto, tanto da far ritenere per l’appunto che la suddetta pubblicazione rappresenti il frutto di una scelta redazionale (Sez. 5, n. 41249 del 26/09/2012, S. e altro, Rv. 253752).
Analogamente e’ stato affermato che “In tema di diffamazione a mezzo stampa, e’ legittima la decisione con cui il giudice di merito dichiari responsabile di diffamazione il direttore di un mensile a tiratura limitata ed esclusivamente locale, in ordine alla pubblicazione di un articolo non firmato, in quanto, in assenza di diversa allegazione, esso deve considerarsi di produzione redazionale, riferibile al direttore redazionale, nella specie, investito anche della funzione di direttore responsabile del mensile”. (Sez. 5, n. 43084 del 10/10/2008, Rv. 242598, Monaco e altro; nella citata pronuncia, significativamente, si attribuisce in tale prospettiva rilievo dirimente al possesso da parte dell’imputato della qualita’ di direttore redazionale e non solo di direttore responsabile della pubblicazione, cosi’ motivando la diversa soluzione accolta rispetto alla precedente sentenza della Sez. 5, n. 29410 del 09/05/2007, Rinaldi Tufi, che, riferendosi invece al direttore di un settimanale nazionale a larghissima tiratura, non consentiva l’operare di analoga presunzione).
Non sussiste alcuna incertezza sul titolo della responsabilita’ concorsuale, inequivocabilmente fondata sul concorso materiale nella pubblicazione dell’articolo, avvenuta in forma sostanzialmente anonima, per una precisa scelta redazionale avallata consapevolmente dal direttore.
Non puo’ essere accolta infine la richiesta della Procura generale, che, senza contestare in linea di diritto i principi giuridici sopra ricordati e applicati dal Tribunale palermitano, ravvisa inadeguatezza della motivazione in punto adesione del direttore al contenuto dell’articolo, da valutarsi in concreto in relazione al contesto operativo e allo “spessore” della comunicazione censurata: da un lato, e in via di per se’ assorbente, l’impugnazione e’ stata proposta per saltum per denunciare violazione di legge e non vizio motivazionale, dall’altro dall’esame complessivo della motivazione della sentenza impugnata emergono significativi elementi che colorano e qualificano la condotta del direttore (OMISSIS) (si trattava della prima uscita della pubblicazione; l’autore dell’articolo si proteggeva dietro ad uno pseudonimo; lo scritto attaccava pesantemente, accusandolo di faziosa partigianeria e di grave scorrettezza professionale, un magistrato della Corte dei Conti nell’esercizio delle sue funzioni; le fonti, citate nell’articolo, da cui era stata erroneamente la notizia diffamatoria erano agevolmente controllabili).
3. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione della legge processuale penale e in particolare dell’articolo 192 c.p.p. in relazione all’affermazione della penale responsabilita’, rimproverando al Tribunale di essersi basato solo su petizioni di principio totalmente avulse da qualsiasi fondamento probatorio.
La doglianza e’ assolutamente generica e, sotto il sembiante di una censura attinente ad un preteso error in procedendo, si risolve in una recriminazione, comunque del tutto aspecifica, diretta contro l’apparato motivazionale della sentenza impugnata, non consentita in caso di ricorso immediato in Cassazione.
E’ infatti inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura l’erronea applicazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, se e’ fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto. (Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, De Angelis e altro, Rv. 266924; Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, P.C., Basile e altri, Rv. 258153).
La specificita’ dell’articolo 606, lettera e) cod. proc. pen., dettato in tema di ricorso per cassazione al fine di definirne l’ammissibilita’ per ragioni connesse alla motivazione, esclude che tale norma possa essere dilatata per effetto delle regole processuali concernenti la motivazione, attraverso l’utilizzazione del vizio di violazione di legge di cui alla lettera c) – dello stesso articolo. E cio’, sia perche’ la deducibilita’ per cassazione e’ ammessa solo per la violazione di norme processuali stabilita a pena di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ o decadenza, sia perche’ la puntuale indicazione di cui al punto e) ricollega ai limiti in questo indicati ogni vizio motivazionale; sicche’ il concetto di mancanza di motivazione non puo’ essere utilizzato sino a ricomprendere ogni omissione od errore che concernano l’analisi di determinati, specifici elementi probatori. (Sez. 1, n. 1088 del 26/11/1998 – dep. 1999, Condello e altri, Rv. 212248).
4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione della legge penale con riferimento agli articoli 51 e 59 c.p. in relazione all’esercizio, perlomeno putativo del diritto di cronaca.
4.1. In linea pregiudiziale occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di diffamazione a mezzo stampa, le esimenti del diritto di critica e del diritto di cronaca, non possono essere invocate dall’autore di uno scritto anonimo (o sotto pseudonimo, se resti non identificabile l’effettivo autore), in quanto l’anonimato non consente di verificare la necessaria correlazione tra l’esercizio d’un diritto ed il soggetto che di quel diritto e’ titolare. (Cassazione civile, sez. 6, 10/10/2013, n. 23042).
4.2. Il ricorrente sostiene che a fronte del richiamo effettuato dall’articolista a precise fonti informative (documenti acquisiti dalla Guardia di Finanza e puntuale relazione del P.M.) il direttore sarebbe stato esonerato dal controllare, ulteriormente e personalmente, le fonti richiamate, rinnovando la fatica dell’articolista.
In ogni caso, anche a prescinder da quanto rilevato sub § 4.1., l’esclusione della scriminante del diritto di cronaca e’ stata ampiamente motivata nella sentenza impugnata sulla base del fatto che le circostanze esposte nell’articolo, oltretutto in modo allusivo e denigratorio, erano risultate totalmente prive di fondamento, poiche’ il dott. (OMISSIS) aveva redatto la sentenza in questione sulla base degli elementi contenuti nel fascicolo processuale a sua disposizione.
L’esimente a titolo putativo non puo’ essere riconosciuta sia per il tono dell’articolo, ritenuto dal Giudice del merito di per se’ allusivo e insinuante, sia soprattutto per il fatto che l’ (OMISSIS) riconosce di non aver esercitato alcun controllo sul contenuto di un articolo recante pesanti insinuazioni sul comportamento professionale di un magistrato contabile, pubblicato sotto pseudonimo, accettando il rischio di lederne la reputazione, non potendosi trincerare sull’esistenza, solo genericamente indicata di fonti informative, rivelatesi del tutto inconsistenti in rapporto alla notizia pubblicata e ai suoi commenti.
L’esimente putativa del diritto di cronaca giudiziaria puo’ essere invocata in caso di affidamento del giornalista su quanto riferito dalle sue fonti informative, non solo se egli abbia provveduto comunque a verificare i fatti narrati, ma abbia altresi’ offerto la prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicita’ dei fatti (Sez. 5, n. 27106 del 09/04/2010, Ciolina, Rv. 248032). Infatti, l’esimente putativa del diritto di cronaca giudiziaria non puo’ essere affermata in ragione del presunto elevato livello di attendibilita’ della fonte se il giornalista non ha provveduto a sottoporre al dovuto controllo la notizia (Sez. 5, n. 23695 del 05/03/2010, Brancato, Rv. 247524).
La scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca e’ configurabile quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto l’onere di esaminare, controllare e verificare la notizia, in modo da superare ogni dubbio, non essendo, a tal fine, sufficiente l’affidamento ritenuto in buona fede sulla fonte. Specificamente in tema di cronaca giudiziaria e’ stata affermata la liceita’ della diffusione della notizia di un provvedimento giudiziario, ma non l’utilizzazione delle informazioni da esso desumibili per effettuare ricostruzioni o ipotesi giornalistiche autonomamente offensive, giacche’, in tal caso, il giornalista deve assumersi direttamente l’onere di verificare le notizie e non puo’ certo esibire il provvedimento giudiziario quale unica fonte di informazione e di legittimazione dei fatti riferiti (Sez. 11/03/2005, Scalfari ed altro, Rv. 232134).
4.3. Nella specie la notizia posta a fondamento dell’articolo era obiettivamente falsa; il direttore che ha pubblicato la notizia, consentendo all’autore di celarsi dietro lo pseudonimo, non ha dimostrato, ne’ allegato di aver effettuato alcuna verifica o controllo; non e’ dimostrato neppure che i controllo li abbia eseguiti l’ignoto articolista, che mostra di basarsi su tutti i documenti acquisiti dalla Guardia di Finanza, comunque indicati in modo sommamente generico, e sulla “puntuale relazione” del P.M. (OMISSIS), atti che invece, stando a quanto accertato dal giudice del merito e neppur contestato specificamente dal ricorrente, non contenevano affatto quel nominativo del figlio del Presidente (OMISSIS), che, secondo l’ignoto articolista, il Consigliere (OMISSIS) avrebbe maliziosamente omesso.
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