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Qui, infatti, il tema introdotto dalla parte – a ben vedere – non e’ quello della persistenza o meno della pericolosita’ sociale quanto quello della “ineseguibilita’” della specifica misura irrogata (l’espulsione) in rapporto ad una condizione che opera come “limite esterno” alla eseguibilita’ del provvedimento, correlato al rispetto di previsioni regolatrici diverse, sia interne che di natura pattizia (il divieto di respingimento, nelle forme che si esamineranno in seguito).
Dunque un primo principio e’ necessario affermare, nel senso della inesistenza di una ragione giustificatrice del diniego alla rivedibilita’ della misura di sicurezza personale correlata alla “non prossimita’ del fine pena” del soggetto istante (si tratta della ratio decidendi esposta dal Magistrato di Sorveglianza).
2.2 Quanto alla seconda ratio decidendi, esposta dal Tribunale di Sorveglianza, la stessa e’ parimenti da ritenersi fallace.
La domanda dell’istante, al di la’ dei profili in fatto, e’ tesa al riconoscimento – in via incidentale ma condizionante Il mantenimento della misura di sicurezza – di una particolare condizione soggettiva (accesso alla cd. protezione sussidiaria) tale da risultare, in tesi, ostativa alla espulsione.
In simile contesto, compito del Tribunale di Sorveglianza, in virtu’ delle attribuzioni di potere giurisdizionale sul tema (in forza delle disposizioni contenute negli articoli 678 e 679 c.p.p. e articolo 69, commi 3 e 4 ord.pen.) e’, senza dubbio alcuno, quello di procedere alla verifica immediata della eseguibilita’ o meno della misura di sicurezza disposta in cognizione, anche li’ dove cio’ comporti una verifica incidentale di una condizione giuridica attribuita alla competenza di altra autorita’ (amministrativa e giurisdizionale in sede di eventuale opposizione, come e’ per la delibazione delle domande di asilo o di ottenimento dello status di rifugiato).
Come e’ stato precisato da questa Corte in piu’ arresti (si vedano, in tema di accertamento incidentale delle condizioni per l’ottenimento dello status di rifugiato, Sez. 1 n. 41368 del 14.10.2009, rv 245064; Sez. 1 n. 2239 del 17.12.2004, dep.2005, rv 230546; Sez. 1 n. 39764 del 13.10.2005, rv 232685) cio’ deriva dalla segnalata attribuzione funzionale della giurisdizione sulle misure di sicurezza (alla Magistratura di Sorveglianza) e dalla regola generale di cui all’articolo 2 del codice di rito, per cui il giudice penale risolve “ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito”.
Non vi e’, pertanto, alcun limite all’apprezzamento incidentale, a fini di mantenimento o meno della misura, della prospettazione della parte in punto di causa ostativa – con eventuale esercizio di poteri istruttori ex officio -, dato che i temi sollevati non riguardano certo una “controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza” il cui esame sarebbe precluso ai sensi dell’articolo 3 c.p.p., ne’ puo’ ritenersi carente l’interesse ad ottenere una immediata verifica di quanto prospettato.
Non puo’, pertanto, ritenersi valido motivo di diniego all’esame del merito il fatto che il soggetto detenuto sia titolare del potere di chiedere, in via ordinaria, l’accertamento della condizione di avente diritto alla cd. protezione sussidiaria (oggi tema regolamentato dal Decreto Legge 17 febbraio 2017, n. 13, conv. in L. 13 aprile 2017, n. 46), dato che tale potere e’ da ritenersi di certo concorrente ma non influisce – in alcun modo – sulla ammissibilita’ (e sul dovere di esame) della domanda proposta al “giudice della misura di sicurezza”.
2.3 Dalle considerazioni che precedono deriva l’apprezzamento della illegittimita’ del diniego opposto in sede di merito alla delibazione della domanda dell’attuale ricorrente, con statuizione di annullamento della decisione impugnata.
3. Va peraltro, per completezza di trattazione ed al fine di orientare i poteri del giudice del rinvio, realizzata la verifica della ammissibilita’, in diritto, della domanda introduttiva, sotto il profilo del rapporto che intercorre tra la misura di sicurezza dell’espulsione (misura di sicurezza, qui ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 86) e la condizione di soggetto avente diritto – in ipotesi – alla protezione sussidiaria, o che in ogni caso esponga l’esistenza di uno dei rischi che caratterizzano tale condizione (qui il rischio di essere destinatario di condanna alla pena di morte) ferma restando la necessaria verifica in fatto, affidata al giudice del merito, della verita’ di quanto dichiarato da (OMISSIS).
3.1 Il tema e’ di una certa complessita’, data la stratificazione delle fonti incidenti, anche di diverso livello.
Va, sul punto, richiamato in premessa il significativo arresto giurisprudenziale rappresentato da Sez. 6 n. 20514 del 28.4.2010, ric. Arman Ahmed ed altri, rv 247347.
In tale decisione si e’ affermato che: allorche’ la Corte Europea ha stabilito che l’esecuzione di provvedimenti di espulsione o comunque di trasferimento forzoso verso un determinato Paese (nella specie, la Tunisia) integri la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo, in considerazione del rischio di attuazione di pene o trattamenti inumani o degradanti, e’ compito di ogni organo giurisdizionale nazionale, competente a deliberare decisioni che comportano trasferimenti di persone verso quel Paese, individuare ed adottare, in caso di ritenuta pericolosita’ della persona, un’appropriata misura di sicurezza, diversa dall’espulsione, e cio’ fino a quando non sopravvengano fatti innovativi idonei a mutare la suddetta situazione di allarme.
In tale decisione si e’ adottato un criterio interpretativo che fa discendere il divieto di dar luogo alla misura di sicurezza dell’espulsione direttamente dai contenuti delle fonti sovranazionali (qui la Conv. Europea del 1950), pur in presenza di accertamento positivo della pericolosita’ della persona, con correlato obbligo per il giudice interno di dichiarare ineseguibile l’espulsione e applicare misura di sicurezza diversa.
Tale indirizzo emeneutico – cui si presta adesione – pone come ineludibile il tema della verifica di conformita’ della disciplina interna ai contenuti delle fonti sovranazionali, da cui derivano precisi obblighi per lo Stato italiano (in ogni sua articolazione), dovendosi privilegiare una interpretazione delle disposizioni interne conforme a detti contenuti di tutela dei diritti fondamentali della persona.
3.2 Sul tema del divieto di respingimento, infatti, ricadono piu’ disposizioni sovranazionali, di fonte diversa, ed in particolare:
a) l’articolo 3 della Convenzione Europea del 1950, ove si afferma che nessuno puo’ essere sottoposto a tortura, ne’ a pene o trattamenti inumani o degradanti (diritto non derogabile in alcun caso, ai sensi del successivo articolo 15);
b) il diritto UE ed in particolare l’articolo 19, comma 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (cd. Carta di Nizza) ove si afferma che nessuno puo’ essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti. Tale disposizione fa parte integrante del diritto dell’Unione, anche ai sensi del successivo articolo 51 della medesima Carta (ove si prevede l’applicabilita’ delle disposizioni contenute nel trattato esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione), essendo intervenute sul tema in via di progressiva regolamentazione le direttive: 2004/83/CE (norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonche’ norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta), 2011/95/UE (norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario della protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonche’ sul contenuto della protezione riconosciuta) e 2013/32/UE (procedure comuni a fini di riconoscimento e revoca dello status di protezione internazionale).
Va dunque ricordato che in presenza di norme comunitarie provviste di efficacia diretta (e tale e’ da ritenersi, in virtu’ della emanazione e dei contenuti delle suddette direttive, la stessa previsione di cui all’articolo 19, comma 2 della Carta di Nizza) e’ preclusa al giudice comune l’applicazione di contrastanti disposizioni del diritto interno, con necessaria disapplicazione di queste ultime (Corte Cost. gia’ sent. n. 170 del 1984, nonche’ di recente, sent. n. 284 del 2007 e successive sul tema).
Cio’, in particolare, consente all’interprete di realizzare la piena applicazione, ove necessario, del diritto UE provvisto di efficacia diretta, superando l’obbligo di devoluzione alla Corte Costituzionale del riscontrato contrasto – non risolvibile – tra i contenuti della disposizione interna e quelli della Convenzione Europea (qui in rapporto all’articolo 3 Conv.), necessita’ piu’ volte ribadita dal giudice delle leggi, da ultimo con la decisione n. 109 del 5 aprile 2017, ove si e’ ricordato che nell’attivita’ interpretativa che gli spetta ai sensi dell’articolo 101 Cost., comma 2, il giudice comune ha il dovere di evitare violazioni della Convenzione Europea e di applicarne le disposizioni, sulla base dei principi di diritto espressi dalla Corte EDU, specie quando il caso sia riconducibile a precedenti di quest’ultima (sentenze n. 68 del 2017, n. 276 e n. 36 del 2016). In tale attivita’, egli incontra, tuttavia, il limite costituito dalla presenza di una legislazione interna di contenuto contrario alla CEDU: in un caso del genere – verificata l’impraticabilita’ di una interpretazione in senso convenzionalmente conforme, e non potendo disapplicare la norma interna, ne’ farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la Convenzione e, pertanto, con la Costituzione, alla luce di quanto disposto dall’articolo 117 Cost., comma 1, – deve sollevare questione di legittimita’ costituzionale della norma interna, per violazione di tale parametro costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 150 del 2015, n. 264 del 2012, n. 113 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 e n. 239 del 2009).
4. La premessa e’ necessaria, ove si affronti il tema, posto nella presente procedura, delle condizioni di accesso alla protezione sussidiaria, trattandosi di condizione giuridica affine ma diversa rispetto a quella dello status di rifugiato.
Non e’ inutile, pertanto, realizzare un breve excursus storico del tema e un sintetico confronto tra i contenuti delle previsioni sovranazionali e di quelle interne, specie per quanto riguarda la disciplina legislativa della immigrazione, essendo del tutto evidente la inadeguatezza, solo di recente emendata dal legislatore (attraverso la novellazione apportata con L. 14 luglio 2017, n. 110, all’articolo 3, disposizione peraltro sopravvenuta alla camera di consiglio della presente procedura, tenutasi in data 18.5.2017) dei contenuti del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 19 in tema di descrizione delle condizioni ostative alla espulsione.
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