Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 15 febbraio 2018, n. 7390. La circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 1, viene in rilievo quando la condotta dell’agente rinviene il suo movente in ragioni che siano certamente corrispondenti ad un’etica che sottolinei i valori piu’ elevati della natura umana

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Deriva da tale impostazione che il valore morale o sociale del motivo che ha determinato la condotta illecita va apprezzato sul piano oggettivo: sia nel senso che esso deve essere considerato come tale, non da ambienti sociali circoscritti sul piano culturale, ideologico od anche territoriale, ma dalla prevalente coscienza collettiva espressione della comunita’ (cfr. Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224077); sia nel senso che non rileva il piano, puramente soggettivo, costituito dall’idea sviluppata dall’agente, fermo restando che, quando il valore morale e sociale sia obiettivamente tale per la coscienza collettiva, l’agente abbia compiuto il reato per essere stato effettivamente spinto ad agire dal motivo radicato in quel valore.
Si e’ pertanto specificato che, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, non basta l’intima convinzione dell’agente di perseguire un fine moralmente apprezzabile, ma e’ necessaria anche l’obiettiva rispondenza del motivo perseguito a valori etici o sociali effettivamente apprezzabili e, come tali, riconosciuti preminenti dalla collettivita’, sicche’ tale attenuante non puo’ trovare applicazione se il fatto di particolare valore morale o sociale esiste soltanto nell’opinione del soggetto attivo del reato (v. sull’argomento Sez. 2, Sentenza n. 197 del 07/12/2016, dep. 2017, Dolce, Rv. 268779; nonche’ Sez. 1, n. 20443 del 08/04/2015, Nobile, Rv. 263593, che richiama anche la disciplina prevista dall’articolo 59 cod. pen. in base a cui le circostanze aggravanti ed attenuanti devono essere considerate e applicate per le loro connotazioni di oggettivita’).
La netta distinzione logica fra il particolare valore morale o sociale del motivo che ha determinato l’azione antigiuridica e l’accertata illiceita’ penale dell’azione stessa rende chiaro che l’approvazione della coscienza collettiva che rende giuridicamente rilevante il primo deve inerire – sempre e soltanto – al motivo, non alla condotta, in thesi sanzionata dalla norma incriminatrice.
Nella complessa valutazione da compiersi, poi, rileva verificare quale sia stato il mezzo prescelto al fine perseguito (cfr. Sez. 1, n. 11236 del 27/11/2008, dep. 2009, Rv. 243220, che ne esclude la ricorrenza quando i motivi dedotti siano di scarsa rilevanza rispetto alla gravita’ del reato commesso), tanto’ piu’ quando l’obiettivo della condotta sia identificato nel sacrificio estremo della vita della vittima.
Del pari, va verificato se nel determinismo generatore della condotta antigiuridica all’addotto motivo avente valore morale o sociale si siano affiancati, anche in modo implicito, concorrenti interessi di natura lato sensu egoistica.
4. In questa cornice, con specifico riferimento all’omicidio perpetrato per pieta’ verso il congiunto gravemente sofferente, e’ da riflettere come sia stata gia’ esclusa la riconoscibilita’ dell’attenuante in parola.
Si e’, in particolare, ritenuto che essa non puo’ essere riconosciuta all’omicida del coniuge affetto da grave malattia, il cui movente sia stato quello di porre fine a una vita di strazi, in quanto dall’azione criminosa non esula la finalita’ egoistica di trovare rimedio alla sofferenza, consistente nella necessita’ di accudire un malato grave ridotto in uno stato vegetativo Sez. 1, n. 47039 del 11/12/2007, Mancini, Rv. 238169).
In tempi meno recenti, ma con considerazioni che non appaiono superate attesa la persistente sussistenza di opposte visioni nell’attuale coscienza sociale della comunita’, si e’ evidenziato che, dovendo – i motivi considerati – corrispondere a finalita’, principi, criteri che ricevano l’incondizionata approvazione della societa’ in cui agisce chi tiene la condotta criminosa ed in quel determinato momento storico per il loro valore morale o sociale particolarmente elevato, in modo da sminuire, senza eliderla, l’antisocialita’ dell’azione criminale e da riscuotere il consenso della collettivita’, con riferimento all’eutanasia, le discussioni esistenti sulla condivisibilita’ della relativa condotta, fanno persistere la valutazione della mancanza di un suo generale attuale apprezzamento positivo, risultando anzi ampie correnti di opinione che la contrastano nella societa’ contemporanea: situazione che impone di escludere l’evenienza della generale valutazione positiva da un punto di vista etico-morale condizionante la qualificazione del motivo come di particolare valore morale e sociale (cfr. Sez. 1, n. 2501 del 07/04/1989, dep. 1990, Billo, Rv. 183422, in fattispecie in cui l’imputato aveva ucciso la moglie gravemente inferma e si doleva del mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 1 asserendo di aver agito solo per porre fine alle sofferenze della moglie).
Posto cio’, e’, in primo luogo, da osservare che, nel caso di specie, la doglianza non riesce a scardinare in modo persuasivo l’apparato argomentativo che caratterizza la sentenza impugnata nella parte in cui esclude che il movente che ha animato il (OMISSIS) possa essere individuato nella sua propria grave condizione psico-fisica coniugata alla preoccupazione che, paventando come imminente la sua fine o comunque l’impossibilita’ di continuare ad accudire la consorte, a tanto avrebbe dovuto provvedere sua figlia (OMISSIS), che aveva la sua famiglia.
I giudici di appello hanno spiegato, con motivazione congrua e logicamente limpida, come tale incensurabile in sede di legittimita’, perche’ tale prospettazione non trovi riscontro probatorio, alla luce delle stesse dichiarazioni rese dal (OMISSIS) nell’immediatezza del fatto, che non hanno contemplato affatto alcun accenno alla condizione in cui si sarebbe venuta a trovare la figlia.
A parte quanto precede, e’ poi da aggiungere che, in relazione al parametro normativo come in precedenza richiamato, la preoccupazione per la situazione complessa in cui si sarebbe venuta a trovare la figlia, per dover badare contemporaneamente alla sua famiglia ed alla (OMISSIS), per il fatto che il (OMISSIS) non aveva la possibilita’ di ricoverare la moglie in una struttura assistenziale e, si desume, escludesse che l’assistenza pubblica in loco potesse intervenire utilmente, integra – senza alcuna sottovalutazione della gravita’ delle condizioni dell’inferma e delle ripercussioni che in ambito familiare esse generavano – una situazione obiettivamente inidonea a determinare, quale motivo di particolare valore morale o sociale, la decisione di sopprimere la consorte.
Appare, invero, conforme a massima di comune esperienza escludere che la (dedotta) consapevolezza della carenza di pubbliche strutture assistenziali idonee a coadiuvare la famiglia nell’assistenza di congiunti gravemente ammalati, pur senza possibilita’ di remissione del quadro patologico, commista alla preoccupazione di gravare sulla vita di altri congiunti, pure moralmente e giuridicamente obbligati verso la persona malata, possa generare – secondo la coscienza etico-sociale prevalente nella collettivita’ – la spinta volta a sopprimere la vita dell’infermo quale motivo di particolare valore morale o sociale.
Quanto, poi, alla diversa pulsione a base dell’avvenuta azione omicida, di cui pure si sono occupate in modo conforme, con diffusi e precisi argomenti, entrambe le sentenze di merito, ossia quella piu’ francamente adesiva all’omicidio per pieta’ del congiunto, va premesso che il (senza dubbio) drammatico e disperato contegno serbato dal (OMISSIS) si e’ fondato – quanto all’opinione secondo cui la consorte “avrebbe preferito essere trovata una mattina morta nel suo letto” a cagione delle sofferenze che pativa – sul convincimento maturato, certo in ragione della situazione vissuta in posizione infungibile, dall’imputato, ma senza alcuna altra acquisizione probatoria idonea a confortare questo convincimento.
Orbene, su tale versante, la situazione di fatto analiticamente vagliata ha condotto la Corte territoriale a ritenere, in adesione alle diffuse considerazioni svolte dal primo giudice, che nella specie non si sia avuta una condotta animata da un movente di valore morale o sociale particolarmente elevato, che fosse idoneo a sminuire l’antisocialita’ dell’azione omicida.
Pertanto, incensurabile deve ritenersi l’approdo esposto dalla Corte di appello secondo cui la determinazione – pur difficile e disperata – assunta dal (OMISSIS) di sopprimere la consorte, gravemente malata, non puo’ riconoscersi nemmeno sotto questo profilo essere stata l’esito di un motivo avente particolare valore morale o sociale.
5. Queste considerazioni impongono, in definitiva, di pervenire al rigetto dell’impugnazione.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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