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Premesso che la natura del vizio denunciato ne esclude la deducibilita’ con il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, trattandosi di error in procedendo, nell’accertamento del quale questa Corte opera come giudice anche del fatto, e puo’ quindi procedere al riscontro della violazione lamentata attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dalla sufficienza e dalla logicita’ della motivazione adottata dal giudice di merito (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 21/04/2016, n. 8069; Cass., Sez. 1, 30/07/2015, n. 16164; Cass., Sez. 6, 28/11/2014, n. 25308), si osserva che gli addebiti posti a fondamento della dichiarazione di responsabilita’ degli amministratori e dei sindaci avevano costituito, per la maggior parte, oggetto di allegazione fin dall’atto di citazione, nel quale, pur concludendo per la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni in misura pari alla differenza tra l’importo necessario per l’integrale soddisfacimento dei creditori della societa’ fallita ed il ricavato della liquidazione dei beni e delle attivita’ fallimentari, il curatore non si era limitato a far valere genericamente la violazione degli obblighi inerenti alle cariche ricoperte dai convenuti, ma aveva dedotto una serie di comportamenti idonei a determinare il dissesto della societa’, tra i quali il mancato recupero dei crediti vantati nei confronti di altre societa’ appartenenti al medesimo gruppo e la commissione d’irregolarita’ contabili volte, tra l’altro, a procurare vantaggi economici ai soci a scapito dell’interesse e del patrimonio sociale.
L’ampia portata delle predette allegazioni, volte ad evidenziare sotto una pluralita’ di profili l’inadeguato adempimento dei compiti di amministratore e sindaco, pur senza incidere sulla specificita’ degli addebiti, consente di escludere la novita’ delle richieste formulate dal curatore all’udienza di precisazione delle conclusioni, il cui riferimento agli elementi emersi nel corso del giudizio e segnatamente alle risultanze della c.t.u. espletata non si e’ tradotto in un sostanziale mutamento della causa petendi e del petitum originari. Ai fini di tale mutamento, e’ infatti necessario che nel corso del giudizio venga avanzata una pretesa oggettivamente diversa da quella originaria, mediante la deduzione di un petitum diverso e piu’ ampio oppure di una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate in precedenza, ed in particolare su un fatto costitutivo radicalmente differente, in modo tale da introdurre nel processo un nuovo tema d’indagine e da spostare i termini della controversia, con il conseguente disorientamento della difesa della controparte e l’alterazione del regolare svolgimento del giudizio (cfr. Cass., Sez. 2, 28/01/2015, n. 1585; Cass., Sez. 5, 20/07/2012, n. 12621; Cass., Sez. lav., 27/07/2009, n. 17457). In tema di responsabilita’ contrattuale, e’ stato peraltro escluso il verificarsi di tale situazione allorquando, come nella specie, l’originaria allegazione dell’inadempimento della controparte, gia’ sufficientemente specificata, venga meglio precisata mediante la deduzione di ulteriori profili d’inadeguatezza della prestazione, che lascino pero’ essenzialmente immutato il titolo della pretesa avanzata, non incidendo sull’individuazione del fatto costitutivo della domanda (cfr. Cass., Sez. 2, 26/08/ 2014, n. 18275). Con specifico riferimento alla responsabilita’ degli amministratori di societa’, poi, pur riconoscendosi l’essenzialita’ dell’individuazione della causa petendi, al fine di consentire alla controparte l’approntamento di un’adeguata difesa, nel rispetto del principio del contraddittorio, ed escludendosi pertanto la possibilita’ d’invocare genericamente il compimento di atti di mala gestio, con riserva di descriverli piu’ specificamente nel corso del processo, si e’ precisato che la carente indicazione dei comportamenti ritenuti contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto si traduce nella nullita’ della citazione soltanto quando investa l’intero contenuto dell’atto, in quanto i fatti esposti risultino incerti ed inadeguati a tratteggiare l’azione, escludendosi invece la rilevanza di elementi marginali, con la conseguenza che la modificazione di questi ultimi non puo’ considerarsi neppure idonea a determinare un mutamento del titolo della domanda (cfr. Cass., Sez. 1, 27/12/2013, n. 28669; 27/10/2006, n. 23180).
A maggior ragione, deve infine escludersi la possibilita’ di ricollegare la modificazione della domanda alla mera precisazione del petitum (in senso peraltro riduttivo rispetto all’atto di citazione), ricollegabile non solo ai risultati delle indagini compiute dal c.t.u., ma anche all’evoluzione nel frattempo verificatasi nella giurisprudenza di legittimita’ in tema di responsabilita’ degli amministratori, che, in caso di fallimento della societa’, ha condotto a negare la possibilita’ d’individuare sic et simpliciter il danno risarcibile nella differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, e ad affermare l’utilizzabilita’ di tale criterio soltanto quale parametro per una liquidazione equitativa, ove ne sussistano le condizioni, e sempre che risultino indicate le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dei predetti soggetti (cfr. Cass., Sez. Un., 6/05/2015, n. 9100; Cass., Sez. 1, 3/01/2017, n. 38; 2/10/2015, n. 19733).
11. Va quindi esaminato il primo motivo dei ricorsi proposti dal (OMISSIS), con cui quest’ultimo denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 2949, 2392, 2422, 2435 e 2935 c.c. e dell’articolo 112 c.p.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia, sostenendo che, nel ritenere non validamente censurato il rigetto dell’eccezione di prescrizione, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del richiamo, contenuto nell’atto di appello, alla circostanza, pacificamente risultante dagli atti, che i creditori erano a conoscenza dello stato di dissesto della societa’, ne’ dell’espresso rinvio alle domande ed alle eccezioni proposte in primo grado. Nell’escludere la predetta conoscenza, la Corte d’appello e’ peraltro incorsa in contraddizione, avendo contemporaneamente dato atto del carattere antieconomico dell’attivita’ svolta dalla societa’ fallita, che ne costituiva una qualita’ permanente e conosciuta dai creditori sulla base dei bilanci annuali. La sentenza impugnata ha infine omesso di considerare che egli si era dimesso dalla carica di amministratore fin dal 22 agosto 1990, nonche’ di motivare il rigetto delle istanze istruttorie da lui formulate.
11.1. Il motivo e’ infondato.
Lo stesso ricorrente ammette infatti che, nel riproporre in appello l’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado, aveva omesso di censurare specificamente la decisione adottata dal Tribunale, riconoscendo di essersi limitato a rinviare alle proprie domande ed eccezioni, nonche’ a richiamare le circostanze risultanti dagli atti di causa. Tali modalita’ di formulazione del gravame sono state correttamente ritenute irrispettose del principio di specificita’ dei motivi d’impugnazione, stabilito dall’articolo 342 c.p.c., la cui osservanza, postulando che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata ne vengano contrapposte altre, volte ad incrinarne il fondamento logico-giuridico, esclude l’ammissibilita’ di un mero richiamo alle difese svolte in precedenza, richiedendosi invece una critica adeguata e specifica della decisione impugnata, che consenta al giudice di appello di percepire con chiarezza il contenuto delle censure proposte in riferimento ad una o piu’ statuizioni adottate dal primo giudice (cfr. Cass., Sez. 1, 27/09/2016, n. 18932; 18/01/2013, n. 1248; Cass., Sez. 3, 15/06/2016, n. 12280).
12. Con il nono motivo del suo ricorso, il (OMISSIS) lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia, sostenendo che, nel ritenere irrilevante il ripianamento delle perdite da parte dei soci, a fronte del dissesto della societa’, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del carattere intrinsecamente antieconomico dell’attivita’ svolta da quest’ultima, accertato dalla sentenza di primo grado e rimasto incensurato, ed ha comunque fatto ricorso ad un’argomentazione inconferente, nonche’ smentita dal rilievo che il passivo si era formato nel periodo intercorrente tra l’arresto dei soci e la messa in liquidazione della societa’.
12.1. Con il decimo motivo, il ricorrente denuncia la nullita’ della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 324 c.p.c. e articolo 329 c.p.c., comma 2, nonche’ dell’articolo 2909 c.c., censurando la sentenza impugnata per aver violato il giudicato interno formatosi a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva rigettato la domanda principale, escludendo la sussistenza del nesso causale tra le condotte ascritte ai convenuti ed il dissesto della societa’, in virtu’ del carattere antieconomico dell’attivita’ svolta da quest’ultima.
13. I due motivi, devono essere trattati congiuntamente, in quanto riflettenti questioni strettamente connesse, ed unitamente ad essi va esaminato il secondo motivo del ricorso incidentale proposto dai (OMISSIS).
Con detto motivo, i controricorrenti deducono la nullita’ della sentenza impugnata, per violazione dell’articolo 324 c.p.c. e articolo 329 c.p.c., comma 2 e dell’articolo 2909 c.c., osservando che, nell’affermare la responsabilita’ degli amministratori e dei sindaci, la sentenza impugnata e’ incorsa in violazione del giudicato formatosi in ordine alla sentenza di primo grado, non impugnata nella parte in cui aveva escluso la configurabilita’ del nesso causale tra le condotte addebitate ed il dissesto della societa’, a causa del carattere intrinsecamente antieconomico dell’attivita’ svolta da quest’ultima e della conseguente necessita’ di rifinanziamenti da parte dei soci.
14. I predetti motivi sono infondati.
Com’e’ noto, la mancata impugnazione di una o piu’ affermazioni contenute nella sentenza puo’ dar luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, avendo risolto questioni controverse che, in quanto dotate di propria individualita’ ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente ad altri, concorrano a formare un capo unico della decisione (cfr. Cass., Sez. 1, 23/03/2012, n. 4732; Cass., Sez. 3, 30/10/2007, n. 22863; 16/01/2006, n. 726). In applicazione di tale principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimita’, deve ritenersi che la mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva escluso la riconducibilita’ del dissesto della societa’ alla condotta degli amministratori, non comportasse la formazione del giudicato interno anche in ordine alla questione, del tutto distinta ed autonoma, concernente la configurabilita’ del nesso eziologico tra le violazioni ascritte ai convenuti ed i danni alle stesse specificamente ricollegabili.
Correttamente, a quest’ultimo fine, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del carattere intrinsecamente antieconomico dell’attivita’ svolta dalla societa’ fallita, la cui strutturale inettitudine ad operare in attivo, a causa dell’insufficienza dei ricavi tipici della gestione a coprire i costi fissi di esercizio, non escludeva l’obbligo dei convenuti di attivarsi per il ripianamento delle perdite e, se necessario, per la ricostituzione del capitale sociale, trattandosi di determinazioni certamente rimesse alla competenza dell’assemblea dei soci, ma il cui promuovimento, ai sensi dell’articolo 2446 c.c., spettava comunque agli amministratori, ed in caso d’inerzia degli stessi ai sindaci. Quanto poi alla considerazione, svolta dalla Corte di merito a sostegno della necessita’ delle predette iniziative, secondo cui il ripianamento delle perdite avrebbe evitato la formazione del passivo fallimentare, non merita consenso l’obiezione secondo cui tale passivo si sarebbe formato a seguito dell’arresto dei soci, dal momento che, come ammette lo stesso ricorrente, tra il predetto evento e la messa in liquidazione della societa’ trascorse oltre un anno, senza che fosse adottato alcun provvedimento.
15. Con l’undicesimo motivo, il (OMISSIS) deduce la violazione e la falsa applicazione della L. 25 febbraio 1987, n. 67, articolo 9, sostenendo che, nel ricollegare la perdita del contributo statale per l’editoria alla mancata certificazione del bilancio, la sentenza impugnata ha implicitamente ritenuto che il contributo costituisse oggetto di un diritto soggettivo perfetto, senza considerare che non vi era alcuna certezza in ordine all’erogazione del contributo, in quanto, anche in presenza di un bilancio certificato, l’autorita’ preposta non vi e’ tenuta, dovendo accertare, anno per anno, la sussistenza degli ulteriori requisiti prescritti dalla legge, e nella specie l’andamento antieconomico della societa’ avrebbe dovuto far presumere che il contributo non sarebbe stato erogato.
15.1. Con il dodicesimo motivo d’impugnazione, il ricorrente lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia, osservando che la sentenza impugnata ha ricollegato la perdita del contributo esclusivamente alla mancata certificazione del bilancio, senza accertare la sussistenza degli altri requisiti prescritti dalla legge. La Corte d’appello e’ incorsa inoltre in contraddizione, avendo escluso la responsabilita’ degli amministratori per aver gestito in perdita la societa’, ma avendo addebitato agli stessi la mancata certificazione del bilancio, che costituiva la conseguenza di detta gestione.
16. I predetti motivi devono essere trattati congiuntamente, avendo ad oggetto profili diversi della medesima questione, ed unitamente ad essi vanno esaminati il terzo motivo del ricorso incidentale del (OMISSIS), il secondo motivo del ricorso dello (OMISSIS) ed il quarto motivo del ricorso incidentale dei (OMISSIS).
Con il terzo motivo, il (OMISSIS) lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2392 c.c. e segg., nonche’ l’omessa, insufficiente e illogica motivazione in ordine a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell’addebitare agli amministratori la perdita del contributo per l’editoria, in virtu’ della mancata certificazione del bilancio, la sentenza impugnata non ha considerato che la relazione negativa della societa’ di revisione, oltre ad essere stata depositata sette mesi dopo la chiusura dell’esercizio, non comportava la decadenza dal contributo, ma solo la sospensione della sua erogazione.
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