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E, come e’ noto, il giustificato motivo oggettivo di cui alla L. n. 604 del 1966, articolo 3, deve essere valutato sulla base degli elementi di fatto realmente esistenti al momento della comunicazione del recesso e non su circostanze future ed eventuali (giurisprudenza costante: cfr., ex aliis, Cass. n. 12261/03; Cass. n. 6363/2000; Cass. 5301/2000; Cass. n. 10616/97; Cass. n. 7263/96; Cass. n. 603/96; Cass. n. 1970/92).
Sempre in punto di fatto e’ stato altresi’ accertato che appena poco prima del licenziamento la societa’ aveva assunto un altro dipendente da adibire allo stesso lavoro cui era addetto (OMISSIS) e che l’amministratore delegato della societa’, nel summenzionato colloquio del 4.3.09, aveva espressamente detto al controricorrente che lo avrebbe licenziato perche’ nessuno lo sopportava piu’ in azienda (“Te lo dico io, nessuno ti sopporta piu’… Tu non vai d’accordo con le persone responsabili di questa azienda”), cosi’ come gli si era rivolto dicendogli “… io di motivazioni (del licenziamento: n.d.r.) te ne trovo quante ne vuoi… ” o, ancora, sfidandolo con il dire che “L’importanza… e’ questa e che noi andiamo davanti a un Giudice, portiamo venti testimoni, tutti testimoni dell’Azienda, tutti testimoniano che ha combinato qualcosa e tutti testimoniano che hai fatto qualche cosa, cioe’ che non vanno d’accordo con te”.
Le obiezioni mosse in ricorso, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, sostanzialmente sollecitano una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinche’ se ne fornisca un diverso apprezzamento.
Si tratta di operazione non consentita in sede di legittimita’.
Tali censure non possono nemmeno intendersi come deduzione di omesso esame di fatti decisivi, trattandosi di doglianza a monte non consentita dall’articolo 348-ter c.p.c., commi 4 e 5, essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto in punto di illegittimita’ del licenziamento.
Inoltre, tecnicamente il colloquio fra le parti descritto in sentenza integra confessione extragiudiziale resa alla controparte e, in quanto tale, costituisce prova legale ai sensi del combinato disposto dell’articolo 2735 c.c., comma 1, primo periodo e articolo 2733 c.c..
Ne’ si dica che il carattere illecito del licenziamento emerso (anche) dal colloquio del 4.3.09 fra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) costituirebbe un mero motivo determinante, ma non esclusivo del licenziamento (nell’ottica del previgente testo della L. n. 300 del 1970, articolo 18: la nuova versione, come risultante dalla L. n. 92 del 2012, ammette l’illiceita’ del licenziamento anche quando illecito sia un motivo determinante, ma non anche unico): i giudici di merito hanno accertato l’esatto contrario, ossia che la ragione riorganizzativa dedotta nella lettera di licenziamento era meramente pretestuosa perche’ smentita dalle risultanze in atti.
A questo punto, una volta accertata in punto di fatto l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo, risulta vano ogni altro discorso circa l’idoneita’, nell’atto d’appello, della confutazione delle argomentazioni del Tribunale in ordine alla possibilita’ o meno d’un repe’chage del lavoratore licenziato, cosi’ come e’ vano interrogarsi sui relativi oneri di allegazione e prova, poiche’ in tanto si puo’ discutere di possibilita’ o meno d’un repe’chage (e dei relativi oneri di allegazione) in quanto la ragione tecnico-organizzativa si sia rivelata reale (il che, invece, nel caso in oggetto e’ stato positivamente escluso dai giudici di merito).
2.2. Il terzo motivo di ricorso va disatteso perche’ fuori centro.
La sentenza impugnata ha ritenuto non tanto ingiurioso, quanto persecutorio e vessatorio il licenziamento intimato e ne ha altresi’ positivamente accertato l’idoneita’ lesiva sul piano non patrimoniale, demandando ad altro separato giudizio la verifica in concreto di an e di quantum debeatur in termini risarcitori, il che e’ conforme alla giurisprudenza di questa S.C., che ammette la condanna in via generica basata sulla mera potenzialita’ lesiva della condotta accertata, restando salva nel giudizio di liquidazione del quantum la possibilita’ di escludere l’esistenza di un danno eziologicamente conseguente al fatto illecito (cfr. Cass. n. 23429/14; Cass. n. 15595/14; Cass. n. 11953/95; Cass. n. 2059/83).
In tal modo i giudici di merito si sono altresi’ attenuti alla costante giurisprudenza di questa S.C. secondo la quale nel regime di tutela reale della L. 20 maggio 1970, n. 300, ex articolo 18 (nel testo ratione temporis applicabile, anteriore alla modifica apportata con L. 28 giugno 2012, n. 92), il danno all’integrita’ psico-fisica del lavoratore, cagionato dalla perdita del lavoro e della retribuzione, e’ una conseguenza soltanto mediata ed indiretta (e, quindi, non fisiologica e non prevedibile) del recesso datoriale e, pertanto, non e’ risarcibile a meno che non ricorra l’ipotesi del licenziamento ingiurioso oppure persecutorio o vessatorio (quest’ultimo e’ il caso ravvisato dalla sentenza impugnata), trovando la sua causa immediata e diretta non nella perdita del posto di lavoro, bensi’ nel comportamento intrinsecamente illegittimo del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 5730/14; Cass. n. 6845/10; Cass. n. 5927/08).
2.3. Il quarto motivo di ricorso va rigettato perche’ anch’esso scivola sul piano dell’accertamento di merito, in sostanza sollecitando un nuovo apprezzamento del materiale istruttorio in atti, il che esula dai compiti di questa Corte Suprema.
3.1. In conclusione, il ricorso e’ da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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