Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 31 marzo 2014, n. 14788
Ritenuto in fatto
1. Ricorre per cassazione S.G. unitamente al difensore di fiducia avverso la sentenza emessa in data 7.3.2013 dalla Corte di Appello di Ancona che confermava nei suoi confronti (laddove S.G., direttore dei lavori, veniva assolto) quella in data 15.12.2005 del Tribunale di Macerata – Sez. distaccata di Civitanova Marche, con la quale il predetto era stato condannato alla pena condizionalmente sospesa di mesi sei di reclusione oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, con attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, per il delitto di cui agli artt. 589 commi I e II e 113 c.p. (commesso il 28.8.1998).
2. Al S. era contestato di aver, quale titolare della ditta appaltatrice, con colpa e precisamente negligenza, imprudenza ed imperizia omettendo di adottare le necessarie misure di sicurezza, in quanto non vigilava che l’operaio addetto indossasse l’equipaggiamento protettivo previsto dalla legge e la relativa cintura di sicurezza mentre per i lavori sulla volta della Chiesa non veniva predisposta l’adozione di idoneo sistema di ponteggi ed opere previsionali antinfortunistiche atte ad impedire o contenere il possibile crollo della volta ed inoltre le tavole ferma-piede dell’impalcatura non erano conformi al precetto dell’art. 29 DPR 164/56 in quanto presentavano degli spazi vuoti superiori ai 6 cm. senza idoneo fissaggio, cagionato la morte di C.A., che stava eseguendo lavori di ristrutturazione all’interno della Chiesa Servi di Maria sita in Piazza omonima di Montefano già dichiarata inagibile con due ordinanze sindacali (n. 36 datata 26.09.1997 e n. 46 datata 15.12.1997) e che veniva travolto dal crollo della volta tanto da cadere dal suolo dall’altezza di 20 metri circa riportando lesioni gravissime con conseguenze esiziali.
3. Il ricorrente deduce i motivi di seguito sinteticamente riportati: – il vizio motivazionale e il travisamento della prova in relazione alle testimonianze e alla perizia utilizzate per la ricostruzione dei fatti, assumendo che non vi era prova in atti di quando la vittima fosse salita sulla volta della chiesa per fare pulizia dei residui del lavori dei giorno precedente né che il S. potesse aver visto il C. ed accertato che non aveva indossato la cintura di sicurezza (che vi era e che era stata indossata dal S. ed altro operaio);
– la violazione di legge e, in subordine, il vizio motivazionale in relazione al nesso di causalità, dal momento che, secondo il perito d’ufficio, quand’anche fossero state indossate le cinture di sicurezza, l’incidente si sarebbe comunque verificato perché le funi di trattenuta non erano adeguate;
– l’errata applicazione della legge penale ed il vizio motivazionale in relazione alle testimonianze e alla perizia con riferimento alla mancata predisposizione di un sistema di ponteggi ed opere antinfortunistiche tese ad impedire il crollo della volta, omissione non imputabile al ricorrente ma, semmai, al direttore dei lavori (coimputato assolto);
– la mancata motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, da considerare prevalenti sull’aggravante contestata, e l’erronea quantificazione della pena irrogata;
– l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata applicazione dell’indulto di cui alla L. n. 241/2006.
4. E’ stata depositata all’odierna udienza una memoria difensiva con cui si eccepisce l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione.
Considerato in diritto
5. Il ricorso è infondato e va respinto.
6. Giova, anzitutto, precisare che il termine prescrizionale previsto per il reato contestato, di anni quindici di cui agli artt. 157 e 161 c.p. (secondo la previgente e più favorevole formulazione ai sensi dell’art. 10 L. 251/2005), non è ad oggi decorso per effetto del periodo di sospensione, riscontrabile in atti, di mesi 5 e giorni 2 che porta la scadenza del termine predetto al prossimo 30 gennaio 2014. 7. Non era necessaria alcuna prova circa il momento in cui il C. era salito sulla volta della chiesa e che il S. si fosse accorto del mancato uso della cintura di sicurezza da parte del medesimo. Si trattava di un obbligo di vigilanza incombente sul datore di lavoro in via generale ed astratta la cui inottemperanza si desume dall’omesso uso della cintura da parte del lavoratore: se mai sarebbe stato necessario dimostrare che la vittima aveva deliberatamente rifiutato di indossarla.
Infatti, “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, a norma dell’art. 376 del d.P.R. n. 547 del 1955 l’accesso ai posti elevati di edifici deve essere reso sicuro ed agevole mediante l’impiego di mezzi appropriati di sicurezza in tutti i casi in cui devono eseguirsi lavori di manutenzione e riparazione, a nulla rilevando che simili lavori siano normali o straordinari, in quanto la finalità della norma è di prevenire la caduta dall’alto dei lavoratori che devono accedere ed operare in simili condizioni ad altezze pericolose, senza che ciò escluda che il datore di lavoro doti i lavoratori che accedono al tetto di cinture di sicurezza (essendo essi esposti a pericoli di caduta), e vigili perché di tale mezzo facciano effettivo uso (Cass. pen. Sez. IV, n. 7682 del 21.1.2010, Rv. 246802).
8. L’assenza del nesso causale tra omissione dell’uso della cintura di sicurezza e l’evento letale non appare in alcun modo dimostrato dalle risposte del perito d’ufficio riportate in ricorso. La circostanza che il lavoratore era troppo distante dal punto di appiglio della fune di trattenuta, non esclude che l’incidente si sia verificato anche per la mancato uso di tale misura antinfortunistica, pur disponibile in cantiere. Infatti, l’adozione della cintura di sicurezza è misura necessariamente connessa, sì da costituire uno strumento unitario ed inscindibile (pena l’inutilità intrinseca della cintura), alla predisposizione di punti di appiglio delle funi di trattenuta la cui adeguatezza deve essere valutata a priori dall’obbligato al preventivo apprestamento delle misure antinfortunistiche.
9. L’obbligo concernente la predisposizione di un sistema di ponteggi ed opere antinfortunistiche tese ad impedire il crollo della volta, sussiste anche e soprattutto a carico del datore di lavoro. E ciò al punto che “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l’obbligo del datore di lavoro, nel caso di lavorazioni eseguite ad altezza superiore a due metri, di apprestare (quando possibile) impalcature, ponteggi o altre opere provvisionali non può essere sostituito dall’uso delle cinture di sicurezza, previsto solo sussidiariamente o in via complementare” (Cass. pen. Sez. IV, n. 25134 del 19.4.2013, Rv. 256525).
10. Congrua e corretta è la motivazione addotta dal giudice a quo circa il criterio adottato di mera equivalenza tra attenuanti ed aggravanti.
Al riguardo, si rammenta che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la commisurazione della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. pen. Sez. VI 22.9.2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” v. Cass. pen. Sez. VI 4.8.1998 n. 9120, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. pen. Sez. III 16.6. 2004 n. 26908 Rv. 229298).
11. Quanto all’ultima censura, si rammenta che nel caso di omessa applicazione dell’indulto, non si può ritenere integrata alcuna violazione della legge penale qualora il condono non sia stato negato dal giudice di merito, ma sia stato implicitamente riservato alla sede esecutiva ogni provvedimento al riguardo (Cass. pen. Sez. V, n. 2332 del 13.1.1994, Rv. 197570).
12. Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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