Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 5 giugno 2014, n. 23485

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/11/2012 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. BALDI Fulvio che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Brescia ha parzialmente riformato la decisione emessa dal Tribunale della medesima citta’ riducendo ad anni tre e mesi quattro di reclusione la pena inflitta ad (OMISSIS).

Al quale erano stati originariamente contestati i seguenti reati:

1) di cui all’articolo 609 bis cod. pen. perche’, dopo averla percossa tirandole con forza i capelli e dandole schiaffi sulla testa, costringeva (OMISSIS) a subire atti sessuali, consistenti in una penetrazione vaginale (capo a);

2) di cui agli articoli 81, 581, 594 e 612 cod. pen. perche’, con piu’ atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, rappresentato dall’intento di non farle interrompere la relazione sentimentale in atto, minacciava ripetutamente (OMISSIS) di farle del male se lo avesse lasciato, di sfregiarle la faccia, di tagliarla nonche’ di fare del male al suo fratellino di quattro anni, mostrandole dei bisturi e dei coltelli ed in piu’ circostanze puntandoglieli al viso, la percuoteva tirandole con forza i capelli, stringendole il collo e colpendola con pugni in faccia ed in testa, la ingiuriava dandole della troia e della puttana (capo b);

3) di cui all’articolo 612 bis cod. pen. perche’ – molestandola ripetutamente per telefono e proferendo minacce di morte nei suoi confronti e dei suoi familiari, ingiuriandola con epiteti come troia e puttana e similari, inseguendola ripetutamente in auto – causava a (OMISSIS), ex fidanzata, un perdurante stato di ansia e la paura fondata di un pericolo per la propria incolumita’. Fatto commesso a partire dal mese di (OMISSIS) ed aggravato perche’ compiuto ai danni di persona offesa con la quale vi era stata relazione affettiva (capo c).

Il Tribunale assolveva l’imputato dal reato di cui all’articolo 609 bis cod. pen. e, ritenuti assorbiti i delitti di cui al capo b) nel delitto di atti persecutori di cui al capo c), lo condannava, oltre al resto, alla pena di anni quattro di reclusione successivamente ridotti ad anni tre e mesi quattro di reclusione dalla sentenza impugnata.

2. Per la cassazione della quale ricorre personalmente (OMISSIS) affidando il gravame a due motivi, deducendo:

1) mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione ed erronea applicazione della legge penale, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in merito all’assoluzione per la violenza sessuale ex articolo 530 c.p.p., comma 2 sul rilievo che, essendo la persona offesa del tutto inattendibile, l’assoluzione doveva essere pronunciata con formula piena ai sensi dell’articolo 530 cod. proc. pen., comma 1 e non gia’ sulla base del comma 2 del medesimo articolo;

2) mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) ed erronea applicazione della legge penale ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), (in riferimento all’articolo 612 bis cod. pen.), avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto il reato di atti persecutori senza considerare l’inattendibilita’ della persona offesa e completamente omettendo, in motivazione, qualsiasi riferimento a buona parte degli assunti difensivi, enunciati con i motivi di appello, tralasciando elementi insuperabili quali le contraddizioni e l’inattendibilita’ della (OMISSIS), l’incapacita’ di giustificare i messaggi, gli incontri ed i rapporti con l’ (OMISSIS), l’assenza di qualsiasi volonta’, nell’imputato, di arrecare ansia e preoccupazione alla persona offesa e la limitata invasivita’ temporale della condotta.

Si assume che, nel caso di specie, il reato contestato difetterebbe dell’elemento soggettivo e che la condotta del ricorrente non avrebbe cagionato alcun evento di danno inteso quale elemento costitutivo del reato di “stalking”, avendo la persona offesa condotto una vita di relazione regolare e mancando qualsiasi motivazione circa la sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumita’ propria o di persone ad essa vicine o della necessita’ del mutamento delle abitudini di vita.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.

2. Il primo motivo e’ inammissibile in quanto l’impugnazione non e’ assistita in parte qua dal requisito dell’interesse che e’ immanente ad ogni gravame il quale deve necessariamente tendere all’eliminazione della lesione di un diritto, non essendo prevista la possibilita’ di proporre un’impugnazione che miri unicamente ad ottenere un parere pro’ ventate, senza che ne consegua un vantaggio pratico per il ricorrente o senza che si elimini un danno.

Il ricorrente e’ stato assolto dal reato di violenza sessuale perche’ il fatto non sussiste, ai sensi dell’articolo 530 cpv. cod. proc. pen., e le Sezioni Unite penali di questa Corte hanno gia’ affermato il principio secondo il quale una volta che sia stata pronunciata, a seguito dell’abolizione della formula dubitativa, assoluzione ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, avendo il giudice ritenuto insufficienti le prove acquisite, viene meno qualunque apprezzabile interesse dell’imputato al conseguimento di una piu’ favorevole sentenza, in quanto la conclusiva statuizione in essa contenuta non puo’ essere modificata, quale che sia il giudizio esprimibile sulla prova della responsabilita’ dell’accusato, e cioe’ sia che sia stata acquisita la prova positiva della sua innocenza, sia che la prova della sua responsabilita’ si sia rivelata soltanto insufficiente. Ed invero l’interesse all’impugnazione, sebbene non possa essere confinato nell’area dei soli pregiudizi penali derivanti dal provvedimento giurisdizionale, neanche puo’ essere concepito come aspirazione soggettiva al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli, perche’ esplicative di una perplessita’ sull’innocenza dell’imputato. Difatti, l’impugnazione si configura pur sempre come un rimedio a disposizione della parte per la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti, e non gia’ di interessi di mero fatto, non apprezzabili dall’ordinamento giuridico (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995 (dep. 23/02/1996 ), P.G. in proc. Fachini, Fachini e altri, Rv. 203762).

Si tratta di un orientamento riaffermato dalla giurisprudenza di legittimita’ e che va ribadito nei medesimi sensi ossia che non vi e’ l’interesse dell’imputato, assolto perche’ il fatto non sussiste ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, a proporre impugnazione, atteso che tale formula – relativa alla mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorieta’ della prova – non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria, ne’ segnala residue perplessita’ sull’innocenza dell’imputato, ne’ derivano incidenze pregiudizievoli e l’interesse all’impugnazione non sussiste ove si risolva in una pretesa, meramente teorica ed astratta, all’esattezza giuridica della pronuncia e sia, comunque, tale da non condurre ad alcuna modifica degli effetti del provvedimento (Sez. 5, n. 27917 del 06/05/2009, Merlo, Rv. 244207).

3. Il secondo motivo e’ infondato.

I Giudici del merito hanno correttamente spiegato, con logica ed adeguata motivazione, le ragioni della ritenuta responsabilita’ penale dell’imputato, evidenziando come, con specifico riferimento al delitto di atti persecutori, le dichiarazioni della persona offesa fossero ampiamente corroborate da prove testimoniali, anche dirette, e documentali.

E’ stato precisato come dalle dichiarazioni della (OMISSIS) fosse emersa una situazione di costante e ossessiva ingerenza dell’imputato nella vita della persona offesa, tesa a condizionarne le determinazioni, attraverso condotte persecutorie, violente e gravemente intimidatorie, per costringerla a non interrompere la loro relazione.

Di quanto le stava accadendo, la donna aveva informato amici e familiari senza che cio’ avesse contribuito a far desistere il suo persecutore il quale, anzi, rivolse le sue minacce anche a loro, al fine di isolarla ed impedire che qualcuno potesse aiutarla.

La condotta dell’ (OMISSIS) si era infatti estrinsecata, secondo la versione della persona offesa, in continue e raccapriccianti minacce verbali, rivolte anche al fratello infante della (OMISSIS), che erano rese concretamente verosimili da episodi di percosse e dall’uso di un coltello che era stato pericolosamente avvicinato al viso della persona offesa.

A cio’ deve aggiungersi il continuo controllo degli spostamenti della vittima operato anche attraverso appostamenti e pedinamenti, tale da condizionare pesantemente le abitudini della stessa, che limito’ le sue uscite non allontanandosi da casa, se non accompagnata.

Questa situazione e’ stata ritenuta provata sia sulla base delle dichiarazioni della vittima, che sono apparse attendibili, affidabili e non condizionate da particolari motivi di astio o di interesse (posto che la stessa non intese costituirsi parte civile), e sia sulla base di molteplici riscontri, ivi comprese le sostanziali ammissioni dell’imputato che aveva dichiarato, pur minimizzando i fatti attribuitigli, di aver operato, per un breve periodo, un vero e proprio “stalking”.

Quanto ai riscontri, sono state valorizzate, in primo luogo, le dichiarazioni degli amici della (OMISSIS), che non solo ebbero a ricevere le sue confidenze ma furono testimoni di telefonate, appostamenti, inseguimenti e, come nel caso della (OMISSIS), subirono minacciose pressioni perche’ non interferissero nell’intento criminoso dell’imputato.

Decisivi, inoltre, sono apparsi sia i contenuti dei tabulati telefonici acquisiti (che hanno confermato l’enorme mole di chiamate e messaggi denunciata dalla (OMISSIS)) e sia soprattutto il contenuto (terrorizzante) degli sms visionati anche dai Carabinieri.

Tali messaggi, pur coprendo un arco di soli due giorni, contenevano pesantissime intimidazioni, erano numerosi e dal contenuto violento e malvagio.

L’ (OMISSIS) era peraltro gia’ stato condannato per il reato di atti persecutori con riferimento ad altra vicenda raccontata in dibattimento dal dott. (OMISSIS) commessa con modalita’ persecutorie assolutamente analoghe a quelle descritte dalla (OMISSIS).

Le dichiarazioni della persona offesa sono state dunque riscontrate, secondo la Corte territoriale, dai messaggi telefonici trascritti in atti e dalle dichiarazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che avevano sentito direttamente alcune telefonate gravemente minatorie dell’ (OMISSIS) ed avevano visto l’imputato innanzi al portone di casa della (OMISSIS) in attesa che questa uscisse, tant’e’ che in un paio di occasioni era stato chiesto anche l’intervento dei Carabinieri.

Ne’ l’attivita’ persecutoria aveva avuto una durata limitata posto che (OMISSIS) aveva riferito di un inseguimento e tamponamento causato proprio dall’imputato nei confronti della sua autovettura, sulla quale era trasportata la (OMISSIS), episodio risalente al (OMISSIS), e quindi ad oltre 20 giorni dall’interruzione della relazione, evidenziandosi anche da cio’ la veridicita’ del racconto della (OMISSIS) e cioe’ che per molto tempo ebbe l’incubo dell’ (OMISSIS), che le continuo’ ad inviare messaggi e che egli persevero’ nel renderle impossibile la vita, al punto da costringerla ad uscire di meno da casa e comunque accompagnata.

Del resto, la persecuzione dell’ (OMISSIS) arrivo’ al punto di minacciare a mezzo telefono anche (OMISSIS) (che, per paura dell’imputato, aveva deposto dietro un paravento), dicendole che se si frapponeva fra loro anche lei ne avrebbe pagato le conseguenze ed anche la teste (OMISSIS) aveva ricordato un “inseguimento” dell’imputato, le innumerevoli telefonate, di disturbo e minatorie, e il periodo in cui l’amica stava molto piu’ in casa e, se usciva, non veniva lasciata sola, tant’e’ che solo l’adozione del provvedimento restrittivo pose fine alla persecuzione.

Sulla base di tali stringenti e precise motivazioni, la sentenza impugnata non merita dunque le censure che le vengono mosse avendo i Giudici del merito fatto buon governo delle regole di giudizio enunciate dall’articolo 192 cod. proc. pen..

4. Quanto alla configurabilita’ del reato di atti persecutori, e’ parimenti infondata la doglianza secondo la quale i fatti accertati non sarebbero sussumibili nell’ambito della fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 612 bis cod. pen..

I comportamenti persecutori – diretti, ripetuti e ravvicinati nel tempo -hanno indubbiamente cagionato uno stato di soggezione nella vittima provocandole un malessere fisico e psichico nonche’ un ragionevole senso di timore per l’incolumita’ propria o del fratello minore, costringendo la persona offesa a modificare radicalmente le proprie abitudini quotidiane.

Costruito essenzialmente come reato abituale, a struttura causale e non di mera condotta, con eventi alternativi di danno (perdurante e grave stato di ansia o di paura; alterazione delle proprie abitudini di vita) e di pericolo (fondato timore per l’incolumita’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva) e a dolo generico, il delitto di atti persecutori deve ritenersi, nel caso di specie, perfettamente integrato tenuto conto delle condotte realizzate dall’imputato sulla base degli evidenziati comportamenti assillanti ed invasivi della vita altrui realizzati mediante la reiterazione insistente di condotte intrusive, quali telefonate, appostamenti, pedinamenti e persino, nei casi piu’ gravi, con la realizzazione di condotte, quantunque assorbite, integranti di perse reato (minacce e ingiurie).

Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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