Il vigente ordinamento non contempla due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell’eredità, derivanti l’uno dalla devoluzione testamentaria e l’altro dalla legittima, ma prevede (con riguardo al patrimonio relitto dal defunto, quale che ne sia il titolo della chiamata) un unico diritto di accettazione che, se non viene fatto valere, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal giorno dell’apertura della successione.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 8 gennaio 2013, n. 264
Ritenuto in fatto
Con atto di citazione notificato il 15-12-2000 A.G. , premesso che M..C. era stato dichiarato morto presunto con sentenza della Corte di Appello di Milano del 2-3-1983 in riferimento alla sua scomparsa nel 1977, assumeva che nell’ottobre del 1998 nell’appartamento sito in (omissis) , era stato rinvenuto un testamento olografo del “de cuius” con il quale era stata nominata sua erede E..M. , a sua volta deceduta il 19-5-1995, lasciando erede universale l’esponente.
L’attore quindi conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano Y..N. , vedova di Re..Ce. , fratello del defunto, C..Z. , R..C. , C.M. (rispettivamente vedova e figli di D..C. , altro fratello deceduto di Ma..Ce. ), chiedendo accertarsi e f dichiararsi che l’A. era erede universale di Ma..Ce. , ed ordinarsi ai convenuti di immettere l’istante nel possesso e nella proprietà dei beni del defunto, da essi appresi quali eredi legittimi di Ma..Ce. .
I convenuti costituendosi in giudizio contestavano il fondamento delle domande attrici di cui chiedeva il rigetto.
Il Tribunale adito con sentenza del 4-11-2003 rigettava le domande attrici rilevando che il diritto di accettare l’eredità di Ce.Ma. si era prescritto in capo alla dante causa dell’A. , posto che il termine prescrizionale decorre ex art. 480 c.c. dal giorno dell’apertura della successione sia per la successione legittima che per quella testamentaria.
Proposta impugnazione da parte di quest’ultimo cui resistevano tutti gli appellati la Corte di Appello di Milano con sentenza del 28-8-2006 ha rigettato il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza l’A. ha proposto un ricorso articolato in un unico motivo; la N. , la Z. e R..C. , e M..C. hanno resistito con autonomi controricorsi, formulando altresì dei ricorsi incidentali condizionati affidati ad un unico motivo; tutti i resistenti hanno successivamente depositato delle memorie.
Motivi della decisione
Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.
Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con l’unico motivo articolato l’A. , denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 480 e 2935 c.c., censura la sentenza impugnata per aver affermato che la mancata conoscenza del testamento non esime il chiamato dall’onere di accettare l’eredità nel termine di dieci anni dalla data di apertura della successione, pena la prescrizione, a nulla rilevando che il testamento (e quindi il titolo della delazione) sia stato scoperto in data successiva alla scadenza del termine.
Il ricorrente principale muove dalla premessa che l’accettazione dell’eredità presuppone l’esistenza del testamento quale atto formalmente indispensabile alla formazione del negozio di accettazione ed alla sua trascrivibilità, circostanza che giustifica la conclusione che la scoperta dei testamento in data successiva alla scadenza di dieci anni dalla data di apertura della successione faccia decorrere per il beneficiario il termine di prescrizione del diritto all’accettazione dal momento della scoperta stessa ex art. 2935 c.c.; il diverso assunto del giudice di appello – secondo cui l’impossibilità per il chiamato di accettare una delazione da lui ignorata deve essere qualificata come impossibilità di fatto, non dipendendo dalla oggettiva assenza di un presupposto di diritto, ma dalla soggettiva ignoranza del’esistenza del diritto stesso – collide con l’impossibilità tecnica per un terzo, estraneo alla successione ‘ab intestato’, che versa nella giustificata ignoranza della sua chiamata all’eredità in forza di un testamento, di accettare un’eredità nelle forme previste e, soprattutto, di garantire, con la trascrizione del relativo atto, la sua pubblicità ed opponibilità agli altri eredi o loro aventi causa; deve quindi necessariamente pervenirsi alla conclusione che la mancata scoperta del testamento nel termine di cui all’art. 480 c.c. costituisce un impedimento giuridico all’esercizio del diritto di accettazione dell’eredità e che, in quanto tale, differisce alla data della sua scoperta la decorrenza del ‘dies a quo’ di detto termine.
Né infine, secondo il ricorrente principale, sussiste alcuna norma nell’ordinamento giuridico da cui dedurre il principio che la decorrenza assoluta del termine per l’accettazione dell’eredità risponda alla superiore esigenza di garantire il consolidamento dell’acquisizione patrimoniale da parte degli altri eredi che abbiano accettato l’eredità prima della scoperta del testamento.
La censura è infondata.
La sentenza impugnata ha condiviso il convincimento del giudice di primo grado con riferimento alla decorrenza del termine prescrizionale del diritto di accettare l’eredità dal giorno dell’apertura della successione ai sensi dell’art. 480 c.c., e quindi nella fattispecie dal 1977, anno dell’accertata scomparsa di Ce.Ma. .
Premesso che tale espressa disciplina normativa del suddetto termine prescrizionale non può trovare deroghe al di fuori dei casi indicata dallo stesso art. 480 c.c. di istituzione condizionale e di chiamati ulteriori, risultando quindi irrilevante, ai fini di tale decorrenza, il rinvenimento di un testamento in data successiva a quella dell’apertura della successione, il giudice di appello sotto un primo profilo ha affermato che una decorrenza mobile del termine prescrizionale relativo all’accettazione dell’eredità in dipendenza della data di scoperta del testamento verrebbe a vanificare, per la struttura della fattispecie successoria, lo stesso istituto della prescrizione, impedendo ogni consolidamento in ragione del decorso del tempo della qualità di erede di coloro che hanno accettato l’eredità prima della scoperta.
La Corte territoriale ha poi rilevato che l’esistenza di un testamento non rappresenta un presupposto giuridico in senso proprio per l’esercizio del diritto di accettazione dell’eredità, tale diritto discendendo dalla sola delazione testamentaria, conosciuta o meno che sia dal destinatario, ma integra la mera rimozione di una situazione di fatto di soggettiva ignoranza del chiamato circa l’esistenza del proprio diritto, e dunque irrilevante ai fini di invocare l’impossibilità di far valere tale diritto, posto che l’impossibilità alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione è solo quella che deriva da cause giuridiche, e non comprende gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto.
Infine la sentenza impugnata ha escluso ogni distinzione tra mancanza di testamento e mancata conoscenza del testamento, atteso che in entrambe le ipotesi la fattispecie riguarda un testamento di per sé esistente ma comunque ignoto all’avente diritto.
Il Collegio ritiene necessario, ai fini della soluzione della questione oggetto del motivo in esame, muovere dalla premessa che l’art. 459 c.c, nel prescrivere che l’eredità si acquista con l’accettazione, si riferisce all’eredità in sé considerata, a prescindere dai titolo della chiamata, legittima o testamentaria, presupponendo quindi un concetto unitario di acquisto dell’eredità stessa.
In tale contesto deve essere letto l’art. 480 c.c. che stabilisce il termine di decorrenza della prescrizione decennale del diritto di accettare l’eredità in ogni caso dal giorno dell’apertura della successione, e, in caso di istituzione condizionale, dal giorno in cui si verifica la condizione, senza porre quindi alcuna distinzione con riferimento al tipo di devoluzione; ai sensi del terzo comma della suddetta norma, poi, quando i primi chiamati abbiano accettato l’eredità, ma successivamente vengono rimossi gli effetti dell’accettazione, il suddetto termine non corre per gli ulteriori chiamati, decorrendo quindi dal giorno in cui costoro hanno la possibilità giuridica di accettare.
La conferma della scelta del legislatore di stabilire un termine decennale di prescrizione del diritto di accettazione dell’eredità decorrente dal giorno dell’apertura della successione sia in caso di successione legittima che testamentaria (fatte salve le espresse eccezioni previste dallo stesso art. 480 c.c.) è offerta dall’art. 483 c.c. che, dopo aver disposto al primo comma che l’accettazione dell’eredità non si può impugnare se viziata da errore, prevede al secondo comma che ‘se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell’eredità, o con pregiudizio della porzione legittima che gli è dovuta’.
Invero tale disposizione – dalla quale si evince che, una volta accettata l’eredità, non si pone più un problema di prescrizione del diritto di accettazione della stessa in base ad un testamento scoperto successivamente – attribuisce rilievo ad un testamento che sia stato rinvenuto a distanza di tempo dall’apertura della successione in quanto, temperando il rigore di quanto sancito al primo comma, ne prevede l’efficacia senza che esso debba essere accettato, sia nell’ipotesi che detto testamento sia più favorevole per il chiamato (qualora gli attribuisca una quota maggiore di eredità o altri beni) sia nell’ipotesi opposta, stabilendo il principio del limite dell’obbligo di soddisfare i legati entro il valore della dell’eredità; pertanto la norma in esame esclude due autonomi diritti di accettazione dell’eredità, in quanto, se così fosse, l’erede sarebbe tenuto a soddisfare i legati previsti nel testamento scoperto successivamente soltanto a seguito dell’accettazione di tale testamento; invece l’obbligo per l’erede di soddisfare i legati, sia pure nei limiti sopra enunciati, a seguito della scoperta di un testamento di cui non si aveva conoscenza al tempo dell’accettazione dell’eredità – e quindi il dettato legislativo secondo il quale l’accettazione sulla base della originaria delazione resta valida, ma alla prima successione si sovrappone quella testamentaria nei termini suddetti – inducono logicamente alla conclusione che l’accettazione è unica indipendentemente dal titolo della chiamata, conformemente all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il vigente ordinamento non contempla due distinti ed autonomi diritti di accettazione dell’eredità, derivanti l’uno dalla devoluzione testamentaria e l’altro dalla legittima, ma prevede (con riguardo al patrimonio relitto dal defunto, quale che ne sia il titolo della chiamata) un unico diritto di accettazione che, se non viene fatto valere, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal giorno dell’apertura della successione (Cass. 25-1-1983 n. 697; Cass. 18-10-1988 n. 5666; Cass. 16-2-1993 n. 1933; Cass. 22-9-2000 n. 12575).
Deve a tal punto essere esaminata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 480 secondo comma c.c. sollevata in via subordinata nella memoria di costituzione di nuovi difensori dell’A. del 10-5-2010 per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Sotto un primo profilo il ricorrente principale rileva che, ove si ritenesse avvenuta al momento dell’apertura della successione anche la vocazione dell’istituito ad opera di un testamento, rinvenuto soltanto in un momento posteriore alla iniziale delazione testamentaria e prima sconosciuto, la posizione di questa particolare figura di vocato verrebbe ad essere irragionevolmente deteriore rispetto a tutti gli altri chiamati, sia primi, sia ulteriori, sia istituiti ‘sub condicione’, potendo le prime due categorie esercitare immediatamente il diritto di accettare l’eredità, mentre per la terza categoria il termine per la prescrizione dell’accettazione decorrerebbe soltanto a partire dal giorno in cui la condizione si sia verificata; invece al chiamato per effetto di un testamento sconosciuto al momento dell’apertura della successione non sarebbe consentito accettare l’eredità perché sprovvisto del titolo su cui fondare il diritto di accettazione, con la conseguenza che la decorrenza del termine di prescrizione decorrerebbe per lui dall’apertura della successione senza trovarsi nella condizione giuridica di far valere il suo diritto all’accettazione; inoltre la disciplina del ‘dies a quo’ della prescrizione come interpretata dalla sentenza impugnata verrebbe a configurare la prescrizione del tutto sfornita del carattere, che pure le è proprio, di sanzione nei riguardi del comportamento inerte del titolare del diritto.
La questione sollevata è manifestamente infondata.
Pur prescindendo dal notare che l’impossibilità di far valere il diritto alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione è solo quello che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio (come nell’ipotesi dei figli naturali non riconosciuti e dichiarati tali giudizialmente dopo la morte dei genitore, per i quali il termine decennale di prescrizione per l’accettazione dell’eredità decorre solo dal passaggio in giudicato della decisione di accertamento del loro ‘status’, Cass. 19-10-1993 n. 10333), e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (Cass. 7-11-2005 n. 21495; Cass. 27-6-2011 n. 14163; Cass. Ord. 7-3-2012 n. ^ 3584), come appunto nel caso di testamento non scoperto nel termine decennale dall’apertura della successione, è decisivo rilevare che la scelta del legislatore al riguardo non si rivela affatto priva di ragionevolezza nel prevedere unitariamente il decorso del termine decennale di accettazione dell’eredità, essendo tale disciplina finalizzata, come in tutte le ipotesi di prescrizione, al perseguimento della certezza delle situazioni giuridiche, e quindi ispirata dalla esigenza di cristallizzare in modo definitivo, dopo un certo lasso di tempo, la regolamentazione dei diritti ereditari tra categorie di successibili che versano in condizioni di fatto diverse, accordando quindi una specifica tutela a chi abbia accettato nel termine di dieci anni dall’apertura della successione l’eredità devolutagli per legge o per testamento, ed anche a chi, dopo aver accettato nel termine di legge l’eredità legittima, abbia fatto valere un testamento successivamente scoperto, rispetto a colui che, chiamato per testamento e non anche per legge all’eredità, non abbia potuto accettarla nel termine decennale di prescrizione decorrente dall’apertura della successione per mancata conoscenza dell’esistenza di tale scheda testamentaria.
Il ricorrente poi solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 480 c.c. anche con riferimento all’art. 24 della Costituzione, osservando che, in base all’interpretazione di detta norma da parte della sentenza impugnata, si ritiene che l’istituito erede mediante testamento oggettivamente sconosciuto a chiunque debba essere considerato chiamato a tutti gli effetti, senza peraltro considerare che costui non sarebbe nella condizione giuridica non soltanto di accettare l’eredità, ma neppure di esercitare quei poteri che il legislatore all’art. 460 c.c. ha attribuito al chiamato prima dell’accettazione.
Anche tale questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata.
Premesso che l’art, 480 c.c. prevede un termine prescrizionale e che all’istituto della prescrizione deve riconoscersi natura sostanziale e non processuale, si deve quindi rilevare che detto termine, non finalizzato all’esercizio della difesa, è per sua natura estraneo all’ambito di tutela dell’art. 24 della Costituzione (sull’inammissibilità di denunciare la violazione dell’art. 24 della Costituzione con riferimento a norme che fissano termini di natura non processuale vedi Corte Cost. Ord. 22-10-1987 n. 324; Corte Cost. Ord. 28-7-1988 n. 940; Corte Cost. 7-6-2007 n. 180).
Il ricorso principale deve quindi essere rigettato.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato la N. censura la sentenza impugnata per aver disatteso l’eccezione dell’esponente di inammissibilità dell’appello di controparte in ragione della mancata impugnazione da parte dell’A. del capo della sentenza di primo grado che aveva statuito che era già decorso il termine per l’accettazione dell’eredità di Ma..Ce. in danno di E..M. , dante causa dell’A. , in quanto la successione si era aperta il 29-6-1977 e la M. era deceduta il 19-5-1995; invero erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che nell’ambito della sentenza di primo grado non fosse enucleabile un capo relativo specificatamente all’accertamento dell’intervenuta prescrizione del diritto dell’A. , atteso che in altra parte della sentenza di appello, a pagina 26, è stata distinta in maniera assai nitida la questione dell’intervenuta prescrizione in capo alla M. e la questione dell’intervenuta prescrizione in capo all’A. .
La Z. e R..C. da un lato e C.M. dall’altro hanno introdotto rispettivamente dei ricorsi incidentali condizionati di contenuto analogo a quello formulato dalla N. .
Tutti i ricorsi incidentali restano assorbiti all’esito del rigetto del ricorso principale.
Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla complessità delle questioni trattate, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbiti i ricorsi incidentali e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.
Leave a Reply