Suprema Corte di Cassazione
Sezione II
sentenza del 27.2.2012, n. 2979
…omissis…
Motivi della decisione Col primo motivo si lamenta violazione degli artt. 1362 e 1371 c.c., per avere la Corte territoriale considerato solo un capoverso della clausola e non considerato che l’impegno riguardava solo ogni debito spettante alla parte venditrice e non qualsiasi debito a chiunque spettante, essendo l’impegno finalizzato a garantire il compratore nei limiti di cui all’art. 63 disp att. c.c.. Col secondo motivo si deduce violazione dell’art. 1385 c.c., comma 2, dell’art. 1375 c.c., perchè l’interpretazione superficiale della clausola ha avuto conseguenze nella individuazione della parte inadempiente e sul mancato accoglimento della domanda della P.. Le censure meritano accoglimento.
La sentenza impugnata ha dedotto che dal tenore letterale della clausola senza ombra di dubbio le parti avevano inteso porre a carico della parte venditrice ogni residuo debito verso il condominio e che l’art. 63 disp. att. c.c., non limita l’autonomia contrattuale delle parti, aggiungendo che il comportamento degli appellati era stato cristallino ed il rifiuto della P. di accettare la proposta di pagamento del prezzo decurtato del debito dimostrava che la P. non confidava di recuperare dal proprio marito le somme dovute al condominio da quest’ultimo. Il convincimento espresso dal giudice a quo risulta, in effetti, raggiunto mediante lo svolgimento d’attività interpretativa del preliminare. L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 c.c. e ss., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753). Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nell’art. 1362 c.c., comma 1, – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 CC per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicchè non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario dell’art. 1362 c.c., comma 2, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389); non senza considerare, altresì, come detto comportamento, ove trattisi d’interpretare atti soggetti alla forma scritta ad substantiam, non possa, in ogni caso, evidenziare una formazione del consenso al di fuori dell’atto scritto medesimo (Cass. 20.6.00 n. 7416, 21.6.99 n. 6214, 20.6.95 n. 6201, 11.4.92 n. 4474).
Tuttavia, la clausola circa l’impegno della promittente venditrice a pagare prima della stipula dell’atto notarile ogni residuo debito con il condominio e la previsione che “qualora emergessero eventuali debiti successivamente all’atto notarile, spettanti alla parte venditrice, saranno ancora a completo carico della stessa” conduce ad affermare che l’impegno riguardava solo i debiti propri.
La sentenza ha ritenuto che tra i debiti della promittente venditrice vi erano anche quelli quale cessionaria dell’alloggio, sostanzialmente affermando l’applicabilità dell’art. 1104 c.c., che va invece esclusa.
Questa Corte (Cass. 18.8.2005 n. 16975) ha affermato che la responsabilità solidale dell’acquirente per il pagamento dei contributi dovuto al condominio dal venditore è limitata al biennio precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art. 63 disp. att. e non già l’art. 1104 c.c., atteso che, giusto il disposto di cui all’art. 1139 cc, la disciplina dettata in tema di comunione si applica anche al condominio solamente in mancanza di norme che, come appunto il citato art. 63, specificamente lo regolano.
Donde l’accoglimento e la cassazione con rinvio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo esame e per spese, alla Corte di appello di Torino, altra sezione.
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