Con riguardo alle ipotesi di opposizione a sanzioni amministrative irrogate dalla Consob per fatti di manipolazione del mercato, la responsabilità degli autori materiali della violazione, anche ove abbiano commesso il fatto in concorso tra loro, con quella delle persone giuridiche chiamate a risponderne, sia quali coobbligate solidali, ai sensi dell’art. 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689. sia in proprio, ai sensi dell’art. 187-ter del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, danno luogo ad una pluralità di rapporti autonomi. Ne consegue che, nel procedimento di opposizione disciplinato dall’art. 187-septies del d.lgs. n. 58 cit., non è configurabile un litisconsorzio necessario, ma un litisconsorzio facoltativo tra i predetti soggetti, essendo ciascuno di essi legittimato a spiegare intervento adesivo autonomo nel giudizio promosso dagli altri, e soccorrendo, al fine di evitare un contrasto di giudicati nel caso in cui vengano proposte separate opposizioni, le ordinarie regole in tema di connessione e riunione di procedimenti. E’ invece implicita l’affermazione della legittimazione attiva anche dell’ente obbligato in solido ai sensi dell’art. 187-quinquies TUE, in quanto destinatario della notificazione del provvedimento sanzionatorio, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo contenga un’esplicita ingiunzione pure nei suoi confronti
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
SENTENZA 8 luglio 2016, n.14059
Ritenuto in fatto
Nel corso della trasmissione televisiva “(…)” del (omissis) il direttore generale di Unicredit Banca d’Impresa s.p.a., intervistato, dichiarava una perdita clienti dell’omonimo gruppo bancario in operazioni su strumenti finanziari derivati per circa un miliardo di euro.
Faceva seguito sul quotidiano (omissis) un’intervista a L.E. , presidente dell’ADUSBEF (Associazione per la Difesa degli Utenti dei Servizi Bancari, Finanziari, Postali ed Assicurativi), il quale in merito alla vicenda dichiarava che secondo i calcoli dell’Associazione il mark tu markt di Unicredit, cioè la somma delle perdite della clientela di Unicredit sulle posizioni in strumenti finanziari derivati, era invece “negativo per 4-5 miliardi di euro”, e che si trattava di “uno scandalo grosso dieci volte quello di Italease”.
In seguito ad un esposto di Unicredit s.p.a., il cui consiglio d’amministrazione a seguito di tale intervista aveva diffuso un comunicato per ribadire che alla data del 30.6.2007 l’ammontare del mark tu market era di circa un miliardo, la Consob apriva un procedimento per la violazione dell’art. 187-ter, comma 1, D.Lgs. n. 58/98, recante il T.U. delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria (TUF), nei confronti di L.E. . Quindi, all’esito del procedimento, con delibera n. 17071 del 19.11.2009 irrogava nei confronti di quest’ultimo, responsabile in solido la ADUSBEF, la sanzione di Euro 100.000,00. ritenendo che le dichiarazioni rese da L. fossero false e fuorvianti e tali da influenzare negativamente l’andamento delle quotazioni del titolo Unicredit.
L’opposizione proposta dalla ADUSBEF era accolta dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza del 27.6.2011 annullava il provvedimento sanzionatorio.
Respinta l’eccezione preliminare di difetto di legittimazione attiva della ricorrente, sollevata dalla Consob in considerazione del fatto che l’ingiunzione di pagamento era stata emessa nei confronti del solo L. , la Corte escludeva che le dichiarazioni di quest’ultimo fossero false e fuorvianti e costituissero una turbativa anche solo potenziale dei mercati finanziari. Fermo restando che Unicredit non aveva mai chiarito nel suo comunicato stampa del 16.10.2007 a quanto ammontassero le perdite sui derivati, limitandosi a richiamare stime risalenti al giugno 2007 (sicché non v’era prova dell’eccessività delle perdite di cui ai calcoli presuntivi di ADUSBEF), era indubbio che il mercato aveva appreso ufficialmente dell’esistenza della crisi sui derivati per le ammissioni fatte nel corso della trasmissione televisiva da C. , prima delle dichiarazioni di L. . E dunque doveva escludersi l’esistenza dell’illecito.
Pertanto, concludeva la Corte capitolina, anche a voler ritenere che le dichiarazioni personali del L. fossero imputabili alla ADUSBEF (ma sul punto la delibera della Consob era lacunosa), era rimasto accertato che, in ogni caso, il mercato non era stato turbato dall’intervista del 16.10.2007 e l’illecito contestato, quindi, era da ritenersi insussistente.
La cassazione di tale sentenza è chiesta dalla Consob sulla base di dieci motivi.
Resiste con controricorso la ADUSBEF, che propone altresì ricorso incidentale, cui a sua volta la Consob resiste con controricorso.
Motivi della decisione
– Il primo motivo del principale denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 187-ter, comma l, TUF, in relazione agli artt. 1 I l Cost. e 360, n. 3 c.p.c., quanto agli elementi costitutivi dell’illecito di manipolazione del mercato per come interpretato dalla Corte distrettuale. L’interpretazione della congiunzione disgiuntiva – “o’ in quella copulativa affermativa ‘e’, si sostiene, tende a far confluire nella prima parte della disposizione sia la qualità oggettiva delle notizie (‘false o fuorvianti’), sia gli effetti (‘indicazioni false o fuorvianti’) anche solo potenziali ingenerati dalla notizia stessa. Pertanto, sotto il profilo oggettivo il giudice dell’opposizione alla sanzione amministrativa è tenuto a verificare se la notizia diffusa è falsa ovvero se, pur essendo vera, essa sia fuorviante. L’aver la Corte romana limitato il proprio giudizio al solo requisito della falsità della notizia diffusa dal L. viola la norma anzi detta.
– Il secondo motivo denuncia, ancora, la violazione o falsa applicazione dell’art. 187-ter, comma 1, TUF, in relazione agli artt. 111 Cost. e 360, n. 3 c.p.c., quanto agli effetti della diffusione di ‘notizie false o fuorvianti’ ai tini della sussistenza dell’illecito in oggetto. Quest’ultimo, afferma parte ricorrente, delinea una fattispecie sanzionatoria di pericolo presunto, da apprezzare in astratto e con giudizio da formulare ex unte. Per contro, la Corte romana ha ritenuto rilevante la concreta attitudine delle dichiarazioni del L. a condizionare il comportamento degli investitori e a modificare l’andamento del titolo Unicredit, omettendo così qualsiasi valutazione sull’idoneità decettiva in astratto della notizia.
– Il terzo mezzo d’annullamento lamenta l’omessa pronuncia su di un fatto decisivo e la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in relazione agli artt. 111 Cost., 112 e 360, n. 4 c.p.c., perché la Corte territoriale ha omesso qualsiasi statuizione sul dato quantitativo dell’esposizione mark to market. Infatti, non avendo in alcun modo apprezzato la falsità oggettiva della notizia diffusa dal L. in merito al dato quantitativo dell’esposizione mark to market della clientela Unicredit in strumenti finanziari derivati, detta Corte ha omesso l’esame d’un fatto controverso e decisivo. Inoltre, avendo giudicato la valenza manipolativa di una notizia diversa da quella sanzionata dalla Consob, la sentenza impugnata ha travalicato l’oggetto del giudizio di opposizione per come delimitato dai motivi di ricorso.
– Il quarto mezzo deduce la carenza e contraddittorietà della motivazione sul fatto che la notizia è in alcuni casi indicata nel problema dei derivati e in altre parti della sentenza nella sua emersione o nel suo trend. In tal modo la pronuncia impugnata ha omesso di indicare le ragioni per cui la notizia rilevante ai fini della sussistenza dell’illecito di manipolazione del mercato era il problema delle perdite della clientela di Unicredit in derivati e non l’entità delle perdite stesse. La motivazione della sentenza è altresì contraddittoria nella parte in cui la notizia è individuata in alcuni casi nell’esistenza del problema e in altri casi nella sua emersione o nel suo trend. Il fatto controverso in relazione al quale la motivazione risulta omessa e contraddittoria è costituito dalla qualità (falsa o meno) della notizia sul cui carattere manipolativo la Corte territoriale è stata chiamata a decidere.
– Il quinto motivo censura, ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c., la carenza, l’insufficienza e l’illogicità della motivazione circa la verità della notizia ritenuta rilevante a fini sanzionatori dalla Corte d’appello. Quest’ultima, si sostiene, ha omesso di motivare in merito alla presunta verità della notizia costituita dal problema delle perdite della clientela in strumenti finanziari Unicredit. La motivazione della sentenza è, altresì, illogica e contraddittoria allorquando in essa si sostiene che una determinata notizia viene considerata presuntivamente vera per il solo fatto di qualificare un altro fatto come gravissimo; e lì dove ha ritenuto che il riferimento ai calcoli dell’ADUSBEF, pure contenuto nell’articolo di stampa recante le dichiarazioni del L. , fosse indicativo della non rilevanza, ai fini sanzionatori, delle dichiarazioni stesse. Il fatto controverso in relazione al quale la motivazione risulta omessa, illogica e contraddittoria è costituito dalla qualità (falsa o meno) della notizia sul cui carattere manipolativo la Corte capitolina è stata chiamata a decidere; ed esso è decisivo giacché è afferente ad uno degli elementi costitutivi dell’illecito sanzionato dalla Consob.
– Col sesto motivo, infine, è ancora dedotto, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c., il vizio d’insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa la verità della notizia ritenuta rilevante ai fini sanzionatori, lì dove la Corte territoriale ha escluso – disattendendo l’accertamento Consob (che a sua volta si è riferito alla relazione annuale della Banca ‘Italia per il 2007 per cui la perdita era di 5 miliardi per tutte le operazioni in derivati dell’intero sistema bancario) – che fosse possibile conoscere il mark to market delle posizioni Unicredit, non avendo la Consob svolto indagini autonome in merito.
– Il settimo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 6, commi 3 e 4, della legge n. 689/81 e dell’art. 187 – septies D.Lgs. n. 58/98, in relazione alla legittimazione attiva dell’ADUSBEF, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.. In materia di sanzioni amministrative pecuniarie, la legittimazione all’opposizione appartiene ai soli soggetti cui è ingiunto il pagamento della sanzione. Pertanto, il soggetto responsabile in solido ai sensi dell’art. 6 legge n. 689/81 non è legittimato ad impugnare l’atto sanzionatorio laddove a suo carico non sia stata emessa ingiunzione di pagamento.
– Con l’ottavo, subordinato motivo, parte ricorrente deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso che le dichiarazioni in questione fossero state rese dal L. nell’esercizio delle sue funzioni di presidente dell’ADUSBEF.
– Il nono motivo censura, ancora, l’insufficienza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata circa la veridicità delle dichiarazioni del L. , allorché, disattendendo il complesso degli elementi fattuali emersi, ha ritenuto non eccessive le perdite denunciate da quest’ultimo, e quindi veritiere le dichiarazioni di lui circa l’entità del mark to market delle posizioni in strumenti derivati della clientela Unicredit.
– Anche il decimo motivo lamenta il vizio motivazionale, circa la non fuorvianza delle dichiarazioni del L. , poiché la Corte distrettuale ha completamente omesso di indicare le ragioni per cui la notizia rilevante ai fini della sussistenza del market abuse era l’esistenza di una crisi sui derivati. La motivazione della sentenza impugnata, prosegue parte ricorrente, è altresì insufficiente ed illogica nella parte in cui ha escluso che avesse rilievo, ai fini della configurazione dell’illecito, la dichiarazione del L. in merito all’entità della perdita.
– Preliminare, perché investe la legittimazione all’opposizione della ADUSBEF, l’esame del settimo motivo; che è infondato.
Come è stato già affermato dalle S.U. di questa Corte, in fattispecie di opposizione a sanzioni amministrative irrogate per fatti di manipolazione del mercato, la responsabilità degli autori materiali della violazione, anche ove abbiano commesso il fatto in concorso tra loro, c quella delle persone giuridiche chiamate a risponderne, sia quali coobbligate solidali, ai sensi dell’art. 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689. sia in proprio, ai sensi dell’art. 187-ter del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, danno luogo ad una pluralità di rapporti autonomi. Ne consegue che, nel procedimento di opposizione disciplinato dall’art. 187-septies del d.lgs. n. 58 cit., non è configurabile un litisconsorzio necessario, ma un litisconsorzio facoltativo tra i predetti soggetti, essendo ciascuno di essi legittimato a spiegare intervento adesivo autonomo nel giudizio promosso dagli altri, e soccorrendo, al fine di evitare un contrasto di giudicati nel caso in cui vengano proposte separate opposizioni, le ordinarie regole in tema di connessione e riunione di procedimenti (Cass. S.U. n. 20935/09).
In tale precedente è implicita l’affermazione della legittimazione attiva anche dell’ente obbligato in solido ai sensi dell’art. 187-quinquies TUE, in quanto destinatario – come avvenuto nella specie – della notificazione del provvedimento sanzionatorio, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo contenga un’esplicita ingiunzione pure nei suoi confronti.
– Conseguentemente, è privo di fondamento anche l’ottavo, subordinato, motivo, poiché non v’è alcuna contraddizione logica tra l’affermata legittimazione all’opposizione e i dubbi espressi sulla riferibilità all’associazione di quanto dichiarato dal L. nel corso della propria intervista.
– I restanti motivi, che per la loro complementarietà (e parziale ripetitività) possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
14.1. – L’art. 187-ter, comma 1, D.Lgs. n. 58/98 (TUF) dispone che ‘salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro ventimila a Euro cinque milioni chiunque, tramite mezzi di informazione, compreso INTERNET o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari’.
Nella sentenza impugnata tale norma è interpretata nel senso che è sanzionabile la condotta diffusiva di voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o sia suscettibili di fornire indicazioni false ovvero – nel senso della congiunzione esplicativa ‘cioè’ – fuorvianti in merito agli strumenti finanziari.
È vero – e sotto tale aspetto deve essere esercitato il potere correttivo della motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma e.p.c. che tale interpretazione della norma operata dalla Corte territoriale non è corretta. E ciò sotto un duplice profilo.
Dal punto di vista letterale, e ciò vale soprattutto nei testi normativi o comunque provenienti da autorità pubbliche (testi nei quali maggiore deve essere l’attenzione alle forme linguistiche), è noto che la congiunzione ovvero ha valore disgiuntivo quale rafforzamento di o od oppure, ed è essenzialmente premessa ad un secondo termine costituito da un’intera proposizione. Il che spiega perché nella (pur tortuosa) espressione della norma in commento la prima disgiunzione tra notizie false e fuorvianti sia resa dalla particella o, mentre la seconda sia rafforzata con ovvero in quanto seguita da un secondo termine espresso con più parole (anche se v’è da dire che queste ultime, al netto dell’uso aggettivato del participio fuorviante, non costituiscono un’autonoma proposizione per l’assenza di predicato).
Tale erronea impostazione nella lettura dell’art. 187-ter, comma 1, – e questo è il secondo profilo – ha prodotto nella decisione impugnata l’ulteriore malinteso (non rilevante, però, per quanto si dirà infra) di equiparare ontologicamente tra loro i due termini – false e fuorvianti – col risultato di considerare decettive solo le notizie che abbiano in concreto fuorviato il mercato degli strumenti finanziari. Conclusione, questa, non condivisibile, giacché la norma vieta le notizie false o fuorvianti che siano anche solo suscettibili di alterare il mercato.
14.2. – False sono le notizie oggettivamente non vere; fuorvianti, invece, quelle che inducono all’errore circostanziando un fatto vero con aggiunte od omissioni suggestive, volte a deviare dal suo ordito logico il ragionamento operabile sul fallo stesso.
Nello specifico, l’illecito oggetto di contestazione è concettualmente riconducibile alla prima delle due nozioni. Sostiene, infatti, la Consob che la dichiarazione del L. avrebbe ricostruito in termini quantitativi la posizione mark to market di Unieredit in maniera non rispondente alla sua reale esposizione, sulla base di stime soggettive effettuate semplicisticamente su dati aggregati diffusi dalla Banca dei Regolamenti Internazionali e dalla Banca d’Italia; e che mentre l’effettiva valorizzazione del mark to market sarebbe confermata nella relazione di gestione Unicredit a corredo del bilancio consolidato e di quello di esercizio, la quale derivando da un obbligo di legge è sanzionata ove non veritiera. l’opinione espressa dalla ADUSBEF tramite il suo presidente non si sarebbe basata su calcoli o modelli matematici (v. pag. 6 del ricorso).
Nei limiti imposti dalla natura del giudizio di legittimità si tratta, allora, di stabilire non se le affermazioni contestate siano o non concretamente false, ma se esse possano integrare gli estremi di una (i) notizia falsa (ii) anche solo potenzialmente manipolativa del mercato degli strumenti finanziari.
Dei due requisiti in parola, entrambi necessari, il secondo va esaminato solo all’esito dell’accertamento positivo del primo.
14.3. – La notizia ha per oggetto un fatto storico nuovo, la verità o realtà del quale può affermarsi per evidenza propria ovvero attraverso la mediazione di un giudizio critico. Quest’ultimo, a sua volta, si differenzia dal giudizio di valore, che a sua volta implica un apprezzamento libero di cose o situazioni. Il primo è indistinguibile dal fatto che espone, ed è vero o falso al pari di esso; il secondo se ne distacca a misura del grado di valutazione soggettiva che il fatto stesso consente, di guisa che non può essere qualificato in termini di verità o falsità.
E poiché, nello specifico, il fatto della cui verità si discute è la dimensione del mark to market dei derivati negoziati da Unicredit, pacifica essendone la relativa perdita per la clientela, è su tale ultimo concetto che occorre soffermarsi per valutare se su di esso si possano esprimere giudizi di verità o anche o soltanto giudizi di valore.
14.3.1. – Mark lo market è un’espressione che designa – in larga approssimazione – un metodo di valutazione delle attività finanziarie, che si contrappone a quello storico o di acquisizione attualizzato mediante il ricorso a indici d’aggiornamento monetario. Esso consiste nell’attribuire a dette attività il valore che esse avrebbero in caso di rinegoziazione del contratto o di scioglimento del rapporto prima della sua scadenza naturale. Il mark to market è detto anche costo di sostituzione, perché corrisponde al prezzo, dettato dal mercato in un dato momento storico, che i terzi sarebbero disposti a sostenere per subentrare nel contratto stesso. Si legge in Cass. penale n. 47421/11 che il mark to market – non esprime affatto un valore concreto ed attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata. Il valore del mark to market, infatti, è influenzato da una serie di fattori ed è quindi sistematicamente aggiustato in funzione dell’andamento dei mercati finanziari, dovendosi poi attrarre nell’ambito dei relativi parametri di determinazione anche l’up to front erogato e l’utile per la banca’.
14.3.2. – La nozione di mark to market trova eco in due norme: l’art. 203 TUF, che ai fini dell’applicazione dell’art. 76 legge fall. lo descrive come costo di sostituzione degli strumenti finanziari derivati e di quelli analoghi individuati ai sensi dell’art. 18, comma 5, lettera a) stesso TUE e delle operazioni a termine su valute nonché delle operazioni di prestito titoli, di pronti contro termine e di riporto; e l’art. 2427-bis, comma 1, n. 1 c.c., in base al quale nella nota integrativa del bilancio deve essere indicato per ciascuna categoria di strumenti finanziari derivati il fair value, ossia il relativo prezzo di scambio in una transazione tra terzi indipendenti.
Dunque, il costo di sostituzione degli strumenti finanziari (derivati ed equiparati) non è un vero e proprio prezzo di mercato concreto ed attuale, ma una grandezza monetaria teorica che è calcolata per l’ipotesi in cui il contratto cessi prima della sua scadenza naturale. Essa tiene conto anche di fattori ulteriori, quali, ad esempio, i costi da sostenere, la maggiore o minore volatilità del prodotto e l’up-front, vale a dire – “l’eventuale flusso di cassa dal portafoglio finanziario strutturalo che viene regolato al momento della conclusione dell’operazione in derivati’ (così lo definisce l’art. 1, comma 3, lett. i) del Regolamento concernente i contratti relativi agli strumenti finanziari derivati sottoscritti da regioni ed enti locali, ai sensi dell’articolo 62, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008. n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, cosi come modificato e integrato dall’articolo 3, comma 1, della legge 22 dicembre 2008, n. 203).
Calcolare il mark tu market (non di un singolo contratto, ma) di un intero portafoglio di derivati richiede l’impiego di modelli matematico-finanziari di attualizzazione, in una con l’adozione di scelte metodologiche che scontano un inevitabile tasso di opinabilità tecnica. Non pare seriamente dubitabile, dunque, che un giudizio al riguardo non possa essere assoggettato all’alternativa secca tra vero e falso, ma sia l’espressione di un apprezzamento personale di tipo valutativo derivante dal metodo di calcolo utilizzato.
14.4. – Ciò chiarito, la pretesa sanzionatoria veicolata dalla Consob sotto la specie del c.d. market abuse incorre in un duplice errore di sussunzione, consistente a) nel trarre il giudizio di falsità delle dichiarazioni oggetto di contestazione dalla loro contrarietà al dato emergente dalla relazione di gestione allegata al bilancio Unicredit; e b) nel ritenere che ne possa costituire conferma l’insufficiente giustificazione delle opinioni espresse dal L. .
Sotto il primo profilo la tesi di parte ricorrente non considera che la diversa esposizione riportata nel bilancio Unicredit non è necessariamente vera. Quantunque espressa sotto comminatoria penale, essa rimane una dichiarazione di scienza e non un fatto storico che s’imponga come vero per virtù propria (ed è ovvio che se è storicamente vera la redazione del bilancio, non per questo sono oggettivamente vere anche le valutazioni economiche ivi contenute).
Sotto il secondo deve considerarsi che le basi matematico-finanziarie degli accertamenti che sarebbero stati svolti dalla ADUSBEF possono influire sul grado di maggiore o minore attendibilità del risultato espresso e sul giudizio complessivo che se ne può dare; ma se pure giudicate insufficienti ed approssimative dalla Consob non trasformano un’opinione a contenuto tecnico, condivisibile o meno che sia, in una notizia falsa.
Esclusa la quale, l’idea espressa da detta associazione per bocca del suo presidente si configura quale esercizio intangibile del diritto di libera manifestazione del pensiero, che non può essere compresso solo per la sua possibile incidenza sul mercato.
14.5. – Di riflesso resta assorbito, perché insufficiente da solo a integrare l’illecito amministrativo, l’esame del secondo requisito dell’art. 187-ter. comma I, TUF, concernente la potenziale idoneità decettiva della notizia.
– È assorbito, altresì, anche l’esame del ricorso incidentale, col quale l’associazione controricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 14 legge n. 15 689/81, in relazione al motivo d’opposizione sulla tempestiva contestazione degli addebiti.
– In conclusione il ricorso principale va respinto, con consequenziale condanna della Consob alle spese, liquidate come in dispositivo.
16.1. – Resta fermo il regolamento delle spese di merito, la cui cassazione – implicita nella richiesta della parte controricorrente di condannare la Consob anche a queste – avrebbe richiesto un apposito motivo di ricorso incidentale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale, e condanna la Consob al pagamento delle spese, che liquida in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge
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