Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 8 settembre 2014, n. 18868
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14837/2008 proposto da:
CURATELA DEL FALLIMENTO DELL’ (OMISSIS) S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona del Curatore avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (C.F. (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’Avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 200/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 25/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2014 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
udito, per i controricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS), con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
Sostennero gli attori che il (OMISSIS) era stato costretto alla vendita del 1987 dalla esigenza di rimborsare all’Istituto, per il quale aveva svolto l’attivita’ di procacciatore di affari, la somma di lire 40,000.000, avendo l’Istituto medesimo estinto due debiti che il (OMISSIS) aveva contratto con due istituti di credito per detto importo.
A seguito del fallimento dell’Istituto gli attori proseguirono la causa nei confronti della Curatela.
Il Tribunale adito, con sentenza depositata il 9 marzo 2004, rigetto’ la domanda.
2. – A seguito di gravame dei soccombenti, la Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 25 febbraio 2008, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiaro’ nulli l’atto di compravendita del (OMISSIS), la scrittura privata del (OMISSIS) e quella del (OMISSIS).
Osservo’ il giudice di secondo grado che, se pure la sentenza impugnata correttamente, da un punto di vista formale, aveva ritenuto che nell’atto di vendita di cui si invocava la nullita’ per violazione delle disposizioni di legge enunciate, dovesse ravvisarsi una datio in solutum e non l’intento di garantire l’adempimento della obbligazione, tuttavia la promessa dell’ (OMISSIS) di rivendere l’appartamento appena acquistato allo stesso venditore, pur in se’ lecito, andava valutata, come il precedente atto di vendita, non isolatamente, ma sotto il profilo globale del complessivo scopo perseguito dalle parti con l’assetto negoziale rappresentato dai due contratti. Esaminata in tale ottica la vicenda descritta, essa configurava, ad avviso della Corte di merito, un patto commissorio.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Curatela del Fallimento dell’ (OMISSIS) s.p.a. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso il (OMISSIS) e la (OMISSIS). Le parti hanno depositato memorie.
2. – Con il secondo motivo si denuncia nullita’ dell’atto di citazione in appello notificato il 27 luglio 2004 in quanto non conforme alle prescrizioni di cui all’articolo 342 cod. proc. civ. ed inidoneo allo scopo di impedire il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, inammissibilita’ dell’appello, decadenza dall’impugnazione. Alla medesima conclusione dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza, di cui al precedente motivo, si perverrebbe nella specie, secondo la ricorrente, ove si ritenga inapplicabile l’articolo 164 cod. proc. civ., al giudizio di appello. In tal caso dovrebbe, infatti, ritenersi comunque non conforme alle prescrizioni dell’articolo 342 cod. proc. civ., la citazione in appello di cui si tratta. Essa sarebbe, pertanto, nulla, e, quindi, inidonea ad impedire la decadenza dalla impugnazione, con la conseguenza che anche in tal caso andrebbe dichiarato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
3. – Le censure, da esaminare congiuntamente per la evidente connessione logico-giuridica, meritano accoglimento nei termini che seguono.
3.1. – Deve premettersi che, secondo l’orientamento di questa Corte, fa validita’ dell’atto di citazione – e cioe’ l’idoneita’ dello stesso ad assolvere la propria funzione – va valutata con riferimento alla copia notificata, indipendentemente dal ricorso ad integrazioni, in quanto la parte destinataria non ha il dovere di eliminare le incertezze o di colmare le lacune dell’atto che le viene consegnato. Ne consegue che, in caso di discordanza tra l’originale e la copia dell’atto notificato, assume rilievo cio’ che risulta nella copia, perche’ e’ su questa che la parte citata regola il proprio comportamento processuale (v. Cass., sentt. n. 20993 del 2013, n. 3205 del 2008).
Ne deriva la irrilevanza nella specie, correttamente sottolineata nel ricorso, della indicazione, nell’originale dell’atto di citazione in appello, depositato dagli appellanti al momento della costituzione in giudizio, della udienza di comparizione, e cio’ a prescindere dalla considerazione della eventuale aggiunta, ipotizzata dalla ricorrente, di tale indicazione in un momento successivo alla compilazione della pagina corrispondente contenuta nella copia notificata dell’atto.
3.2. – Cio’ posto, ai fini della soluzione della questione sottoposta all’esame della Corte, appare opportuno richiamare la sentenza delle Sezioni Unite n. 16 del 2000, resa con riferimento ad un problema attinente all’onere di specificazione dei motivi di impugnazione.
In tale occasione, questa Corte ebbe modo di affermare che l’inammissibilita’ non e’ la sanzione per un vizio dell’atto diverso dalla nullita’, ma la conseguenza di particolari nullita’ dell’appello e del ricorso per cassazione, e non e’ comminata in ipotesi tassative ma si verifica ogniqualvolta – essendo l’atto inidoneo al raggiungimento del suo scopo (nel caso dell’appello, evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado) – non operi un meccanismo di sanatoria. Pertanto, essendo inapplicabile all’atto di citazione di appello l’articolo 164 cod. proc. civ., comma 2 (testo originario), per incompatibilita’ – in quanto solo l’atto conforme alle prescrizioni di cui all’articolo 342 cod. proc. civ. e’ idoneo a impedire la decadenza dall’impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della sentenza -, l’inosservanza dell’onere di specificazione dei motivi, imposto dall’articolo 342 cit., integra una nullita’ che determina l’inammissibilita’ dell’impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza impugnata, senza possibilita’ di sanatoria dell’atto a seguito di costituzione dell’appellato – in qualunque momento essa avvenga – e senza che tale effetto possa essere rimosso dalla specificazione dei motivi avvenuta in corso di causa.
3.3. – Il ragionamento operato dalla Corte a Sezioni Unite con riferimento al mancato assolvimento dell’onere di specificazione dei motivi puo’ trovare applicazione anche con riguardo alla ipotesi di mancata indicazione, nella copia notificata dell’atto di citazione in appello, della data della udienza di comparizione: adempimento, codesto, del pari richiesto dall’articolo 342 cod. proc. civ., attraverso il richiamo, in esso contenuto, all’articolo 163 cod. proc. civ..
In definitiva, solo l’atto di appello conforme alle prescrizioni di cui all’articolo 342 del codice di rito e’ idoneo ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza. Ed infatti, la predetta sentenza chiarisce che la costituzione dell’appellato, nel giudizio di appello, idoneo, a raggiungere uno dei suoi scopi (costituzione del rapporto giuridico processuale), e’ inidonea a raggiungere l’altro (impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata), che si consegue solo con il comportamento dell’appellante conforme alle previsioni di cui all’articolo 342 c.p.c., senza alcuna possibilita’ per l’appellato di rimuovere gli effetti che derivano dalla inosservanza di quest’ultima norma, attesa l’indisponibilita’ degli effetti stessi o per l’appellante di rimediare alla nullita’ attraverso la specificazione dei motivi in corso di causa. Inosservanza che determina la pronuncia di inammissibilita’ dell’appello proposto, proprio perche’ il giudice, rilevato il vizio dell’atto, inducente il passaggio in giudicato della sentenza, non puo’ non rilevare che il giudizio d’impugnazione non puo’ giungere alla sua naturale conclusione e cioe’ al giudizio sulla denunciata ingiustizia della pronuncia impugnata.
Nella specie, per quanto fin qui esposto, l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.
4.- In tali termini, il ricorso deve essere accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio ex articolo 382 cod. proc. civ., poiche’ la rilevata inammissibilita’ dell’appello, comportando il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, impediva che il giudizio potesse essere proseguito (v., sul punto, Cass., n. 1505 del 2007, n. 17026 del 2004).
Non vi e’ luogo a provvedimenti sulle spese del giudizio di appello, in cui la parte appellata non aveva svolto alcuna attivita’. Le spese del giudizio di legittimita’, che, in applicazione, del criterio della soccombenza, devono essere poste a carico dei controricorrenti, si liquidano come da dispositivo.
Condanna i controricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 4200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Leave a Reply