Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 18 novembre 2015, n. 23624
Svolgimento del processo
1. Con sentenza depositata il 28 luglio 2014 la Corte d’appello di Torino ha rigettato le impugnazioni proposte da M.A. e da F.C. avverso la dichiarazione di adottabilità dei minore H. A..
2. La Corte territoriale ha posto a fondamento della decisione le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, destinate ad integrarsi con le circostanze fattuali negative relative alle caratteristiche comportamentali dei genitori, evidenziate continuativamente dai vari servizi che si erano occupati del gruppo e, in definitiva, la impercorribilità di misure alternative all’adozione, quali l’affidamento etero familiare del minore o l’adozione di concrete misure di sostegno nei confronti del padre.
3. Avverso tale sentenza, la C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Anche l’A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi (sin da ora va rilevato il motivo recante il n. 4 è, in realtà, il terzo ed ultimo). Il tutore e il curatore del minore non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso della C. si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione allo stato di abbandono dei minore, per non avere la Corte territoriale apprezzato il miglioramento delle condizioni di vita della madre e non avere disposto una scrupolosa indagine socio – psicologica.
Si è già detto che viene in questione nel caso di specie l’art. 360, comma primo, n.
5, cod. proc. civ., nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, cony., con modificazioni, dalla I. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi dei comma 3 del medesimo art. 54, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge di conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale).
Questa Corte ha già chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza dei semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, sentenza del 7 aprile 2014, n. 8053).
In tale cornice di riferimento le critiche sono infondate, dal momento che la sentenza impugnata ha dato conto, con motivazione tutt’altro che apparente, del permanere dell’inidoneità genitoriale della ricorrente, nonostante anni di sostegno, da parte dei servizi alla genitorialità, senza alcun profitto effettivo. 2. Con il secondo motivo, si lamenta “violazione dei criteri usuali di formazione della consulenza tecnica d’ufficio – sua valutazione”, lamentando che le conclusioni del consulente nominato sono state fondate su un ridotto numero di colloqui e senza una osservazione diretta degli incontri padre – figlio nonché senza la somministrazione di test proiettivi.
Le critiche, meramente reiterative delle censure svolte in appello, sono infondate, in quanto non si confrontano in modo specifico con la motivazione della sentenza impugnata e, in particolare, non considerano: a) con riferimento alla ricorrente, che la stessa è stata esaminata sia presso la Comunità che la ospitava sia presso lo studio della consulente; b) che al ridotto numero dei colloqui si accompagna un’ampia osservazione dei genitori da parte dei servizi e l’esame delle relative relazioni; c) che la consulente ha chiarito – e sul punto non si registra alcuna puntuale confutazione da parte della ricorrente – che è possibile operare una valutazione delle capacità genitoriali senza bisogno di osservare il concreto rapporto padre – bambino.
3. Con il terzo motivo si lamenta, anche sotto il profilo dei vizi motivazionali, la violazione del diritto del minore a crescere nell’ambito della propria famiglia naturale.
II motivo è inammissibile, in quanto, sebbene si prospetti nei termini di una denunciata violazione di legge, in realtà ripropone, del tutto genericamente e senza un adeguato supporto motivazionale, la richiesta di una nuova consulenza tecnica di ufficio.
4. Con il primo motivo del ricorso dell’A. si lamenta omessa o insufficiente motivazione in ordine al fatto decisivo e controverso per il giudizio rappresentato dalla sussistenza dello stato di abbandono del minore.
In particolare, il ricorrente rileva che la sentenza impugnata non ha spiegato per quali ragioni ha ritenuto le carenze genitoriali non emendabili e recuperabili in tempi compatibili con le esigenze del minore e non ha illustrato, se non facendo riferimento ad una contestata consulenza tecnica, quali danni il minore avrebbe potuto soffrire continuando a vivere con la madre o mantenendo, in una situazione di affido etero-familiare, rapporti con i genitori, in attesa che questi ultimi riuscissero a rimediare alle loro mancanze. Aggiunge il ricorrente che neppure si era indagato sulla sofferenza inflitta al bambino con il distacco dai genitori, nonostante che essa emergesse dalle relazioni dei servizi sociali. Il motivo è infondato, dal momento che, esclusa per le ragioni illustrare infra sub 6, l’ammissibilità delle critiche indirizzate alla consulenza tecnica d’ufficio e sinteticamente accennate nel presente motivo, la sentenza impugnata si caratterizza per una analitica valutazione delle ragioni che hanno condotto a concludere per l’irrecuperabilità delle capacità genitoriali e per l’esistenza di danni discendenti, per quanto concerne la posizione del ricorrente, alla carenza della sua funzione predittiva, ossia della capacità dell’adulto di progettare una vita per sé e per il figlio.
Così come presente – e razionale – è la motivazione sulla impraticabilità sia dell’affido etero-familiare, in assenza di una famiglia allargata, persino in embrione, oltre che di un rapporto affettivo e collaborativo tra i due genitori, come pure di interventi di sostegno, dal momento che tali istituti presuppongono una condizione transeunte, nel caso di specie, da escludere, a fronte della irreversibile inadeguatezza dei ricorrenti.
5. Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi secondo e terzo, della I. n. 184 del 1983, in relazione alla mancata predisposizione di interventi di sostegno alla genitorialità. Anche tale doglianza è infondata.
A tacer del fatto che il ricorrente sembra confondere l’esigenza di “un progetto
concreto del padre”, indicato come necessario dalla dott. Tencajoli, con il progetto
concreto da offrire al padre, si rileva che la Corte territoriale ha sottolineato come tali interventi presuppongano una temporanea inidoneità genitoriale e non stabili carenze.
7. Con il terzo motivo (ancorché recante il n. 4) si lamenta omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento al mancato espletamento di una nuova consulenza tecnica d’ufficio. Rilevato che anche i Procuratori generali che si erano occupati del procedimento avevano richiesto un supplemento di consulenza tecnica e lo svolgimento di una istruttoria più accurata, il ricorrente osserva: a) che la risposta al quesito sulla personalità dei genitori, con particolare riferimento alla presenza di disturbi psichiatrici conclamati era stata fornita in un’ottica prevalentemente psichiatrica, con valutazioni di ordine antropologico che parevano esulare dalla competenza e professionalità del perito nominato, ma che avevano influenzato negativamente il convincimento del giudice; b) che l’elaborato peritale appariva in più punti incoerente ed inconcludente, frutto di un lavoro frettoloso e comunque intriso di riferimenti ad un presunto modello culturale africano, sganciato da un concreto esame del ricorrente; c) che, infatti, anche la dottoressa Taliani aveva potuto riscontrare carenze ed incongruenze nella perizia; d) che la consulente d’ufficio, pur incaricata dal Tribunale di effettuare la necessaria osservazione della relazione genitori – minore, si era limitata ad effettuare solo due colloqui con il ricorrente, senza mai esaminare un incontro tra il padre e il figlio, ma le relazioni degli educatori, che, peraltro, sono di segno indiscutibilmente positivo; e) che le conclusioni della consulente non erano supportate da un riscontro scientifico, in quanto non era stato somministrato all’A. alcuno dei test ai quali si fa solitamente ricorso.
II motivo è inammissibile.
Si è già detto che viene in questione nel caso di specie l’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, cony., con modificazioni, dalla I. 7 agosto 2012, n. 134 e che, pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, sentenza dei 7 aprile 2014, n. 8053). Oltre a quanto detto supra sub 2, a proposito del secondo motivo del ricorso proposto dalla C., è appena il caso di aggiungere che sentenza impugnata ha dato ampiamente conto sia delle critiche indirizzate nei confronti della consulenza tecnica con l’atto di appello e sostanzialmente riproposte con il ricorso per cassazione sia delle ragioni che avevano condotte a disattenderle, quali tratte dai chiarimenti forniti dalla consulente nel corso dell’udienza di discussione e dalle stesse relazioni dei servizi che avevano seguito i due genitori. Va aggiunto che l’esame della sentenza impugnata consente di cogliere l’assoluta irrilevanza del riferimento ad un astratto modello culturale africano in un contesto motivazionale tutto centrato sull’analisi della personalità dei ricorrente, caratterizzata da una marcata propensione alla delega e da astratte ed irrealistiche prospettive esistenziali.
8. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi. Dispone che, in caso di diffusione dei presente provvedimento, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.
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