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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 17 gennaio 2014, n. 929

Svolgimento del processo

1 – Con sentenza del 24 giugno 2009 il Tribunale di Rieti pronunciava la separazione personale dei coniugi P.T. e S.R., dalla cui unione erano nati due figli, I. ed A. , ormai maggiorenni ed autosufficienti.
Con la stessa decisione veniva rigettata la domanda di addebito proposta dalla moglie, escludendosi la prova del nesso di causalità fra la violazione dell’obbligo di fedeltà da parte del P. – il quale aveva intrattenuto una relazione adulterina dalla quale nell’anno 1994 era anche nata una fi­glia – e la crisi coniugale; veniva altresì attri­buito alla S. un assegno, a titolo di contri­buto per il proprio mantenimento, pari ad Euro 400,00 mensili, con compensazione delle spese processuali.
1.1 – La Corte di appello di Roma, pronunciando su­gli appelli proposti dalla S. e, in via inci­dentale, dal P. , in primo luogo riteneva fon­data la domanda di addebito proposta dalla moglie, rilevando che la relazione del P. con altra donna era stata a lungo ignorata dalla S. , la quale soltanto nell’anno 2003 aveva appreso della nascita della figlia naturale del coniuge. Tale circostanza aveva determinato il deterioramen­to dei rapporti fra i coniugi, sfociato, dopo nume­rosi litigi, nell’allontanamento del marito dalla casa coniugale.
A giudizio della corte territoriale, escluso che il tempo trascorso dall’apprendimento dell’adulterio alla proposizione della domanda di separazione fosse significativo di una tolleranza da parte della S. , giuridicamente rilevante, in merito all’infedeltà del coniuge, doveva ritenersi sussi­stente il nesso causale fra la detta violazione del dovere di fedeltà e la crisi coniugale, anche in relazione alla serenità dei rapporti familiari pri­ma della scoperta della relazione adulterina e all’assenza di qualsiasi elemento probatorio ine­rente ad altre cause del deterioramento dell’intesa coniugale.
1.2 – Veniva altresì accolto il motivo di gravame proposto dalla S. in relazione all’entità dell’assegno di mantenimento, che era elevato fino ad Euro 600,00 mensili, in considerazione, da un lato, del mancato svolgimento, da parte della pre­detta, ormai sessantaduenne e affetta da problemi di salute, di attività lavorativa, e dall’altro, previa valutazione ponderata delle rispettive con­sistenze immobiliari, del reddito complessivo del P. , il quale per altro provvedeva, essendo la stessa con lui convivente, al mantenimento diretto della figlia naturale.
1.3 – Per la cassazione di tale decisione il P. proporne ricorso, affidato a tre motivi, illustrati da memoria, cui la S. resiste con controri­corso.

Motivi della decisione

2. – Con il primo motivo di ricorso si deduce vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motiva­zione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 350, primo comma, n. 5, c.p.c., per non aver la sentenza impugnata valutato in maniera adeguata il nesso causale fra la condot­ta adulterina attribuita al P. (risalente all’anno 1994, ma appresa dalla moglie nel 2003) e la crisi coniugale, manifestatasi soltanto nel 2007, con l’abbandono della casa coniugale da parte del marito.
2.1 – Con il secondo mezzo la circostanza sopra in­dicata viene posta a fondamento della deduzione della violazione degli artt. 151 e 2697 c.c., non avendo considerato la corte territoriale il lungo periodo di convivenza trascorso dopo che l’adulterio era venuto a conoscenza della moglie, attribuito a mera tolleranza, in assenza della pro­va in merito al nesso di causalità fra detta viola­zione e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
2.2 – Con la terza censura, denunciando violazione degli artt. 156 c.c., 115 c.p.c., nonché vizio di omessa o insufficiente motivazione su un fatto con­troverso e decisivo per il giudizio, ai sensi rispettivamente, dell’art. 350, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c., il P. si duole della elevazione dell’assegno disposta dalla corte d’appello in fa­vore della S. , frutto di un’erronea valutazione delle condizioni patrimoniali dell’onerato, per aver valutato il reddito lordo, e non netto, dello stesso, per non aver considerato gli oneri derivanti dal mantenimento della figlia nata fuori dal matrimonio e, infine, per non aver proceduto ad una valutazione ponderata delle rispettive poten­zialità delle parti, affermando, per altro, che il marito conviveva con la figlia e la compagna in (OMISSIS) , sulla base di un documento prodotto tardivamente dalla controparte.
3- I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamen­te per la loro intima connessione, sono infondati. L’attribuzione dell’addebito della separazione per­sonale al P. appare ineccepibilmente ricondotta dalla Corte distrettuale al suo antecedente reprensibile contegno, caratterizzato da una relazione extraconiugale, nel cui ambito era nata una figlia.
Tali circostanze erano state a lungo nascoste alla S. , la quale ne era venuta a conoscenza, tra­mite il parroco di (OMISSIS) , soltanto nell’anno 2003.
3.1 – In proposito va osservato che, secondo il co­stante orientamento di questa Corte (a partire da Cass., Sez. un., 23 aprile 1982, n. 2494), la pro­nuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 cod. civ. pone a carico dei coniugi, essendo invece necessario ac­certare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale. Non può tuttavia sottacersi che il venir meno all’obbligo di fedeltà coniugale, particolarmente attraverso una relazione extraconiugale nel cui am­bito sia stata generata prole, rappresenta una vio­lazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei co­niugi e, quindi, circostanza sufficiente a giusti­ficare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi co­niugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cass., 9 giugno 2000, n. 7859; Cass., 18 settembre 2003, n. 13747; Cass., 12 aprile 2006, n. 8512; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 14 feb­braio 2012, n. 2059, proprio in tema di ripartizio­ne del relativo onere della prova).
3.2 – La corte territoriale ha ritenuto, con moti­vazione esente da vizi di natura logico-giuridica, che la compromissione del rapporto coniugale, anche sotto il profilo temporale, era dipesa unicamente dalla rivelazione della grave condotta mantenuta dal P. : “A causa di tali fatti il rapporto fra i coniugi che fino a quel momento, dopo tanti anni di matrimonio, era stato sereno, è entrato grave­mente in crisi, essendone scaturiti litigi alla ri­chiesta di chiarimenti da parte della moglie, cui anche la nascita della bambina era stata nascosta”. Risulta, pertanto, rispettato, sulla base di una ricostruzione dei fatti incensurabile in questa se­de ed adeguatamente motivata, il richiamato orien­tamento di questa Corte, laddove il reprensibile comportamento del P. , per aver intrattenuto una relazione extraconiugale, con nascita di una figlia tenuta a lungo nascosta, è stato posto correttamen­te in relazione causale con la grave crisi coniuga­le, intervenuta – così interrompendo la pregressa armonia coniugale – solo dopo ed a cagione della conoscenza di tali circostanze da parte della S. .
Il successivo periodo, culminato nell’abbandono della casa coniugale da parte del marito, è stato caratterizzato da rapporti fra i coniugi divenuti sempre più intollerabili proprio a causa, secondo la ricostruzione operata dal giudice del merito, della condotta riferibile al P. , unico evento perturbatore della convivenza tra i coniugi.
4 – Anche il terzo motivo è infondato. Premesso che l’assegno di mantenimento deve essere idoneo a conservare tendenzialmente al coniuge richiedente il tenore di vita goduto durante la convivenza ma­trimoniale, e che indice di tale tenore di vita, in mancanza di ulteriori prove, può essere l’attuale divario reddituale tra i coniugi (Cass., n. 2156 del 2010), va osservato che il ricorrente propone censure attinenti al merito, insuscettibili di con­trollo in questa sede, a fronte di una sentenza dalla motivazione adeguata e non illogica. Non va invero sottaciuto che la corte di appello ha accol­to in parte le censure proposte dalla S. av­verso la decisione di primo grado, elevando l’assegno, per altro in maniera non particolarmente significativa, sulla base, da un lato, del mancato svolgimento da parte della predetta di attività la­vorativa e dell’impossibilità, sia per l’età ormai avanzata, sia per ragioni di salute, di reperirla, dall’altro considerando in maniera compiuta, e pro­cedendo a una valutazione ponderata, le condizioni patrimoniali di entrambi i coniugi. Per altro, l’indicazione dei redditi del P. come “lordi”, non comporta alcun vizio motivazionale, in quanto la corte da un lato ha dimostrato di considerarli come tali, tenendo evidentemente conto dei relativi oneri fiscali, dall’altro, non ha comparato dati disomogenei, avendo precisato che la S. è priva di mezzi di sussistenza. Non è dato, inoltre, di riscontrare vizi logici e giuridici nella valu­tazione delle rispettive consistenze patrimoniali, come pure nella considerazione degli oneri che gra­vano sul P. in relazione alla figlia nata fuori del matrimonio, e sulle modalità del loro adempi­mento.
Sotto tale profilo non coglie nel segno la critica fondata sulla tardiva produzione del documento ine­rente alla residenza del predetto in Farà Sabina ed alla convivenza con la nuova compagna e la fi­glia, in quanto, nell’ambito del prevalente orien­tamento secondo cui, con riferimento alla separa­zione personale dei coniugi, le forme del procedi­mento in camera di consiglio si applicano ad ogni fase del giudizio di appello e non solo a quella della decisione (Cass., 12 gennaio 2007, n. 565; Cass., 10 marzo 2006, n. 5304), si è affermato che la produzione di documenti in appello è consentita fino all’udienza di discussione in camera di consi­glio, sempre che – circostanza non contestata nella specie – in ordine alle circostanze dedotte si sia instaurato un pieno e completo contraddittorio (Cass., 27 maggio 2005, n. 11319).
In definitiva, nell’impugnata decisione risulta ri­spettato il fondamentale criterio dettato dalla di­sposizione contenuta nell’art. 156 c.c., secondo cui, valutato il tenore di vita mantenuto durante il matrimonio, ed accertato che i mezzi economici del coniuge richiedente non gli consentono di man­tenerlo, bisogna procedere a una valutazione compa­rativa dei mezzi economici di ciascun coniuge al fine di stabilire se sussista una disparità econo­mica che giustifichi l’attribuzione dell’assegno e, quindi, determinarne l’ammontare. La corte di ap­pello, avendo dato atto dell’incontrovertibile di­sparità delle condizioni patrimoniali dei coniugi, ed avendo valutato in base alle stesse il tenore di vita matrimoniale, ha determinato l’assegno in fa­vore della S. , valutando, secondo un giudizio di merito esente da censure in questa sede, la man­canza, in capo alla stessa, di mezzi di sussisten­za, a prescindere dalla disponibilità di una casa di abitazione acquistata con la somma di danaro a lei derivante dalla vendita della quota della casa già appartenente alla comunione legale, a fronte di una preponderante condizione economica dell’onerato (che non aveva impugnato in via incidentale l’originaria attribuzione dell’assegno), e del qua­le, in ogni caso, sono state considerate, in termi­ni di concretezza ed attualità, le necessità perso­nali e le ulteriori obbligazioni nei confronti di altri soggetti.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del P. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorren­te al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, ol­tre accessori di legge.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle par­ti e dei soggetti menzionati in sentenza.

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