Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 10 aprile 2018, n. 15866.
Solo l’esistenza nello Stato di un procedimento penale parallelo per il fatto, oggetto del mandato di arresto Europeo, commesso in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio, giustifica il rifiuto della consegna ai sensi dell’articolo 18, lettera p), in quanto in tal caso la soluzione del conflitto (gia’ esistente e non meramente potenziale) deve trovare necessaria soluzione nel meccanismo disciplinato dalla decisione quadro del 2009 e dal Decreto Legislativo n. 29 del 2016. In tal caso il rifiuto della consegna viene effettivamente a tutelare le prerogative dello Stato di esecuzione in funzione della composizione del conflitto (non impedendo, e’ bene precisare, una successiva richiesta di consegna per il medesimo fatto, nel caso di accordo sulla concentrazione del procedimento nello Stato membro di emissione).
Sentenza 10 aprile 2018, n. 15866
Data udienza 4 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/03/2018 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. De Masellis Mariella, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al motivo di rifiuto di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 18, lettera p);
udito il difensore, avv. (OMISSIS), anche in sostituzione del codifensore avv. (OMISSIS), che ha concluso insistendo nei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Napoli disponeva la consegna, condizionata al rinvio a norma della L. n. 69 del 2005, articolo 19, lettera c), e sospesa ai sensi dell’articolo 24 della stessa legge, del cittadino italiano (OMISSIS), richiesta dalle autorita’ giudiziarie spagnole con mandato di arresto Europeo per il suo perseguimento per i reati di partecipazione ad associazioni dedite al narcotraffico e al riciclaggio.
La Corte di appello esponeva che al predetto era stato contestato di aver fatto parte di un’associazione operante in Spagna, autonoma anche se collegata al clan camorristico “(OMISSIS)”, nella quale si era occupato di dirigere personalmente il traffico internazionale di droga tra la Spagna e l’Italia, nonche’ il riciclaggio e il reinvestimento in Spagna di rilevanti capitali acquisiti dal suddetto clan attraverso la propria attivita’ criminale.
La Corte distrettuale riteneva che in ordine ai suddetti fatti non ricorressero le ipotesi ostative previste dalla L. n. 69 del 2005, articolo 18, lettera o) e p).
Relativamente alla ipotesi di cui alla lettera o) del citato articolo, secondo la Corte di appello, era emerso che i fatti per i quali era stata richiesta la consegna risultavano essere diversi da quelli per i quali lo stesso (OMISSIS) era stato condannato, in via non ancora definitiva, in Italia per il reato di cui all’articolo 416-bis c.p., in qualita’ dei partecipe del clan (OMISSIS) (reato in ordine al quale aveva riportato la condanna, confermata in appello, ad anni 12 di reclusione): l’associazione operante in Spagna, anche se collegata al clan dei (OMISSIS), era infatti autonoma nell’organizzare le attivita’ criminali (lo (OMISSIS), pur ricevendo ordini e danaro dal (OMISSIS), gestiva poi in autonomia le attivita’ illecite).
Non era neppure ravvisabile la fattispecie ostativa di cui alla lettera p) del suddetto articolo, in quanto, pur essendo ravvisabili elementi di collegamento tra l’associazione operante in Italia e quella oggetto del mandato di arresto Europeo, doveva prevalere un’esegesi della disposizione “conforme” alla decisione quadro sul mandato di arresto Europeo del 2005, che consentisse di prevedere il motivo di rifiuto come facoltativo e non obbligatorio.
Secondo la Corte di appello, la disposizione ora richiamata doveva essere disapplicata in quanto in “insanabile contrasto” con “la norma Europea direttamente efficace” per una serie di motivi. In primis, l’articolo 4, par. 7, lettera a), della decisione quadro del 2002 relativa al mandato d’arresto Europeo prevedeva il “potere” e non il “dovere” di rifiutare la consegna se la richiesta riguarda reati che secondo la legge dello Stato membro di esecuzione sono commessi in tutto o in parte nel suo territorio; e la disciplina dell’obbligatorieta’ del rifiuto nel caso previsto dall’articolo 18, comma 1, lettera p), cit. era stata espressamente criticata nel rapporto della Commissione Europea del 23 febbraio 2005 sull’attuazione della decisione quadro.
In secondo luogo, la disciplina introdotta dal Decreto Legislativo 15 febbraio 2016, n. 29, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro del 2009 del 30 novembre 2009, concernente la prevenzione e la risoluzione di conflitti di giurisdizione penale tra i Paesi dell’Unione Europea, prevedeva l’applicazione, in caso di giurisdizioni concorrenti, del criterio del luogo in cui si e’ verificato prevalentemente il fatto costituente reato, ovvero altri criteri residuali.
Secondo la Corte di appello, quindi, doveva ritenersi il giudice spagnolo nella migliore posizione per giudicare i fatti in contestazione.
La Corte di appello respingeva infine anche le istanze difensive in ordine al motivo di rifiuto previsto dalla L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera m), in quanto la sentenza emessa in Italia nei confronti dello (OMISSIS) per il reato ex articolo 416-bis c.p. non era ancora irrevocabile.
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, a mezzo dei suoi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p.:
– violazione della L. n. 69 del 2005, articolo 1, comma 3 e articolo 6, comma 1, lettera e), in quanto, come evidente da una mera lettura del provvedimento spagnolo, il mandato risulta del tutto generico in ordine alla descrizione delle condotte illecite, limitandosi all’indicazione del nomen juris dei reati;
– violazione della L. n. 69 del 2005, articolo 16, non avendo la Corte di appello disposto l’acquisizione di informazioni aggiuntive per meglio comprendere le condotte incriminate;
– violazione della L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera m), in quanto i fatti attribuiti al ricorrente risulterebbero del tutto sovrapponibili a quelli per i quali e’ stato condannato in Italia (in particolare, gia’ risultava il ruolo di mediatore di (OMISSIS) tra l’Italia e la Spagna, cosi’ come la sua attivita’ di imprenditore colluso al clan, l’episodio della societa’ (OMISSIS) s.r.l., dedita al riciclaggio, la costruzione di 25 villini in Spagna);
– violazione della L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera p), poiche’ la Corte di appello non avrebbe considerato che per altri coimputati del clan (OMISSIS) ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) era stata in passato rifiutata la consegna per il suddetto motivo ostativo; inoltre, pur volendo considerare facoltativo il motivo di rifiuto, avrebbe in modo frettoloso ed illogico ritenuto preferibile la consegna alla Spagna, quando invece il giudice italiano era in possesso di tutti gli elementi di prova per procedere in ordine ai fatti di cui al mandato di arresto Europeo, che avevano avuto la loro origine ed evoluzione criminosa in Italia (era pur sempre (OMISSIS), capo incontrastato di entrambe le consorterie).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non puo’ essere accolto per le ragioni di seguito indicate.
2. I primi due motivi sono inammissibili.
A fronte della sentenza impugnata che ha attestato che il mandato di arresto Europeo si presentava sufficientemente circostanziato in ordine alla descrizione dei fatti illeciti, la censura proposta dal ricorrente e’ stata formulata in modo del tutto generico, trovando comunque smentita ictu oculi non solo nella motivazione della sentenza – la’ dove la Corte di appello ha proceduto ad un’analisi specifica delle incolpazioni provvisorie mosse dalle autorita’ giudiziarie spagnole al fine di verificare la sussistenza delle ipotesi ostative invocate dalla difesa – ma anche dalle stesse critiche mosse dal ricorrente nei motivi versati nel presente ricorso, che si diffondono in un’analisi comparativa tra la condotta commessa in Spagna e quella oggetto del procedimento penale in Italia.
3. Il terzo motivo e’ manifestamente infondato e vieppiu’ aspecifico, avendo la Corte di appello rilevato in via assorbente che la sentenza di condanna emessa in Italia non era irrevocabile, come invece richiede la norma evocata dal ricorrente (l’articolo 18, comma 1, lettera m, prevede il rifiuto della consegna se “risulta che la persona ricercata e’ stata giudicata con sentenza irrevocabile per gli stessi fatti da uno degli Stati membri dell’Unione Europea purche’, in caso di condanna, la pena sia stata gia’ eseguita ovvero sia in corso di esecuzione, ovvero non possa piu’ essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro che ha emesso la condanna”).
4. Il quarto motivo non puo’ trovare accoglimento anche se per ragioni diverse da quelle indicate dalla Corte territoriale.
Ancorche’ il ricorrente non abbia sottoposto a specifica censura lâEuroËœesegesi accolta dalla Corte di appello, che ha ritenuto di ravvisare nell’ipotesi di cui alla L. n. 69 del 2005, articolo 18, comma 1, lettera p) della un motivo di rifiuto facoltativo della consegna, appare opportuno preliminarmente affrontare questa questione per verificare se la soluzione interpretativa fatta propria dalla sentenza impugnata sia corretta.
4.1. Il cit. articolo 18, lettera p) prevede due distinte ipotesi di rifiuto obbligatorio della consegna, ispirate da differenti ratio: la prima, riguarda il caso in cui il mandato di arresto Europeo sia stato emesso in relazione a “reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio”; la seconda, attiene invece alla distinta fattispecie in cui i reati oggetto del mandato di arresto Europeo “sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione” e “la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio”.
Entrambi i motivi ostativi corrispondono a tradizionali casi di rifiuto dell’estradizione, peraltro disciplinati in sede pattizia in chiave solamente facoltativa (cfr. articolo 7 della Convezione Europea di estradizione), che mirano alla tutela del principio di territorialita’ della legge penale secondo differenti angolature: il primo e’ funzionale alla riserva di giurisdizione a favore dello Stato di rifugio su fatti commessi sul suo territorio; il secondo, invece, risponde all’esigenza di alcune legislazioni che non perseguono i reati commessi in territorio estero.
Orbene, mentre quest’ultima ipotesi prevista dalla seconda parte dell’articolo 18, lettera p) appare non avere di fatto alcuna rilevanza nel sistema penale italiano che consente in via generale la punibilita’ di reati commessi all’estero, attraverso l’articolo 7 c.p. e ss.gg. (non potendosi tener conto, nella suddetta valutazione, della sussistenza in concreto delle condizioni di procedibilita’, cfr. in senso analogo, in materia estradizionale, Sez. 6, n. 21251 del 01/04/2003, Schumann, Rv. 226042), piu’ problematica e’ risultata l’applicazione della prima delle suddette cause di rifiuto della consegna.
Invero, nel regolare i rapporti tra l’ordinamento italiano e gli ordinamenti stranieri, l’articolo 6 c.p., comma 2, si ispira al principio della forza espansiva dell’applicazione della legge italiana (cfr. la Relazione ministeriale al codice penale; Sez. 6, n. 7478 del 09/12/1992, dep. 1993, Carnana, Rv. 195046), secondo cui e’ sufficiente che sia avvenuta in Italia anche una minima parte dell’azione o della omissione, pur se priva dei requisiti di idoneita’ e di inequivocita’ richiesti per il tentativo, per far ritenere commesso in Italia il reato che, considerando anche i collegati atti commessi all’estero, viene poi concretamente individuato nella sua unitaria fisionomia in un reato consumato o tentato (in senso conforme, tra le tante, Sez. 4, n. 6376 del 20/01/2017, Cabrerizo Morillas, Rv. 269062).
Come e’ stato piu’ volte evidenziato dalla dottrina, questa interpretazione della citata disposizione del codice e’ funzionale ad evitare che l’applicazione del principio di territorialita’ della legge penale implichi una mutilazione dell’azione o dell’omissione delittuosa, a causa dell’esistenza delle frontiere internazionali, e quindi la sola punibilita’ di quella parte di un fatto eseguita al di qua dei confini nazionali.
Il legislatore ha infatti considerato il reato un’entita’ indivisibile, avendo riguardo sia alla parte che si e’ verificata nel territorio nazionale sia a quella verificatasi all’estero (cfr. la Relazione al re sul codice penale, n. 92: “costituirebbe un’aberrante finzione quello di considerarlo tentato, mentre in realta’ esso fu consumato “).
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