Corte di Cassazione, S.U.P., sentenza 23 luglio 2014, n. 32697. In tema di intercettazioni, la conversazione o comunicazione intercettata, costituisce corpo del reato allorché essa integra di per sé la fattispecie criminosa, e, in quanto tale, è utilizzabile nel processo penale
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1. Con sentenza in data 3 maggio 2012 la Corte Militare di appello ha confermato la sentenza del 30 marzo 2011 del Tribunale Militare di Verona, con la quale F.E. e S.D. erano stati dichiarati colpevoli del reato di distruzione e deterioramento di cose militari, di cui agli art. 40, 110 cod. pen. e 169 cod. pen. mil. pace, aggravato ai sensi dell’art. 47 stesso codice.
In particolare, secondo la contestazione, gli imputati, quali militari in servizio presso l’Aliquota Radiomobile del Comando Compagnia Carabinieri di (…), comandati in servizio di perlustrazione a bordo dell’autovettura Alfa Romeo 156, targata (…), avevano mandato intenzionalmente il motore “fuori giri”, portato l’autovettura alla velocità di circa 100 km/h e innestato per due volte la prima marcia, provocando la rottura del cambio e del differenziale e, quindi, il deterioramento o la distruzione, in parte, di cosa mobile appartenente alla Amministrazione militare. Venivano, perciò, condannati, con la contestata aggravante, alla pena ritenuta di giustizia con i benefici della sospensione condizionale della stessa e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
In punto di fatto gli imputati, comandati il giorno (omissis) del turno di servizio di perlustrazione ore 6-12, avevano riconsegnato l’autovettura dopo circa un’ora perché in avaria.
2. Il Tribunale Militare aveva fondato l’affermazione di colpevolezza sulle risultanze:
– della registrazione digitale sonora di quanto avvenuto nell’autovettura utilizzata quel giorno dagli imputati, tratta da un dispositivo per intercettazione ambientale installato nella predetta auto nell’ambito di indagini per reato comune a carico di militari della Aliquota Radiomobile del Comando Compagnia Carabinieri di appartenenza, acquisita nel corso del dibattimento perché ritenuta nella sua interezza corpo di reato e utilizzabile;
– della inchiesta amministrativa effettuata dall’ufficiale inquirente, Ten. Col. G.A., escusso come teste in dibattimento, coadiuvato, per la parte tecnica, dal Col. C.V., capo sezione motorizzazione del Comando Interregionale Carabinieri di (…), in ordine ai danni riportati dall’autovettura e alla loro compatibilità con un “fuori giri”, realizzato effettuando manovre di innesto forzato di marce basse a velocità non compatibile con tali rapporti di trasmissione;
– delle dichiarazioni del teste ing. Ca.Gi. , consulente di parte dei due imputati nella inchiesta amministrativa, in ordine alla non incompatibilità del “fuori giri” con lo stato del motore, riscontrato al momento della riconsegna dell’autovettura da parte degli imputati, e alla esclusa dipendenza del danno da mancanza o inidoneità dell’olio nel motore ovvero da cattiva manutenzione;
– della capacità e della esperienza nella guida veloce del S., che conduceva l’autovettura, unitamente alla assenza di qualsiasi operazione di inseguimento; elementi che, considerato l’inserimento per due volte di marce basse ad alto regime di giri, inducevano ad escludere l’involontarietà del comportamento;
– del tenore delle frasi pronunciate dal F. e delle risate dei due, fondanti l’inquadramento del comportamento di detto imputato nello schema legale della compartecipazione morale.
3. La Corte Militare di appello rigettava i motivi di gravame, con i quali gli imputati, con distinti atti di impugnazione, avevano eccepito la inutilizzabilità dell’intercettazione ambientale eseguita all’interno dell’auto; dedotto, nel merito, che l’avaria della stessa non era riconducibile ad un comportamento volontario posto in essere dagli appellanti; e chiesto, in subordine, un più mite trattamento sanzionatorio.
3.1. La sentenza affrontava anzitutto la questione della utilizzabilità della registrazione sonora eseguita all’interno dell’autovettura per ordine dell’Autorità giudiziaria ordinaria, disposta per reati diversi da quello ascritto agli imputati.
La Corte Militare di appello, richiamando i principi di diritto fissati dalla prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione, di recente con sentenza Sez. 6, n. 5141 del 2008, e l’intervento della Corte Costituzionale con sentenza n. 366 del 1991, affermava che, in tema di intercettazioni telefoniche o ambientali da utilizzare in altri procedimenti, qualora la comunicazione intercettata costituisca essa stessa una condotta delittuosa, la sua acquisizione deve essere inquadrata nelle norme che regolano l’uso processuale del corpo di reato e non trovano, pertanto, applicazione le limitazioni probatorie previste dall’ari:. 270 cod. proc. pen.
I giudici di merito non ritenevano, invece, condivisibile l’orientamento minoritario espresso con la sentenza Sez. 6, n. 33187 del 5 aprile 2001 e ribadito con successiva pronuncia Sez. 5, n. 10166 del 25 gennaio 2011, secondo il quale anche in tale ipotesi dovevano trovare applicazioni i limiti di utilizzabilità stabiliti dal citato art. 270.
3.2. Nel merito, la sentenza rimarcava che la conversazione intercettata copriva tutta la vicenda penalmente rilevante e costituiva prova della condotta posta in essere volontariamente dagli imputati, in concorso, cui doveva essere attribuita con certezza la causa del danno. Veniva infine esclusa la sussistenza di elementi che giustificassero il riconoscimento delle attenuanti generiche, della speciale tenuità del danno e la modificazione in termini più favorevoli del trattamento sanzionatorio.
4. Avverso la sentenza di appello hanno proposto distinti ricorsi per cassazione personalmente il F. e, tramite il difensore avv. Mario Conestabo, il S.
Entrambi i ricorrenti denunciano, come unico motivo di ricorso, di contenuto sostanzialmente analogo, la violazione degli art. 266, 270 e 271 cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta utilizzabilità della intercettazione ambientale posta a fondamento dell’affermazione di responsabilità.
Si osserva che l’indirizzo interpretativo seguito dalla sentenza impugnata contrasta con il più recente orientamento della Corte di cassazione, espresso dalla sentenza Sez. 5, n. 10166 del 25 gennaio 2011, pure citata dalla pronuncia per disattenderne l’insegnamento, che si palesa rispettoso del diritto alla privacy garantito dall’art. 15 Cost. e dalla normativa Europea. Si sottolinea che la richiamata sentenza della Cassazione, che più di recente si è interessata della questione, ha escluso la utilizzabilità delle intercettazioni anche quando la stessa comunicazione integra una condotta criminosa. In ogni caso l’esistenza di un contrasto interpretativo in materia avrebbe reso opportuna la rimessione della questione all’esame delle Sezioni Unite.
Con il ricorso proposto nell’interesse del S. si contesta anche che la registrazione della intercettazione ambientale possa essere considerata corpo del reato, e da parte di entrambi i ricorrenti si sostiene che l’intercettazione ambientale costituisce in effetti l’unica prova dell’elemento oggettivo del reato di danneggiamento e, in particolare, della responsabilità del F.
5. La Prima Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza del 30 ottobre 2013, lo ha rimesso alle Sezioni unite ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen..
5.1. Nell’ordinanza si osserva che la questione di diritto dedotta dai ricorrenti attiene alla utilizzabilità delle intercettazioni in procedimento diverso da quello nel quale erano state disposte in assenza delle condizioni richieste dall’art. 270 cod. proc. pen. e alla inquadrabilità della conversazione intercettata, costituente condotta delittuosa, nelle norme che regolano l’uso processuale del corpo del reato.
Si sottolinea, poi, che, secondo la tesi dei ricorrenti, detta questione ha carattere dirimente ai fini della affermazione di colpevolezza, costituendo l’intercettazione ambientale l’unica prova che ha legato ciascuno di essi al fatto contestato nel capo di imputazione.
5.2. Osserva ancora la Sezione rimettente che sussiste un contrasto interpretativo, peraltro consapevole, nella giurisprudenza della Corte di cassazione in ordine alla utilizzabilità delle intercettazioni nell’ambito di un processo diverso da quello per il quale erano state disposte relativamente a reato per il quale sarebbe preclusa la possibilità di utilizzazione ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen..
Secondo l’ordinanza, un orientamento che viene definito maggioritario ha affermato, sia pure con riferimento a fattispecie diverse, il principio di diritto secondo il quale, in tema di intercettazioni telefoniche da utilizzare in altri procedimenti, le limitazioni probatorie di cui all’art. 270 cod. proc. pen. non valgono allorché la comunicazione intercettata costituisce essa stessa condotta delittuosa, che, imprimendosi contestualmente alla commissione del fatto sul supporto magnetico registrante, lo rende corpo del reato, in quanto tale utilizzabile quale fonte di prova nel giudizio (Sez. 6, n. 8670 del 07/05/1993, Olivieri, Rv. 195535; Sez. 6, n. 14355 del 27/03/2001, Cugnetto, Rv. 218784; Sez. 6, n. 15729 del 21/02/2003, Di Canosa, Rv. 225610; Sez. 6, n. 25128 del 24/05/2005, Tortu, Rv. 232255; Sez. 6, n. 5141 del 18/12/2007, dep. 2008, Cincavalli, Rv. 238728; Sez. 6, n. 13166 del 29/11/2011, dep. 2012, Alessio, Rv. 252578; Sez. 6, n. 32957 del 17/07/2012, Salierno, Rv. 253037).
Secondo l’opposto indirizzo interpretativo, affermato solo da due sentenze (Sez. 6, n. 33187 del 05/04/2001, Ruggiero, Rv. 220273; Sez. 5, n. 10166 del 25/01/2011, Fiori, Rv. 249952), quando le registrazioni non rappresentano una conversazione su circostanze relative al fatto-reato per il quale siano state disposte, ma una comunicazione che integra essa stessa condotta criminosa, la loro acquisizione è soggetta alle disposizioni stabilite dall’art. 270 cod. proc. pen. e non va inquadrata nelle norme che regolano l’uso processuale del corpo di reato.
5.3. Un ulteriore contrasto o quanto meno un elemento di incertezza viene rilevato dall’ordinanza nel primo indirizzo interpretativo, che ha riguardato solo intercettazioni telefoniche, in ordine alla stessa identificazione del corpo di reato, individuato da alcune sentenze nella “bobina delle intercettazioni” (Rv. 195535) ovvero “la registrazione delle comunicazioni” (Rv. 218784; Rv. 238728; Rv. 253037) o “il supporto magnetico registrante” (Rv. 225610) o come elemento immateriale costituito da “la comunicazione intercettata” (Rv. 232255) o “le conversazioni intese come segni espressivi di comunicazione tra soggetti” (Rv. 252578).
5.4. Altro motivo di contrasto interno, sempre nel primo indirizzo interpretativo, è stato ravvisato dalla Sezione rimettente con riferimento alla ipotesi in cui la comunicazione intercettata rappresenti solo un frammento della condotta criminosa, nel qual caso troverebbero applicazione le limitazioni probatorie stabilite dall’art. 270 cod. proc. pen. (Rv 232255).
6. Il Primo Presidente, con decreto in data 31 marzo 2014, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna pubblica udienza.
7. Con memoria depositata il 9 giugno 2014 la Procura Generale Militare della Repubblica presso la Corte Suprema di cassazione ha osservato che, se si pervenisse alla conclusione della inutilizzabilità del contenuto dell’intercettazione ambientale, residuerebbe in ogni caso, quale prova della condotta del S., la possibilità di utilizzare la registrazione del rumore del “fuori giri” del motore, la cui captazione, trattandosi di un sonoro non comunicativo, si sottrae ai limiti fissati dagli art. 266 e ss. cod. proc. pen.
Nel prosieguo della memoria si svolgono argomentazioni a sostegno dell’interpretazione secondo la quale le limitazioni di cui all’art. 270 cod. proc. pen. non operano allorché la conversazione intercettata costituisca essa stessa reato, sicché la corrispondente registrazione deve definirsi corpo del reato ed è soggetta alle norme processuali che ne regolano l’uso.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono fondati per le ragioni e nei limiti di seguito precisati.
2. La questione sottoposta dalla Sezione rimettente all’esame delle Sezioni Unite è la seguente: “Se, in tema di intercettazioni, la conversazione o comunicazione intercettata, costituente di per sé condotta criminosa, possa essere qualificata corpo del reato e sia come tale utilizzabile”.
3. È appena il caso di rilevare preliminarmente che ai sensi dell’art. 261 del cod. pen. mil. pace, salvo che la legge disponga diversamente, le disposizioni del codice di procedura penale si osservano anche per i procedimenti davanti ai tribunali militari.
4. È stato precisato dall’ordinanza di rimessione che la questione di diritto sollevata dai ricorrenti concerne, in via principale, la utilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimenti diversi da quelli per il quale sono state disposte, al di fuori dei casi in cui detta utilizzazione sarebbe consentita ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen. (intercettazioni indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza); in secondo luogo la ricorrenza, nel caso in esame, delle condizioni per ritenere l’intercettazione utilizzabile in quanto corpo del reato.
5. Come è noto, la Corte Costituzionale si è più volte occupata, sotto vari profili, della questione della legittimità costituzionale delle intercettazioni di comunicazioni nel quadro del necessario bilanciamento di due distinti interessi: “quello inerente alla libertà ed alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 Cost., e quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale” (sent. n. 34 del 1973).
Le varie pronunce che si sono succedute nel tempo hanno sempre confermato la legittimità della normativa in materia di intercettazioni, prima con riferimento all’art. 226, ultimo comma, dell’abrogato cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 517 del 1955 (sent. n. 34 del 1973), e successivamente con riferimento agli art. 266 e ss. del codice vigente, che peraltro risultano in linea di sostanziale continuità rispetto alle disposizioni del codice abrogato (sentenze n. 366 del 1991; n. 63 del 1994), osservando, da un lato, che detta normativa costituisce un corretto punto di equilibrio tra i valori costituzionali sopra enunciati, anche con riferimento all’utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi, ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen., e, dall’altro, valorizzando il diretto controllo dell’autorità giudiziaria sull’esecuzione delle intercettazioni, nonché le garanzie del contraddittorio, di cui agli art. 268, commi, 6, 7 e 8, cod. proc. pen. con riferimento all’ipotesi di utilizzazione delle risultanze delle intercettazioni in procedimento diverso.
In materia il Giudice delle leggi si è limitato a prescrivere la rigorosa applicazione delle disposizioni vigenti da parte dell’autorità giudiziaria, mediante la congrua motivazione dei provvedimenti emessi ed il controllo dell’attività di intercettazione.
6. I profili di rilevanza costituzionale della disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni inducono ad esaminare per prima la questione sollevata dalla Procura Generale Militare relativamente ai limiti delle garanzie di ordine costituzionale che promanano dagli art. 14 e 15 Cost. in materia di diritto alla riservatezza.
Orbene, l’art. 15 Cost. si riferisce espressamente alla inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, mentre ogni ulteriore tutela della privacy è garantita dall’art. 14 Cost. con riferimento alle condotte che si svolgano in luoghi di privata dimora.
Sicché la garanzia costituzionale non può essere estesa a registrazioni o videoregistrazioni di contenuto non comunicativo che vengano effettuate al di fuori dei luoghi garantiti dall’art. 14 Cost.
A queste ultime non è dunque applicabile la disciplina delle intercettazioni di cui agli art. 266 e ss. cod. proc. pen..
6.1. Tale principio di diritto è stato reiteratamente affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, sia pure ai fini della esclusione della sussistenza del reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all’art. 615-bis cod. pen. (Sez. 5, n. 35947 del 04/06/2001, Rosina, Rv. 220206; Sez. 6, n. 6962 del 10/01/2003, Cherif Ahmed, Rv. 223733; Sez. 5, n. 44156 del 21/10/2008, Gottardi, Rv. 241745), o con specifico riferimento alla utilizzabilità di videoregistrazioni di condotte non aventi contenuto comunicativo (Sez. 6, n. 1707 del 10/11/2011, dep. 2012, Trapani, Rv. 251563) effettuate al di fuori dei luoghi da qualificarsi come privata dimora.
6.2. È stato altresì reiteratamente affermato che l’abitacolo di un’autovettura non può essere considerato luogo di privata dimora (Sez. 1, n. 1904 del 22/01/1996, Porcaro, Rv. 203799; Sez. 6, n. 2845 del 01/12/2003, dep. 2004, Cavataio, Rv. 228420; Sez. 1, n. 2613 del 20/12/2004, dep. 2005, Bolognino, Rv. 230533; Sez. 1, n. 47180 del 01/12/2005, Sarcone, Rv. 233991; Sez. 1, n. 32581 del 06/05/2008, Sapone, Rv. 241229; Sez. 1, n. 13979 del 24/02/2009, Morabito, Rv. 243556; Sez. 5, n. 8365 del 18/01/2013, Girasole, Rv. 254657), dovendosi intendere tale il luogo adibito allo svolgimento di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente senza il pericolo di interferenze da parte di estranei.
Si palesa evidente che l’abitacolo di una autovettura, che peraltro nel caso in esame apparteneva alla pubblica amministrazione, per la sua struttura e conformazione, non può normalmente assolvere a detta funzione.
6.3. Deve, pertanto, escludersi che la registrazione del rumore del motore dell’autovettura in uso agli imputati fosse soggetta alla disciplina delle intercettazioni di cui agli art. 266 e ss. cod. proc. pen.
Ne consegue che detta registrazione risulta utilizzabile, quale mezzo di prova atipico ex art. 189 cod. proc. pen., non diversamente dalla utilizzabilità di strumenti di registrazione delle modalità di uso del veicolo o del suo motore previsti per determinate categorie di automezzi (ad. es. cronotachigrafo).
6.4. La soluzione della questione di diritto esaminata nei sensi prospettati dalla Procura Generale Militare non appare, però, dirimente ai fini della decisione dei ricorsi, stante la particolare valorizzazione da parte dei giudici di merito del contenuto comunicativo delle intercettazioni utilizzate ai fini dell’affermazione di colpevolezza degli imputati.
7. Tornando alla questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite deve essere preliminarmente escluso che la intercettazione e registrazione delle conversazioni tra gli imputati sia stata effettuata nell’ambito dello stesso procedimento penale.
7.1. È noto che la, prevalente e più recente,giurisprudenza di legittimità ha ancorato la nozione di procedimento diverso ad un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali, quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato, in quanto considera decisiva, ai fini della individuazione della identità dei procedimenti, l’esistenza di una connessione tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009, Pavigliariti, Rv. 246524; Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, Filippi, Rv. 254285; Sez. 2, n. 43434 del 05/07/2013, Bianco, Rv. 257834; Sez. 2, n. 3253 del 10/10/2013, dep. 2014, Costa, Rv. 258591).
7.2. Nel caso in esame la diversità del procedimento per il quale sono state disposte le intercettazioni ambientali (un’indagine dell’autorità giudiziaria ordinaria nei confronti di appartenenti all’Arma dei Carabinieri di Trieste per reati comuni in danno di utenti della strada) e l’assenza di qualsiasi connessione sostanziale tra detti reati e quelli di distruzione e deterioramento di cose appartenenti all’Amministrazione militare per i quali si è proceduto nei confronti degli imputati ha costituito un dato pacifico per i giudici di merito sulla base di una valutazione che, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati, non poteva pervenire a conclusioni diverse.
7.3. Operano, pertanto, i limiti alla utilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni effettuate in diverso procedimento, stabiliti dall’art. 270 cod. proc. pen., che i giudici di merito hanno ritenuto di poter superare, costituendo a loro avviso la registrazione delle conversazioni corpo di reato.
8. Come evidenziato dall’ordinanza di rimessione, si è verificato un consapevole contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità in punto di utilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in un procedimento diverso allorché la stessa comunicazione o conversazione costituisca corpo di reato. Tale contrasto nelle sue componenti fondamentali può essere riassunto nei termini seguenti.
8.1. Secondo l’indirizzo maggioritario, alla nozione di corpo di reato ex art. 253 cod. proc. pen. deve essere attribuita anche una implicazione immateriale, sicché le “conversazioni”, vale a dire i segni espressivi di comunicazioni tra soggetti, possono costituire corpo di reato, allorché la stessa espressione linguistica impiegata sia lesiva di un precetto penale e, imprimendosi, contestualmente alla commissione, sul supporto magnetico registrante, lo rende corpo di reato (Sez. 6, n. 8670 del 07/05/1993, Olivieri, Rv. 195535; Sez. 6, n. 14345 del 27/03/2001, Cugnetto, Rv. 218784; Sez. 6 n. 15729 del 21/02/2003, Di Canosa, Rv. 225610; Sez. 6, n. 5141 del 18/12/2007, dep. 2008, Cincavalli, Rv. 238728; Sez. 6, n. 13166 del 29/11/2011, dep. 2012, Alessio, Rv. 252578; Sez. 6, n. 32957 del 17/07/2012, Salierno, Rv. 253037).
8.2. Secondo l’orientamento minoritario, in tema di intercettazioni la conversazione non può mai costituire di per sé corpo del reato, poiché altrimenti si finisce con il confondere il risultato dell’intercettazione con la cosa materiale (nastro, disco o filmato) che documenta il fatto costituente reato, in quanto mezzo o prodotto della condotta criminosa, nonché la stessa condotta criminosa con l’attività esterna della sua documentazione (Sez. 6, n. 33187 del 05/04/2001, Ruggiero, Rv. 220273; Sez. 5 n. 10166 del 25/01/2011, Fiori, Rv. 249952).
Per questo indirizzo l’intercettazione costituisce corpo del reato solo nella marginale ipotesi in cui è la stessa registrazione ad integrare la condotta delittuosa, quale ad esempio la indebita ripresa di notizie ed immagini della vita privata svolgentisi nei luoghi indicati nell’art. 614 cod. pen., sanzionata dall’art. 615-bis cod. pen. (sentenza cit. n. 10166 del 2011).
9. Appare, quindi, evidente che la soluzione del contrasto rende necessario definire la nozione di corpo del reato e, in particolare, accertare se a detta nozione possa essere data una accezione più ampia di quella legata all’esistenza di un’essenza materiale connessa alla commissione del reato, in quanto tale tangibile ed apprensibile a fini processuali.
9.1. L’art. 253, comma 2, cod. proc. pen. definisce corpo del reato, di cui deve essere disposto il sequestro ai sensi del comma 1, “le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo”.
La reiterata utilizzazione del termine “cosa” nella norma induce a ritenere che il legislatore abbia voluto attribuire al corpo del reato una accezione strettamente materiale, il che dovrebbe escludere dal concetto di corpo di reato tutto ciò che è immateriale.
9.2. Eppure, già nei successivi articoli 254 e 254-bis cod. proc. pen., in tema rispettivamente di sequestro di corrispondenza e sequestro di dati informatici, telematici e di telecomunicazioni, si coglie come, in relazione a determinate forme di comunicazione, ciò che al legislatore preme acquisire sia il contenuto della corrispondenza, del dato informatico, telematico e della telecomunicazione, anche se l’intervento ablativo si materializza sul contenitore (la lettera di carta o il supporto informatico).
L’oggetto del sequestro viene così a connaturarsi di profili di immaterialità, identificandosi, ai fini del provvedimento ablativo, il contenuto della comunicazione o del dato informatico, rilevante per il processo, con il supporto materiale che lo contiene o lo ha registrato.
L’identificazione del supporto materiale che contenga elementi di natura dichiarativa costituenti illecito penale con il suo contenuto immateriale trova poi un espresso riconoscimento nell’art. 235 cod. proc. pen., che individua una categoria indefinita di “documenti costituenti corpo del reato”, così stabilendo: “I documenti che costituiscono corpo del reato devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga”.
Peraltro, risulta del tutto pacifico sia in giurisprudenza (Sez. 5, n. 45291 del 23/06/2005, Vettese, Rv. 232719; Sez. 5, n. 25881 del 07/05/2004, Amonti, Rv. 229486; Sez. 1, n. 37160 del 07/07/2004, Boccuni, Rv. 229790; Sez. 6, n. 43193 del 30/09/2004, Floridia, Rv. 230501; Sez. 5, n. 5061 del 14/11/1997, Paolini, Rv. 210110) che in dottrina, in relazione a determinati reati, nei quali la condotta criminosa assume carattere dichiarativo (falsità ideologica; falsa testimonianza e falsità analoghe; calunnia; simulazione di reato ed altri), che il supporto cartaceo o la registrazione che contiene l’elemento dichiarativo che integra una delle fattispecie criminose citate costituisce corpo di reato, in quanto tale soggetto al disposto di cui all’art. 235 cod. proc. pen..
Si deve, pertanto, affermare che la registrazione o trascrizione del dato dichiarativo o comunicativo, che integra la fattispecie criminosa, costituisce corpo del reato, che, in quanto tale, deve essere acquisito agli atti del procedimento, ai sensi dell’art. 431, comma 1 lett. h), cod. proc. pen., ed utilizzato come prova nel processo penale.
10. La identificazione della registrazione o dell’elemento documentale che ne costituisce trascrizione con il corpo del reato, allorché la stessa comunicazione o conversazione integra la fattispecie criminosa, è, peraltro, espressamente prevista proprio nella materia delle intercettazioni disciplinate dagli art. 266 e ss. cod. proc. pen..
10.1. Stabilisce, infatti, l’art. 271, comma 3, cod. proc. pen.: “In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato”.
È lo stesso legislatore, pertanto, ad ipotizzare che la documentazione delle intercettazioni, in considerazione del loro contenuto comunicativo o dichiarativo, costituisca corpo del reato; in quanto tale sottratto all’obbligo di distruzione ed acquisibile agli atti del procedimento ai sensi del citato disposto di cui all’art. 431 cod. proc. pen..
10.2. Né, peraltro, è ipotizzabile che la disposizione intenda riferirsi alla fattispecie criminosa dell’interferenza illecita nella vita privata altrui, sanzionata dall’art. 615-bis cod. pen., considerato, da un lato, la collocazione della norma nella disciplina delle intercettazioni disposte dal’autorità giudiziaria e, dall’altro, l’espresso riferimento ai divieti di utilizzazione stabiliti dai primi due commi dell’art. 271 cod. proc. pen. che riguardano detta disciplina.
È appena il caso di rilevare che i divieti di utilizzazione ed il concetto di inutilizzabilità appaiono identificativi dell’uso processuale del mezzo di prova, sicché devono essere riferiti al dato probatorio, che è disciplinato dagli art. 187 e ss. cod. proc. pen., e non al corpo del reato (cfr. Corte cost., sent. n. 366 del 1991).
11. Deve tuttavia essere precisato che la comunicazione o conversazione oggetto di registrazione costituisce corpo del reato, unitamente al supporto che la contiene, solo allorché essa stessa integri ed esaurisca la fattispecie criminosa, mentre deve essere escluso che sia tale una comunicazione o conversazione che si riferisca a una condotta criminosa o che ne integri un frammento, venendo portata a compimento la commissione del reato mediante ulteriori condotte rispetto alle quali l’elemento comunicativo assuma carattere meramente descrittivo.
Sul punto va ricordato che le pronunce, facenti parte del cosiddetto indirizzo maggioritario, si sono prevalentemente occupate di fattispecie in cui l’attività criminosa si concretava ed esauriva nella comunicazione o conversazione oggetto di intercettazione, quali ipotesi di favoreggiamento, in cui l’aiuto ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche risultava commesso mediante comunicazione telefonica (vedi le citate Sez. 6, n. 5141 del 2008, Cincavalli; Sez. 6, n. 32957 del 2012, Salierno; Sez. 6 n. 8670 del 1993, Olivieri); di rivelazione di segreto di ufficio consumatasi nel corso di una telefonata (Sez. 6, n. 14345 del 2001, Cugnetto. cit.). È stato, invece, escluso che l’intercettazione costituisca corpo di reato allorché la conversazione rappresenti solo un frammento della condotta criminosa (Sez. 6, n. 25128 del 24/05/2005, Tortu, Rv. 232255).
12. Conclusivamente deve essere affermato il seguente principio di diritto: “In tema di intercettazioni, la conversazione o comunicazione intercettata, costituisce corpo del reato allorché essa integra di per sé la fattispecie criminosa, e, in quanto tale, è utilizzabile nel processo penale”.
13. Peraltro, la inutilizzabilità delle intercettazioni in ambito processuale non ne esclude la funzione di notizia di reato, come tale utilizzabile dalla pubblica accusa per l’espletamento delle necessarie indagini volte all’acquisizione di elementi di prova sulla cui base potrà successivamente esercitare l’azione penale (cfr. Corte cost., sent. n. 366 del 1991, che ha valorizzato sul punto il potere del p.m. e della polizia giudiziaria di acquisire notizie di reato di propria iniziativa ai sensi dell’art. 330 cod. proc. pen., nonché l’obbligo di acquisire notizie di reato, anche al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni, conferito al pubblico ministero dall’art. 70 Ord. Giud.).
14. Tornando all’esame del ricorso, risulta evidente che il contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazione utilizzate dai giudici di merito abbiano carattere meramente descrittivo della condotta criminosa, secondo l’ipotesi accusatoria ascritta al S., o documentino l’attività istigativa attribuita al F. , che di per sé non esaurisce le fattispecie criminose ascritte agli imputati.
Ne consegue che i contenuti comunicativi oggetto di intercettazione e registrazione non costituiscono, nel caso in esame, corpo del reato e sono soggetti ai limiti di utilizzabilità stabiliti dall’art. 270 cod. proc. pen.
15. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte Militare di appello che terrà conto degli enunciati principi di diritto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezio della Corte militare di appello.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
S.U.P.
sentenza 23 luglio 2014, n. 32697
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 3 maggio 2012 la Corte Militare di appello ha confermato la sentenza del 30 marzo 2011 del Tribunale Militare di Verona, con la quale F.E. e S.D. erano stati dichiarati colpevoli del reato di distruzione e deterioramento di cose militari, di cui agli art. 40, 110 cod. pen. e 169 cod. pen. mil. pace, aggravato ai sensi dell’art. 47 stesso codice.
In particolare, secondo la contestazione, gli imputati, quali militari in servizio presso l’Aliquota Radiomobile del Comando Compagnia Carabinieri di (…), comandati in servizio di perlustrazione a bordo dell’autovettura Alfa Romeo 156, targata (…), avevano mandato intenzionalmente il motore “fuori giri”, portato l’autovettura alla velocità di circa 100 km/h e innestato per due volte la prima marcia, provocando la rottura del cambio e del differenziale e, quindi, il deterioramento o la distruzione, in parte, di cosa mobile appartenente alla Amministrazione militare. Venivano, perciò, condannati, con la contestata aggravante, alla pena ritenuta di giustizia con i benefici della sospensione condizionale della stessa e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
In punto di fatto gli imputati, comandati il giorno (omissis) del turno di servizio di perlustrazione ore 6-12, avevano riconsegnato l’autovettura dopo circa un’ora perché in avaria.
2. Il Tribunale Militare aveva fondato l’affermazione di colpevolezza sulle risultanze:
– della registrazione digitale sonora di quanto avvenuto nell’autovettura utilizzata quel giorno dagli imputati, tratta da un dispositivo per intercettazione ambientale installato nella predetta auto nell’ambito di indagini per reato comune a carico di militari della Aliquota Radiomobile del Comando Compagnia Carabinieri di appartenenza, acquisita nel corso del dibattimento perché ritenuta nella sua interezza corpo di reato e utilizzabile;
– della inchiesta amministrativa effettuata dall’ufficiale inquirente, Ten. Col. G.A., escusso come teste in dibattimento, coadiuvato, per la parte tecnica, dal Col. C.V., capo sezione motorizzazione del Comando Interregionale Carabinieri di (…), in ordine ai danni riportati dall’autovettura e alla loro compatibilità con un “fuori giri”, realizzato effettuando manovre di innesto forzato di marce basse a velocità non compatibile con tali rapporti di trasmissione;
– delle dichiarazioni del teste ing. Ca.Gi. , consulente di parte dei due imputati nella inchiesta amministrativa, in ordine alla non incompatibilità del “fuori giri” con lo stato del motore, riscontrato al momento della riconsegna dell’autovettura da parte degli imputati, e alla esclusa dipendenza del danno da mancanza o inidoneità dell’olio nel motore ovvero da cattiva manutenzione;
– della capacità e della esperienza nella guida veloce del S., che conduceva l’autovettura, unitamente alla assenza di qualsiasi operazione di inseguimento; elementi che, considerato l’inserimento per due volte di marce basse ad alto regime di giri, inducevano ad escludere l’involontarietà del comportamento;
– del tenore delle frasi pronunciate dal F. e delle risate dei due, fondanti l’inquadramento del comportamento di detto imputato nello schema legale della compartecipazione morale.
3. La Corte Militare di appello rigettava i motivi di gravame, con i quali gli imputati, con distinti atti di impugnazione, avevano eccepito la inutilizzabilità dell’intercettazione ambientale eseguita all’interno dell’auto; dedotto, nel merito, che l’avaria della stessa non era riconducibile ad un comportamento volontario posto in essere dagli appellanti; e chiesto, in subordine, un più mite trattamento sanzionatorio.
3.1. La sentenza affrontava anzitutto la questione della utilizzabilità della registrazione sonora eseguita all’interno dell’autovettura per ordine dell’Autorità giudiziaria ordinaria, disposta per reati diversi da quello ascritto agli imputati.
La Corte Militare di appello, richiamando i principi di diritto fissati dalla prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione, di recente con sentenza Sez. 6, n. 5141 del 2008, e l’intervento della Corte Costituzionale con sentenza n. 366 del 1991, affermava che, in tema di intercettazioni telefoniche o ambientali da utilizzare in altri procedimenti, qualora la comunicazione intercettata costituisca essa stessa una condotta delittuosa, la sua acquisizione deve essere inquadrata nelle norme che regolano l’uso processuale del corpo di reato e non trovano, pertanto, applicazione le limitazioni probatorie previste dall’ari:. 270 cod. proc. pen.
I giudici di merito non ritenevano, invece, condivisibile l’orientamento minoritario espresso con la sentenza Sez. 6, n. 33187 del 5 aprile 2001 e ribadito con successiva pronuncia Sez. 5, n. 10166 del 25 gennaio 2011, secondo il quale anche in tale ipotesi dovevano trovare applicazioni i limiti di utilizzabilità stabiliti dal citato art. 270.
3.2. Nel merito, la sentenza rimarcava che la conversazione intercettata copriva tutta la vicenda penalmente rilevante e costituiva prova della condotta posta in essere volontariamente dagli imputati, in concorso, cui doveva essere attribuita con certezza la causa del danno. Veniva infine esclusa la sussistenza di elementi che giustificassero il riconoscimento delle attenuanti generiche, della speciale tenuità del danno e la modificazione in termini più favorevoli del trattamento sanzionatorio.
4. Avverso la sentenza di appello hanno proposto distinti ricorsi per cassazione personalmente il F. e, tramite il difensore avv. Mario Conestabo, il S.
Entrambi i ricorrenti denunciano, come unico motivo di ricorso, di contenuto sostanzialmente analogo, la violazione degli art. 266, 270 e 271 cod. proc. pen. in ordine alla ritenuta utilizzabilità della intercettazione ambientale posta a fondamento dell’affermazione di responsabilità.
Si osserva che l’indirizzo interpretativo seguito dalla sentenza impugnata contrasta con il più recente orientamento della Corte di cassazione, espresso dalla sentenza Sez. 5, n. 10166 del 25 gennaio 2011, pure citata dalla pronuncia per disattenderne l’insegnamento, che si palesa rispettoso del diritto alla privacy garantito dall’art. 15 Cost. e dalla normativa Europea. Si sottolinea che la richiamata sentenza della Cassazione, che più di recente si è interessata della questione, ha escluso la utilizzabilità delle intercettazioni anche quando la stessa comunicazione integra una condotta criminosa. In ogni caso l’esistenza di un contrasto interpretativo in materia avrebbe reso opportuna la rimessione della questione all’esame delle Sezioni Unite.
Con il ricorso proposto nell’interesse del S. si contesta anche che la registrazione della intercettazione ambientale possa essere considerata corpo del reato, e da parte di entrambi i ricorrenti si sostiene che l’intercettazione ambientale costituisce in effetti l’unica prova dell’elemento oggettivo del reato di danneggiamento e, in particolare, della responsabilità del F.
5. La Prima Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza del 30 ottobre 2013, lo ha rimesso alle Sezioni unite ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen..
5.1. Nell’ordinanza si osserva che la questione di diritto dedotta dai ricorrenti attiene alla utilizzabilità delle intercettazioni in procedimento diverso da quello nel quale erano state disposte in assenza delle condizioni richieste dall’art. 270 cod. proc. pen. e alla inquadrabilità della conversazione intercettata, costituente condotta delittuosa, nelle norme che regolano l’uso processuale del corpo del reato.
Si sottolinea, poi, che, secondo la tesi dei ricorrenti, detta questione ha carattere dirimente ai fini della affermazione di colpevolezza, costituendo l’intercettazione ambientale l’unica prova che ha legato ciascuno di essi al fatto contestato nel capo di imputazione.
5.2. Osserva ancora la Sezione rimettente che sussiste un contrasto interpretativo, peraltro consapevole, nella giurisprudenza della Corte di cassazione in ordine alla utilizzabilità delle intercettazioni nell’ambito di un processo diverso da quello per il quale erano state disposte relativamente a reato per il quale sarebbe preclusa la possibilità di utilizzazione ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen..
Secondo l’ordinanza, un orientamento che viene definito maggioritario ha affermato, sia pure con riferimento a fattispecie diverse, il principio di diritto secondo il quale, in tema di intercettazioni telefoniche da utilizzare in altri procedimenti, le limitazioni probatorie di cui all’art. 270 cod. proc. pen. non valgono allorché la comunicazione intercettata costituisce essa stessa condotta delittuosa, che, imprimendosi contestualmente alla commissione del fatto sul supporto magnetico registrante, lo rende corpo del reato, in quanto tale utilizzabile quale fonte di prova nel giudizio (Sez. 6, n. 8670 del 07/05/1993, Olivieri, Rv. 195535; Sez. 6, n. 14355 del 27/03/2001, Cugnetto, Rv. 218784; Sez. 6, n. 15729 del 21/02/2003, Di Canosa, Rv. 225610; Sez. 6, n. 25128 del 24/05/2005, Tortu, Rv. 232255; Sez. 6, n. 5141 del 18/12/2007, dep. 2008, Cincavalli, Rv. 238728; Sez. 6, n. 13166 del 29/11/2011, dep. 2012, Alessio, Rv. 252578; Sez. 6, n. 32957 del 17/07/2012, Salierno, Rv. 253037).
Secondo l’opposto indirizzo interpretativo, affermato solo da due sentenze (Sez. 6, n. 33187 del 05/04/2001, Ruggiero, Rv. 220273; Sez. 5, n. 10166 del 25/01/2011, Fiori, Rv. 249952), quando le registrazioni non rappresentano una conversazione su circostanze relative al fatto-reato per il quale siano state disposte, ma una comunicazione che integra essa stessa condotta criminosa, la loro acquisizione è soggetta alle disposizioni stabilite dall’art. 270 cod. proc. pen. e non va inquadrata nelle norme che regolano l’uso processuale del corpo di reato.
5.3. Un ulteriore contrasto o quanto meno un elemento di incertezza viene rilevato dall’ordinanza nel primo indirizzo interpretativo, che ha riguardato solo intercettazioni telefoniche, in ordine alla stessa identificazione del corpo di reato, individuato da alcune sentenze nella “bobina delle intercettazioni” (Rv. 195535) ovvero “la registrazione delle comunicazioni” (Rv. 218784; Rv. 238728; Rv. 253037) o “il supporto magnetico registrante” (Rv. 225610) o come elemento immateriale costituito da “la comunicazione intercettata” (Rv. 232255) o “le conversazioni intese come segni espressivi di comunicazione tra soggetti” (Rv. 252578).
5.4. Altro motivo di contrasto interno, sempre nel primo indirizzo interpretativo, è stato ravvisato dalla Sezione rimettente con riferimento alla ipotesi in cui la comunicazione intercettata rappresenti solo un frammento della condotta criminosa, nel qual caso troverebbero applicazione le limitazioni probatorie stabilite dall’art. 270 cod. proc. pen. (Rv 232255).
6. Il Primo Presidente, con decreto in data 31 marzo 2014, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna pubblica udienza.
7. Con memoria depositata il 9 giugno 2014 la Procura Generale Militare della Repubblica presso la Corte Suprema di cassazione ha osservato che, se si pervenisse alla conclusione della inutilizzabilità del contenuto dell’intercettazione ambientale, residuerebbe in ogni caso, quale prova della condotta del S., la possibilità di utilizzare la registrazione del rumore del “fuori giri” del motore, la cui captazione, trattandosi di un sonoro non comunicativo, si sottrae ai limiti fissati dagli art. 266 e ss. cod. proc. pen.
Nel prosieguo della memoria si svolgono argomentazioni a sostegno dell’interpretazione secondo la quale le limitazioni di cui all’art. 270 cod. proc. pen. non operano allorché la conversazione intercettata costituisca essa stessa reato, sicché la corrispondente registrazione deve definirsi corpo del reato ed è soggetta alle norme processuali che ne regolano l’uso.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono fondati per le ragioni e nei limiti di seguito precisati.
2. La questione sottoposta dalla Sezione rimettente all’esame delle Sezioni Unite è la seguente: “Se, in tema di intercettazioni, la conversazione o comunicazione intercettata, costituente di per sé condotta criminosa, possa essere qualificata corpo del reato e sia come tale utilizzabile”.
3. È appena il caso di rilevare preliminarmente che ai sensi dell’art. 261 del cod. pen. mil. pace, salvo che la legge disponga diversamente, le disposizioni del codice di procedura penale si osservano anche per i procedimenti davanti ai tribunali militari.
4. È stato precisato dall’ordinanza di rimessione che la questione di diritto sollevata dai ricorrenti concerne, in via principale, la utilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimenti diversi da quelli per il quale sono state disposte, al di fuori dei casi in cui detta utilizzazione sarebbe consentita ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen. (intercettazioni indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza); in secondo luogo la ricorrenza, nel caso in esame, delle condizioni per ritenere l’intercettazione utilizzabile in quanto corpo del reato.
5. Come è noto, la Corte Costituzionale si è più volte occupata, sotto vari profili, della questione della legittimità costituzionale delle intercettazioni di comunicazioni nel quadro del necessario bilanciamento di due distinti interessi: “quello inerente alla libertà ed alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’art. 2 Cost., e quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale” (sent. n. 34 del 1973).
Le varie pronunce che si sono succedute nel tempo hanno sempre confermato la legittimità della normativa in materia di intercettazioni, prima con riferimento all’art. 226, ultimo comma, dell’abrogato cod. proc. pen., come modificato dalla legge n. 517 del 1955 (sent. n. 34 del 1973), e successivamente con riferimento agli art. 266 e ss. del codice vigente, che peraltro risultano in linea di sostanziale continuità rispetto alle disposizioni del codice abrogato (sentenze n. 366 del 1991; n. 63 del 1994), osservando, da un lato, che detta normativa costituisce un corretto punto di equilibrio tra i valori costituzionali sopra enunciati, anche con riferimento all’utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi, ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen., e, dall’altro, valorizzando il diretto controllo dell’autorità giudiziaria sull’esecuzione delle intercettazioni, nonché le garanzie del contraddittorio, di cui agli art. 268, commi, 6, 7 e 8, cod. proc. pen. con riferimento all’ipotesi di utilizzazione delle risultanze delle intercettazioni in procedimento diverso.
In materia il Giudice delle leggi si è limitato a prescrivere la rigorosa applicazione delle disposizioni vigenti da parte dell’autorità giudiziaria, mediante la congrua motivazione dei provvedimenti emessi ed il controllo dell’attività di intercettazione.
6. I profili di rilevanza costituzionale della disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni inducono ad esaminare per prima la questione sollevata dalla Procura Generale Militare relativamente ai limiti delle garanzie di ordine costituzionale che promanano dagli art. 14 e 15 Cost. in materia di diritto alla riservatezza.
Orbene, l’art. 15 Cost. si riferisce espressamente alla inviolabilità della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, mentre ogni ulteriore tutela della privacy è garantita dall’art. 14 Cost. con riferimento alle condotte che si svolgano in luoghi di privata dimora.
Sicché la garanzia costituzionale non può essere estesa a registrazioni o videoregistrazioni di contenuto non comunicativo che vengano effettuate al di fuori dei luoghi garantiti dall’art. 14 Cost.
A queste ultime non è dunque applicabile la disciplina delle intercettazioni di cui agli art. 266 e ss. cod. proc. pen..
6.1. Tale principio di diritto è stato reiteratamente affermato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, sia pure ai fini della esclusione della sussistenza del reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all’art. 615-bis cod. pen. (Sez. 5, n. 35947 del 04/06/2001, Rosina, Rv. 220206; Sez. 6, n. 6962 del 10/01/2003, Cherif Ahmed, Rv. 223733; Sez. 5, n. 44156 del 21/10/2008, Gottardi, Rv. 241745), o con specifico riferimento alla utilizzabilità di videoregistrazioni di condotte non aventi contenuto comunicativo (Sez. 6, n. 1707 del 10/11/2011, dep. 2012, Trapani, Rv. 251563) effettuate al di fuori dei luoghi da qualificarsi come privata dimora.
6.2. È stato altresì reiteratamente affermato che l’abitacolo di un’autovettura non può essere considerato luogo di privata dimora (Sez. 1, n. 1904 del 22/01/1996, Porcaro, Rv. 203799; Sez. 6, n. 2845 del 01/12/2003, dep. 2004, Cavataio, Rv. 228420; Sez. 1, n. 2613 del 20/12/2004, dep. 2005, Bolognino, Rv. 230533; Sez. 1, n. 47180 del 01/12/2005, Sarcone, Rv. 233991; Sez. 1, n. 32581 del 06/05/2008, Sapone, Rv. 241229; Sez. 1, n. 13979 del 24/02/2009, Morabito, Rv. 243556; Sez. 5, n. 8365 del 18/01/2013, Girasole, Rv. 254657), dovendosi intendere tale il luogo adibito allo svolgimento di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente senza il pericolo di interferenze da parte di estranei.
Si palesa evidente che l’abitacolo di una autovettura, che peraltro nel caso in esame apparteneva alla pubblica amministrazione, per la sua struttura e conformazione, non può normalmente assolvere a detta funzione.
6.3. Deve, pertanto, escludersi che la registrazione del rumore del motore dell’autovettura in uso agli imputati fosse soggetta alla disciplina delle intercettazioni di cui agli art. 266 e ss. cod. proc. pen.
Ne consegue che detta registrazione risulta utilizzabile, quale mezzo di prova atipico ex art. 189 cod. proc. pen., non diversamente dalla utilizzabilità di strumenti di registrazione delle modalità di uso del veicolo o del suo motore previsti per determinate categorie di automezzi (ad. es. cronotachigrafo).
6.4. La soluzione della questione di diritto esaminata nei sensi prospettati dalla Procura Generale Militare non appare, però, dirimente ai fini della decisione dei ricorsi, stante la particolare valorizzazione da parte dei giudici di merito del contenuto comunicativo delle intercettazioni utilizzate ai fini dell’affermazione di colpevolezza degli imputati.
7. Tornando alla questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite deve essere preliminarmente escluso che la intercettazione e registrazione delle conversazioni tra gli imputati sia stata effettuata nell’ambito dello stesso procedimento penale.
7.1. È noto che la, prevalente e più recente,giurisprudenza di legittimità ha ancorato la nozione di procedimento diverso ad un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali, quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato, in quanto considera decisiva, ai fini della individuazione della identità dei procedimenti, l’esistenza di una connessione tra il contenuto della originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009, Pavigliariti, Rv. 246524; Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, Filippi, Rv. 254285; Sez. 2, n. 43434 del 05/07/2013, Bianco, Rv. 257834; Sez. 2, n. 3253 del 10/10/2013, dep. 2014, Costa, Rv. 258591).
7.2. Nel caso in esame la diversità del procedimento per il quale sono state disposte le intercettazioni ambientali (un’indagine dell’autorità giudiziaria ordinaria nei confronti di appartenenti all’Arma dei Carabinieri di Trieste per reati comuni in danno di utenti della strada) e l’assenza di qualsiasi connessione sostanziale tra detti reati e quelli di distruzione e deterioramento di cose appartenenti all’Amministrazione militare per i quali si è proceduto nei confronti degli imputati ha costituito un dato pacifico per i giudici di merito sulla base di una valutazione che, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati, non poteva pervenire a conclusioni diverse.
7.3. Operano, pertanto, i limiti alla utilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni effettuate in diverso procedimento, stabiliti dall’art. 270 cod. proc. pen., che i giudici di merito hanno ritenuto di poter superare, costituendo a loro avviso la registrazione delle conversazioni corpo di reato.
8. Come evidenziato dall’ordinanza di rimessione, si è verificato un consapevole contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità in punto di utilizzabilità delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in un procedimento diverso allorché la stessa comunicazione o conversazione costituisca corpo di reato. Tale contrasto nelle sue componenti fondamentali può essere riassunto nei termini seguenti.
8.1. Secondo l’indirizzo maggioritario, alla nozione di corpo di reato ex art. 253 cod. proc. pen. deve essere attribuita anche una implicazione immateriale, sicché le “conversazioni”, vale a dire i segni espressivi di comunicazioni tra soggetti, possono costituire corpo di reato, allorché la stessa espressione linguistica impiegata sia lesiva di un precetto penale e, imprimendosi, contestualmente alla commissione, sul supporto magnetico registrante, lo rende corpo di reato (Sez. 6, n. 8670 del 07/05/1993, Olivieri, Rv. 195535; Sez. 6, n. 14345 del 27/03/2001, Cugnetto, Rv. 218784; Sez. 6 n. 15729 del 21/02/2003, Di Canosa, Rv. 225610; Sez. 6, n. 5141 del 18/12/2007, dep. 2008, Cincavalli, Rv. 238728; Sez. 6, n. 13166 del 29/11/2011, dep. 2012, Alessio, Rv. 252578; Sez. 6, n. 32957 del 17/07/2012, Salierno, Rv. 253037).
8.2. Secondo l’orientamento minoritario, in tema di intercettazioni la conversazione non può mai costituire di per sé corpo del reato, poiché altrimenti si finisce con il confondere il risultato dell’intercettazione con la cosa materiale (nastro, disco o filmato) che documenta il fatto costituente reato, in quanto mezzo o prodotto della condotta criminosa, nonché la stessa condotta criminosa con l’attività esterna della sua documentazione (Sez. 6, n. 33187 del 05/04/2001, Ruggiero, Rv. 220273; Sez. 5 n. 10166 del 25/01/2011, Fiori, Rv. 249952).
Per questo indirizzo l’intercettazione costituisce corpo del reato solo nella marginale ipotesi in cui è la stessa registrazione ad integrare la condotta delittuosa, quale ad esempio la indebita ripresa di notizie ed immagini della vita privata svolgentisi nei luoghi indicati nell’art. 614 cod. pen., sanzionata dall’art. 615-bis cod. pen. (sentenza cit. n. 10166 del 2011).
9. Appare, quindi, evidente che la soluzione del contrasto rende necessario definire la nozione di corpo del reato e, in particolare, accertare se a detta nozione possa essere data una accezione più ampia di quella legata all’esistenza di un’essenza materiale connessa alla commissione del reato, in quanto tale tangibile ed apprensibile a fini processuali.
9.1. L’art. 253, comma 2, cod. proc. pen. definisce corpo del reato, di cui deve essere disposto il sequestro ai sensi del comma 1, “le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo”.
La reiterata utilizzazione del termine “cosa” nella norma induce a ritenere che il legislatore abbia voluto attribuire al corpo del reato una accezione strettamente materiale, il che dovrebbe escludere dal concetto di corpo di reato tutto ciò che è immateriale.
9.2. Eppure, già nei successivi articoli 254 e 254-bis cod. proc. pen., in tema rispettivamente di sequestro di corrispondenza e sequestro di dati informatici, telematici e di telecomunicazioni, si coglie come, in relazione a determinate forme di comunicazione, ciò che al legislatore preme acquisire sia il contenuto della corrispondenza, del dato informatico, telematico e della telecomunicazione, anche se l’intervento ablativo si materializza sul contenitore (la lettera di carta o il supporto informatico).
L’oggetto del sequestro viene così a connaturarsi di profili di immaterialità, identificandosi, ai fini del provvedimento ablativo, il contenuto della comunicazione o del dato informatico, rilevante per il processo, con il supporto materiale che lo contiene o lo ha registrato.
L’identificazione del supporto materiale che contenga elementi di natura dichiarativa costituenti illecito penale con il suo contenuto immateriale trova poi un espresso riconoscimento nell’art. 235 cod. proc. pen., che individua una categoria indefinita di “documenti costituenti corpo del reato”, così stabilendo: “I documenti che costituiscono corpo del reato devono essere acquisiti qualunque sia la persona che li abbia formati o li detenga”.
Peraltro, risulta del tutto pacifico sia in giurisprudenza (Sez. 5, n. 45291 del 23/06/2005, Vettese, Rv. 232719; Sez. 5, n. 25881 del 07/05/2004, Amonti, Rv. 229486; Sez. 1, n. 37160 del 07/07/2004, Boccuni, Rv. 229790; Sez. 6, n. 43193 del 30/09/2004, Floridia, Rv. 230501; Sez. 5, n. 5061 del 14/11/1997, Paolini, Rv. 210110) che in dottrina, in relazione a determinati reati, nei quali la condotta criminosa assume carattere dichiarativo (falsità ideologica; falsa testimonianza e falsità analoghe; calunnia; simulazione di reato ed altri), che il supporto cartaceo o la registrazione che contiene l’elemento dichiarativo che integra una delle fattispecie criminose citate costituisce corpo di reato, in quanto tale soggetto al disposto di cui all’art. 235 cod. proc. pen..
Si deve, pertanto, affermare che la registrazione o trascrizione del dato dichiarativo o comunicativo, che integra la fattispecie criminosa, costituisce corpo del reato, che, in quanto tale, deve essere acquisito agli atti del procedimento, ai sensi dell’art. 431, comma 1 lett. h), cod. proc. pen., ed utilizzato come prova nel processo penale.
10. La identificazione della registrazione o dell’elemento documentale che ne costituisce trascrizione con il corpo del reato, allorché la stessa comunicazione o conversazione integra la fattispecie criminosa, è, peraltro, espressamente prevista proprio nella materia delle intercettazioni disciplinate dagli art. 266 e ss. cod. proc. pen..
10.1. Stabilisce, infatti, l’art. 271, comma 3, cod. proc. pen.: “In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato”.
È lo stesso legislatore, pertanto, ad ipotizzare che la documentazione delle intercettazioni, in considerazione del loro contenuto comunicativo o dichiarativo, costituisca corpo del reato; in quanto tale sottratto all’obbligo di distruzione ed acquisibile agli atti del procedimento ai sensi del citato disposto di cui all’art. 431 cod. proc. pen..
10.2. Né, peraltro, è ipotizzabile che la disposizione intenda riferirsi alla fattispecie criminosa dell’interferenza illecita nella vita privata altrui, sanzionata dall’art. 615-bis cod. pen., considerato, da un lato, la collocazione della norma nella disciplina delle intercettazioni disposte dal’autorità giudiziaria e, dall’altro, l’espresso riferimento ai divieti di utilizzazione stabiliti dai primi due commi dell’art. 271 cod. proc. pen. che riguardano detta disciplina.
È appena il caso di rilevare che i divieti di utilizzazione ed il concetto di inutilizzabilità appaiono identificativi dell’uso processuale del mezzo di prova, sicché devono essere riferiti al dato probatorio, che è disciplinato dagli art. 187 e ss. cod. proc. pen., e non al corpo del reato (cfr. Corte cost., sent. n. 366 del 1991).
11. Deve tuttavia essere precisato che la comunicazione o conversazione oggetto di registrazione costituisce corpo del reato, unitamente al supporto che la contiene, solo allorché essa stessa integri ed esaurisca la fattispecie criminosa, mentre deve essere escluso che sia tale una comunicazione o conversazione che si riferisca a una condotta criminosa o che ne integri un frammento, venendo portata a compimento la commissione del reato mediante ulteriori condotte rispetto alle quali l’elemento comunicativo assuma carattere meramente descrittivo.
Sul punto va ricordato che le pronunce, facenti parte del cosiddetto indirizzo maggioritario, si sono prevalentemente occupate di fattispecie in cui l’attività criminosa si concretava ed esauriva nella comunicazione o conversazione oggetto di intercettazione, quali ipotesi di favoreggiamento, in cui l’aiuto ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche risultava commesso mediante comunicazione telefonica (vedi le citate Sez. 6, n. 5141 del 2008, Cincavalli; Sez. 6, n. 32957 del 2012, Salierno; Sez. 6 n. 8670 del 1993, Olivieri); di rivelazione di segreto di ufficio consumatasi nel corso di una telefonata (Sez. 6, n. 14345 del 2001, Cugnetto. cit.). È stato, invece, escluso che l’intercettazione costituisca corpo di reato allorché la conversazione rappresenti solo un frammento della condotta criminosa (Sez. 6, n. 25128 del 24/05/2005, Tortu, Rv. 232255).
12. Conclusivamente deve essere affermato il seguente principio di diritto: “In tema di intercettazioni, la conversazione o comunicazione intercettata, costituisce corpo del reato allorché essa integra di per sé la fattispecie criminosa, e, in quanto tale, è utilizzabile nel processo penale”.
13. Peraltro, la inutilizzabilità delle intercettazioni in ambito processuale non ne esclude la funzione di notizia di reato, come tale utilizzabile dalla pubblica accusa per l’espletamento delle necessarie indagini volte all’acquisizione di elementi di prova sulla cui base potrà successivamente esercitare l’azione penale (cfr. Corte cost., sent. n. 366 del 1991, che ha valorizzato sul punto il potere del p.m. e della polizia giudiziaria di acquisire notizie di reato di propria iniziativa ai sensi dell’art. 330 cod. proc. pen., nonché l’obbligo di acquisire notizie di reato, anche al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni, conferito al pubblico ministero dall’art. 70 Ord. Giud.).
14. Tornando all’esame del ricorso, risulta evidente che il contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazione utilizzate dai giudici di merito abbiano carattere meramente descrittivo della condotta criminosa, secondo l’ipotesi accusatoria ascritta al S., o documentino l’attività istigativa attribuita al F. , che di per sé non esaurisce le fattispecie criminose ascritte agli imputati.
Ne consegue che i contenuti comunicativi oggetto di intercettazione e registrazione non costituiscono, nel caso in esame, corpo del reato e sono soggetti ai limiti di utilizzabilità stabiliti dall’art. 270 cod. proc. pen.
15. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte Militare di appello che terrà conto degli enunciati principi di diritto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezio della Corte militare di appello.