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Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli articoli 101, 102, 156 e 161 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3) e 4), per mancata integrazione del contraddittorio del giudizio di appello nei confronti di (OMISSIS), litisconsorte necessaria, quale erede testamentaria di (OMISSIS), e gia’ parte del processo di primo grado.
Il motivo e’ infondato, non sussistendo un’ipotesi di cause inscindibili ex articolo 331 c.p.c..
Si osserva infatti che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, in caso di successione “mortis causa” di piu’ eredi nel lato passivo del rapporto obbligatorio si determina un frazionamento “pro quota” dell’originario debito del “de cuius” fra gli aventi causa, con la conseguenza che – al pari di quanto si verifica nelle obbligazioni solidali – il rapporto che ne deriva non e’ unico ed inscindibile e non si determina, nell’ipotesi di giudizio instaurato per il pagamento, litisconsorzio necessario tra gli eredi del debitore defunto, ne’ in primo grado, ne’ nelle fasi di gravame, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause(Cass. 785/1998; 4199/2016).
Il secondo motivo denuncia la violazione degli articoli 1967 e 2697 c.c., dell’articolo 116 c.p.c. e del Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 68, nonche’ l’omesso esame di un fatto decisivo ex articolo 360 c.p.c., n. 5).
In particolare la ricorrente, contestata l’applicabilita’ del Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 68, in assenza di prova scritta di un accordo transattivo intervenuto tra le parti, deduce che nel caso di specie, a differenza di quanto affermato nell’impugnata sentenza, non poteva ritenersi raggiunta neppure la prova di una rinuncia concordata dei giudizi riuniti.
Il motivo non ha pregio.
Avuto riguardo alla censura relativa alla nozione di accordo transattivo di cui al Regio Decreto n. 1578 del 1933, articolo 68, si osserva che secondo il piu’ recente indirizzo di questa Corte, cui il collegio ritiene di dare continuita’, infatti, il R.Decreto Legge 27 dicembre 1933, n. 1578, articolo 68, modificato dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36, stabilendo che tutte le parti, le quali abbiano transatto una vertenza giudiziaria, sono tenute solidalmente al pagamento degli onorari degli avvocati, e’ operante – in ragione della latitudine della formula normativa e della sua finalita’, diretta ad evitare intese tra le parti indirizzate ad eludere il giusto compenso ed il rimborso delle spese ai loro difensori – anche nel caso di “accordo” (che assume, nei riguardi del professionista, la valenza di un presupposto di fatto ai fini, appunto, dell’ottenimento degli onorari e delle spese), stipulato con o senza l’intervento del giudice o l’ausilio dei patroni, dalle parti stesse, le quali abbiano previsto semplicemente l’abbandono della causa dal ruolo o rinunciato ritualmente agli atti del giudizio, come nel caso specie, con conseguente estinzione del processo (Cass. 13135/2006; 13047/2009).
Del pari infondate le censure con cui la ricorrente contesta la sussistenza del presupposto di applicazione del R.Decreto Legge 27 dicembre 1933, n. 1578, articolo 68, lamentando l’errata applicazione dei principi in materia di valutazione della prova ed in particolare degli articoli 2697 e dell’articolo 115 c.p.c..
Premesso che la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c. e’ configurabile soltanto nell’ipotesi in il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma (Cass. 15107/2013), ipotesi non sussistente nel caso di specie, va dichiarata l’inammissibilita’ del motivo, in quanto esso si risolve, di fatto, nella richiesta di una rivalutazione, nel merito, dei fatti e delle risultanze istruttorie gia’ oggetto del sindacato del giudice di appello, incompatibile con il giudizio di legittimita’ e denuncia una insufficiente motivazione, non piu’ censurabile alla luce del nuovo disposto dell’articolo 360 codice di rito, comma 1, n. 5) (Cass. Ss.Uu. n. 8053/2014), lamentando, in buona sostanza, che la Corte territoriale non abbia valutato in modo adeguato le risultanze dell’istruttoria espletata.
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