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Sulla scorta di quanto innanzi esposto e dell’orientamento delle S.U., occorre pertanto verificare – venendo al caso di specie – se la mancanza di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (riscontrata con la gravata decisione e posta a base della pronuncia di improponibilita’) abbia formato oggetto di precedente deduzione nel giudizio di merito.
Al riguardo deve, innanzitutto, evidenziarsi che – con mancata sufficiente allegazione – parte ricorrente non specifica dove e quando, nel corso dei giudizi di merito, ha svolto adeguatamente questione sulla natura della attivita’ di impresa svolta e sulla sua diretta incidenza al fine dei frazionamento delle azioni e dei giudizi in dipendenza di un suo effettivo apposito interesse.
Tale aspetto e’ di certo rilevante, in relazione alla ritenuta infondatezza del ricorso, specie in considerazione della linea difensiva adottata dalla societa’ convenuta, da subito e principalmente, improntata sulla improponibilita’ della avversa domanda per abusivo frazionamento dei credito, concetto che, come e’ evidente, presuppone logicamente proprio la contestazione dell’esistenza di un interesse meritevole di tutela a tale modalita’ di esercizio del diritto di azione,anche in relazione al principio di proporzionalita’ nell’uso della giurisdizione (Cass. civ., Sent. 21 dicembre 2016 n. 26464).
E sul tema dell’interesse concreto alla proposizione di separati giudizi – fondamentale per la soluzione della questione di diritto che la Corte deve oggi risolvere – il ricorrente si e’ limitato ad un generico richiamo al rischio di prescrizione, non allegando alcun concreto elemento a sostegno della sua affermazione (decorrenza del termine e sua scadenza), ne’ deducendo l’esistenza di elementi di fatto idonei a diversificare le prestazioni di volta in volta eseguite e tali da giustificare una trattazione separata delle sue pretese creditorie.
Di conseguenza, il fugace accenno al rischio prescrizione si rivela privo di consistenza ai fini che qui interessano, anche perche’ sarebbe stato sufficiente l’invio di un mero atto di costituzione in mora per interrompere il decorso del termine (articolo 2943 c.c., u.c.).
Le considerazioni fin qui esposte si pongono in rapporto di coerenza, senza alcuna soluzione di continuita’, con la sentenza n. 18810 del 26/09/2016 Sez. 6-2, tra le stesse parti, peraltro emessa prima dell’anzidetto intervento chiarificatore delle sezioni unite, e resa in fattispecie in cui, anche alla luce della assenza di attivita’ difensiva della controparte, occorreva chiarire il necessario vincolo di unitarieta’ intrinseca del rapporto controverso, non emergendo ancora l’entita’ della complessiva vicenda giudiziaria viceversa da ultimo emersa.
Al riguardo non appare inutile sottolineare come parte controricorrente abbia avuto modo di chiarire espressamente “l’unitarieta’ della prestazione, la continuita’ del rapporto professionale (con attribuzione dal solo 2001 al (OMISSIS) di 7.500 incarichi con importo liquidato, a saldo, di circa 500miia euro), e l’abuso degli strumenti processuali (oltre 1400 giudizi ed oltre seicento procedure esecutive)”, tutte svolte dai medesimi legali indicati nominativamente in controricorso e memoria.
Anche alla luce di tali emergenze l’esaminato e ricorrente vincolo di unitarieta’ non poteva che impedire l’esposto rilevante fenomeno di frazionamento del credito posto in esser senza alcun pur dovuto “limite all’agire processuale” (Cass civ., SS.UU., Sent. 10 agosto 2014, n. 14374) ed in assenza di concreto interesse al frazionamento dei giudizi.
Per di piu’ ancora, nella fattispecie in esame – invero del tutto particolare – appare del tutto incongruo il richiamo effettuato, da ultimo, in ricorso al dictum di Cass. n.ri 10634/2010, 10488/2011 e 9488/2014 ovvero alla “rimediabilita’ degli effetti distorsivi della parcellizzazione giudiziale del credito” attraverso il semplice ricorso alla mera condanna alle spese in luogo della improponibilita’ della domanda.
Tale rimedio, prospettato dal ricorrente, non puo’ essere adottato per l’esposta e dirimente mancanza di un comprovato interesse specifico alla trattazione separata delle pretese creditorie, nonche’ per la sintomaticita’ della controversia.
Deve, al riguardo, rilevarsi, come – in fattispecie invero non usuali come quella oggi in esame – sia elemento fortemente rivelatore di abuso del diritto e, quindi, di improponibilita’ il “mancato accorpamento delle richieste di compensi per un loro esame globale e complessivo” (Cass. n. 14374, cit.) e l’utilizzazione di plurimi atti per ottenere distinti titoli giudiziali con indebita frazionabilita’ delle azioni (Cass. civ., SS.UU., 17 gennaio 2007, n. 961), condotte – tali ultime due – che le Sezioni Unite di questa Corte hanno, con le citate decisioni, sanzionato sotto il profilo deontologico forense indirettamente confermando l’improponibilita’ di un siffatto modo di agire in giudizio.
4.- Il ricorso, stante – per le esposte ragioni – la sua infondatezza, va pertanto rigettato.
5.- L e spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, si determinano cosi’ come da dispositivo.
6.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, stesso articolo 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della parte contro ricorrente delle spese dei giudizio, determinate in Euro 845,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis
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