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4. – Il terzo motivo e’ infondato, nessuna delle argomentazioni in esso profuse cogliendo nel segno.
La corte del merito, dopo avere ravvisato il fatto pregiudizievole nella condotta sopra descritta, ha aggiunto che il nesso causale e’ provato sia dall’esistenza di presumibile liquidita’ di cassa dell’associazione – posto che sono stati dimostrati incassi 2001-2006 per Euro 1.554.913 e spese per Euro 1.106.205 – sia dal consistente patrimonio immobiliare della legale rappresentante (OMISSIS), sul quale la societa’ creditrice avrebbe comunque potuto soddisfarsi ex articolo 38 c.c.; inoltre, lo statuto della societa’, della quale sono amministratori i quattro soci, attribuisce, in caso di parita’, la prevalenza al voto del presidente, cio’ palesando come pure il dissenso dei (OMISSIS) sarebbe rimasto irrilevante al fine di intraprendere le azioni di recupero, mentre sono provate, altresi’, le difficolta’ frapposte all’accesso ai documenti contabili ed al loro esame da parte di commercialista di fiducia.
Le allegate concordi decisioni – concedere la palestra in uso all’associazione, approvare i progetti di bilancio (come amministratori) ed i bilanci (come soci) dal 2001 al 2005 e non recedere anticipatamente dal contratto di concessione in gestione della palestra – costituiscono, invero, tutti fatti estranei all’affermata responsabilita’ per inadempimento omissivo, ravvisato proprio nel mancato recupero dei canoni, invece sostituito dalla semplice proposta, nel progetto di bilancio dell’esercizio 2006, della conseguente svalutazione contabile del credito: onde, per tale parte, il motivo si palesa addirittura inammissibile, non cogliendo la ratio decidendi dell’impugnata decisione.
Non coglie, del pari, nel segno il motivo, laddove lamenta la mancata imputazione a tutti i soci-amministratori dell’inerzia della societa’ e la non adeguata considerazione dell’insussistenza di un dissenso formalizzato alla stregua dell’articolo 2476 c.c., comma 1: la corte del merito ha ben chiarito come, in punto di fatto, i soci (OMISSIS) fossero stati non adeguatamente informati sulla contabilita’ sociale e che la clausola statutaria li avrebbe, in ipotesi di voto dissenziente in consiglio, visti comunque soccombenti nelle deliberazioni da assumere, in ragione della previsione – dunque, dalla corte del merito perfettamente esaminata – della prevalenza del voto del presidente in caso di “parita’ dei voti”.
A fronte di tali compiuti accertamenti in fatto, non sindacabili in questa sede, non giova poi ne’ addurre la violazione dell’articolo 26 st. la quale non integra violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, essendo la societa’ soggetto privato, onde il suo atto costitutivo e l’allegato statuto non sono norme di diritto, invocabili dal ricorrente per cassazione sul paradigma del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto – ne’ ipotizzare che il consiglio di amministrazione potesse essere in concreto da altri presieduto (circostanza destituita di qualsiasi concretezza fattuale, dato che si tratta dei consigli di amministrazione nella realta’ svoltisi: e dei quali non viene mai neppure dedotta la presidenza ad opera di soggetti diversi da (OMISSIS)), ne’, infine, invocare l’astratta responsabilita’ solidale di tutti i componenti dell’organo gestorio.
Sotto quest’ultimo profilo, l’articolo 2476 c.c., postula bensi’ la responsabilita’ solidale di tutti gli amministratori per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, escludendo la responsabilita’ di chi, esente da colpa ed a cognizione che l’atto si stava per compiere, abbia fatto constare del proprio dissenso.
Peraltro, la regola della responsabilita’ solidale e, se si vuole, presunta come paritaria in capo a tutti i componenti dell’organo gestorio cede a fronte della prova della concreta insussistenza o ininfluenza della condotta di taluno nella causazione del danno.
Questa Corte ha gia’ chiarito (da ultimo, Cass. 9 novembre 2015, n. 22848) come non si da’ imputazione per responsabilita’ oggettiva in capo agli amministratori di societa’, posto che, in particolare, gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la responsabilita’ solidale degli amministratori non esecutivi sono, sotto il profilo oggettivo, la condotta d’inerzia, il fatto pregiudizievole antidoveroso altrui ed il nesso causale tra i medesimi, e, sotto il profilo soggettivo, almeno la colpa, i cui caratteri risultano dal nuovo articolo 2392 c.c.. La norma, invero, stabilisce che la colpa puo’ consistere o nell’inadeguata conoscenza del fatto di altri, il quale in concreto abbia cagionato il danno, o nel non essersi il soggetto con diligenza utilmente attivato al fine di evitare l’evento, aspetti entrambi ricompresi nel concetto di essere “immuni da colpa”, cui all’articolo 2392 c.c., comma 3.
Quando il fatto dannoso sia stato compiuto da un altro amministratore, la colpa concorrente dell’amministratore che non lo abbia direttamente posto in essere – fattispecie omissiva colposa puo’ dunque consistere: a) nella colposa ignoranza del fatto altrui, per non avere adeguatamente rilevato i “segnali d’allarme” dell’altrui illecita condotta, percepibili con la diligenza della carica; b) nell’inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta.
I principi ora richiamati, enunciati con riguardo agli amministratori non esecutivi di societa’ azionaria, possono essere ora estesi all’amministrazione della societa’ a responsabilita’ limitata.
L’articolo 2476 c.c., pone, invero, la responsabilita’ solidale in capo agli amministratori, con formula piu’ sintetica rispetto all’articolo 2392 c.c..
Nonostante alcune differenze letterali (il mancato riferimento alla delega gestoria ed alla circolazione dei flussi informativi all’interno del consiglio; la menzione di atti pregiudizievoli ancora da compiere e non degli atti pregressi), identico e’, tuttavia, il contenuto normativo: si da’ unicamente responsabilita’ colpevole, mai oggettiva, dovendo essa pur sempre essere ancorata almeno all’elemento soggettivo della colpa; alla “cognizione” del fatto altrui va equiparata la conoscibilita’; la mera annotazione del “dissenso” non e’ sufficiente, non trattandosi di esenzione formale, ma di sostanziale assenza di colpa, posto che non al mero procedimento di rituale verbalizzazione del dissenso in occasione del consiglio di amministrazione deliberante l’atto dannoso e’ ancorato l’esonero da responsabilita’, ma all’effettiva mancanza di qualsiasi colpa, sotto i due profili sopra menzionati.
Come nelle ordinarie fattispecie di responsabilita’ solidale civilistica, pertanto, anche nell’ambito del diritto commerciale, secondo la disciplina positiva appena ricordata, la regola della responsabilita’ solidale gestoria non esclude affatto che, sebbene in astratto tutti gli amministratori siano responsabili del danno cagionato alla societa’, in concreto la responsabilita’ residui solo a carico di uno o taluno di essi; e che, cosi’ come nell’illecito civile (cfr. Cass. 7 novembre 2013, n. 25058; 25 gennaio 2012, n. 1028; 20 giugno 2008, n. 16810; 21 settembre 2007, n. 19492; 29 aprile 2006, n. 10042; 6 giugno 2003, n. 9103; 20 gennaio 1995, n. 620), la graduazione interna delle responsabilita’ si operi in relazione all’apporto effettivo di ciascuno alla causazione dell’evento, anche sino ad escluderne interamente quella di alcuno (in tal senso, v. gia’, con riguardo al testo ante riforma del 2003 ed alla rilevanza in sede di regresso della graduazione delle colpe, Cass. 27 aprile 2011, n. 9384; 11 novembre 2010, n. 22911; sez. un., 30 settembre 2009, n. 20933).
La corte del merito ha fatto corretta applicazione di tali principi, avendo ravvisato l’omesso recupero del credito quale fatto dannoso di mala gestio, che fu deciso autonomamente, sul piano interno, dai due fratelli (OMISSIS) e che, sul piano esterno, era nella competenza propria del legale rappresentante della societa’ (OMISSIS): condotta omissiva dal medesimo posta in essere, dunque, in accordo con il fratello (OMISSIS) e nella ignoranza o in disaccordo, invece, con gli altri due soci ed amministratori; i quali, secondo la corte d’appello, neppure avrebbero potuto utilmente attivarsi, ove pure fossero stati presenti alle riunioni del consiglio di amministrazione nell’esercizio sociale in cui si consumo’ il fatto di inadempimento, sia in ragione del descritto meccanismo statutario di assunzione delle deliberazioni consiliari, sia per essere stati comunque essi tenuti sino all’ultimo all’oscuro della contabilita’ sociale. Onde ha concluso per l’imputazione esclusiva della condotta integrante la fattispecie sostanziale omissiva in capo ai predetti.
E costituisce principio consolidato quello che l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dei fatti, all’accertamento delle condotte pregiudizievoli, alla sussistenza della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalita’ tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, che restano sottratti al sindacato di legittimita’, ove informati ad esatti principi giuridici (fra le alter, Cass. 25 gennaio 2012, n. 1028; 23 febbraio 2006, n. 4009; 14 luglio 2003, n. 11007).
5. – Il quarto motivo e’ infondato.
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