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2. La Curatela dei Fallimenti della (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS) e di quest’ultimo in proprio nella indicata qualita’ ha concluso per la inammissibilita’ di entrambi i formulati motivi, o, in subordine, per il loro rigetto.
3. Solo la controricorrente ha depositato memoria ex articolo 380-bis c.p.c., comma 1.
4. Con i due motivi di ricorso, rubricati, rispettivamente, “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., articoli 44 e 78, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3” ed “Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5”, si censura l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui il mero transito delle somme sul conto corrente della societa’, per effetto dell’accredito ivi effettuato dall’Erario, avrebbe comportato, quale conseguenza, “che da tale momento l’importo e’ entrato nella disponibilita’ del destinatario, e quindi del fallimento”. Si assume, tra l’altro: che la corte territoriale aveva “del tutto omesso di valutare il rapporto giuridico che ha originato il pagamento revocato”; che la Banca non aveva effettuato alcun “pagamento” in favore della fallita, essendosi limitata a mettere a disposizione della cliente le somme a questa corrisposte dall’Amministrazione finanziaria, in relazione ad un rimborso IVA; che, come gia’ dedotto in sede di gravame, la Banca era rimasta estranea al rapporto tra l’Erario e la societa’ fallita, avendo dimostrato, attraverso la produzione degli estratti conto, che l’accensione del conto corrente era avvenuta per l’esclusivo compimento dell’unica operazione su di esso realizzata, cioe’ il versamento del rimborso predetto; che nessuna di queste circostanze era stata considerata dalla menzionata sentenza, posto che in quest’ultima era stato erroneamente ritenuto decisivo, ai fini dell’applicazione della L. Fall., articolo 44, il mero fatto che il prelievo fosse stato preceduto dall’accredito, da parte dell’Erario, sul conto corrente della societa’ fallita; che, quindi, la corte territoriale, benche’ implicitamente, aveva ritenuto che la semplice circostanza dell’accredito fosse incompatibile, vuoi con la delegazione di pagamento fatta alla Banca da parte del Ministero, vuoi con il mandato all’incasso conferito alla Banca dalla correntista poi fallita; che tale conclusione si poneva in evidente contrasto con la disciplina positiva, atteso che, in tema di contratti bancari, il “bonifico” (ossia l’incarico del terzo dato alla banca di accreditare al cliente correntista la somma oggetto della provvista) costituisce un ordine (delegazione) di pagamento che la banca delegata, se accetta, si impegna (verso il delegante) ad eseguire: non importa, infatti, che la somma sia stata dalla banca direttamente versata nelle mani della fallita, ovvero accreditata sul conto corrente dal quale quest’ultima l’ha prelevata, quel che rileva e’ che la Banca ha comunque mantenuto un ruolo di terzieta’ rispetto all’operazione; che la corresponsione al fallito di somma equivalente al credito da lui vantato nei confronti del proprio debitore non e’, invero, da porre in relazione ad un rapporto giuridicamente rilevante intercorso in via diretta fra la Banca ed il fallito, ma piu’ precisamente alla esecuzione di un contratto di mandato stipulato con la medesima Banca dal debitore di quest’ultimo, che legittimamente ha sostituito a se’ l’Istituto, ai sensi dell’articolo 1717 c.c., sicche’ delle eventuali negligenze, carenze ed omissioni – ove sussistenti – poste in essere nell’espletamento dell’incarico affidatole, la Banca puo’ certamente essere chiamata a rispondere secondo le regole del mandato (articolo 1856 c.c.), ma, trattandosi di responsabilita’ contrattuale, il solo soggetto legittimato a dedurle e’ l’altro contraente titolare del rapporto, vale a dire il mandante; che analoghi principi erano stati ribaditi dalla giurisprudenza di legittimita’ – seppure a contrario – anche nell’ipotesi di mandato conferito dal fallito alla Banca per l’incasso di una determinata somma; che, sotto altro profilo, nel giudizio d’appello la Banca aveva reiterato il rilievo secondo il quale, posto che il contratto di conto corrente si era risolto ipso iure, ai sensi della L. Fall., articolo 78, con la dichiarazione di fallimento, le annotazioni in questione – successivamente effettuate – sarebbero state, anche solo per questa ragione, prive di ogni rilevanza giuridica. A questo riguardo, le affermazioni contenute nella sentenza impugnata – “…d’altro canto, in relazione alla prospettata risoluzione ipso iure del contratto di conto corrente L. Fall., ex articolo 78, il tribunale ha correttamente motivato configurando l’ipotesi della negotiorum gestio, con la medesima conseguenza dell’inefficacia L. Fall., ex articolo 44, comma 2, del pagamento effettuato dalla Banca direttamente al fallito anziche’ alla curatela” – erano in palese violazione di legge e falsa applicazione della L. Fall., articoli 44 e 78.
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