Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 14 febbraio 2018, n. 965. L’Autorità prefettizia deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro indiziario nell’ambito del quale assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni

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L’Autorità prefettizia, dunque, deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro indiziario nell’ambito del quale assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell’imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali negli appalti delle pubbliche amministrazioni, essendo estranea al sistema delle informazioni antimafia – non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori – qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, poiché simile logica, propria del giudizio penale, vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informazione antimafia, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.

Proprio dal quadro ordinamentale richiamato da parte appellante emerge con chiarezza che – sia in sede amministrativa che in sede giurisdizionale – rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzatà di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri.

II – Orbene, nel caso che occupa, nei provvedimenti gravati – ritenuti sufficientemente motivati dal primo giudice – si evidenziava la contiguità tra la società colpita da interdittiva ed il fratello della legale rappresentante, che era “stato tratto in arresto unitamente ad altre persone, in data -OMISSIS-, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dall’Ufficio del giudice delle indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, “per avere, in qualità di partecipe, posto la propria impresa al servizio dell’associazione, assicurando lo svolgimento delle attività necessarie al gruppo mafioso per insinuarsi negli affari immobiliari di maggiore interesse, assicurando alla -OMISSIS-parte dei proventi ottenuti attraverso le attività svolte a seguito della imposizione a terzi””, pertanto, lo stesso risultava sottoposto a procedimento penale per “partecipazione ad associazione per delinquere di tipo mafioso.”

Quanto alla società posta sotto sequestro penale, dall’informativa emergeva “l’esistenza di legami affettivi”, che, pertanto, in quanto tali risultavano idonei a supportare l’indizio di una regia familiare dell’impresa. Tale elemento, peraltro, è considerato particolarmente rilevante in ragione della struttura a base familistica delle associazioni mafiose e delle frequentazioni e dei rapporti con soggetti malavitosi disvelanti una vicinanza alle cosche.

III – Svolte siffatte precisazioni di carattere generale, l’appello proposto si rileva infondato limitandosi a dare una diversa lettura dei fatti, che tuttavia non risultano smentiti, neppure ad esito del procedimento penale favorevole all’appellante.

Infondato risulta, anzitutto, il rilievo in ordine all’irrilevanza della partecipazione societaria in contestazione.

Invero, nella fattispecie, l’autorità amministrativa ha, nella realtà, valutato sinergicamente la constatazione dei legami di affari tra tali soggetti legati da rapporti parentali; la cessione (recesso) immediatamente dopo l’avvenuta conoscenza dell’avvio del procedimento penale (l’informativa è stata emessa il -OMISSIS-; l’esclusione di -OMISSIS- dalla società è avvenuta il -OMISSIS-) e non immediatamente dopo il coinvolgimento dello stesso nell’operazione giudiziaria (l’arresto è avvenuto il -OMISSIS-); il fatto che – difformemente da quanto affermato da parte appellante – da dichiarazione sostitutiva di certificazione, a firma di -OMISSIS- -OMISSIS-, legale rappresentante della società d’interesse, risultava che, alla data del -OMISSIS-, -OMISSIS- era convivente con la sorella -OMISSIS-, dove ha la sede legale la società -OMISSIS-. della quale lo stesso era legale rappresentante.

L’insieme di queste circostanze legittima la deduzione prefettizia di una sorta di continuità dei rapporti societari che, da un lato, smentisce il rilievo della mancanza di rilevanza penale e di elementi probatori idonei a condurre ad una condanna e, dall’altro, proprio per il tramite delle concrete modalità dell’operata cessione (“recesso”), consente di confermarne la valenza potenzialmente condizionante (dando luogo ad un intreccio parentale tipico della criminalità organizzata calabrese, come confermato dal giudice di prime cure) (cfr. in terminis, Cons. St., sez. III, 19 ottobre 2015, n. 4792).

IV – Infondata è anche la censura riferita all’esito del procedimento penale; la mancata condanna penale non fa venir meno il pericolo del condizionamento mafioso che è posto alla base del provvedimento impugnato e che proprio sull’esistenza di tali rapporti di affari trova fondamento. Nè in tale contesto possono assumere rilievo la cessazione del sequestro dei beni o il venir meno dell’interdittiva per altro coimputato, né altresì la mancata attivazione del procedimento penale nei confronti della attuale rappresentante legale (dato questo che è affermato da parte appellante e non ha conferma in atti).

Come evidenziato nella memoria dell’Avvocatura, nel giudizio di primo grado era prodotta la nota del -OMISSIS-con la quale la Divisione anticrimine della Questura di Vibo Valentia, in risposta a specifica sollecitazione della Prefettura conseguente all’ordinanza di riesame pronunciata dal Tribunale di prime cure, esplicitava in maniera molto puntuale le ragioni per le quali nonostante l’assoluzione in sede penale, gli esiti delle indagini avevano comunque fatto emergere un quadro indiziante che evidenziava la vicinanza di -OMISSIS- -OMISSIS- alla -OMISSIS-egemone nella provincia, riportando nel dettaglio il contenuto di numerose intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva il rapporto di sudditanza tra -OMISSIS- -OMISSIS- e la famiglia mafiosa dei “-OMISSIS- di -OMISSIS-” ed in particolare con l’articolazione facente capo a -OMISSIS- -OMISSIS-.

Quanto dedotto da parte appellante, dunque, non ha alcun rilievo sul pericolo di condizionamento nell’ambito dell’evidenziata lettura sinergica del quadro fattuale posto a fondamento dei provvedimenti impugnati, tesi per l’appunto a prevenire l’infiltrazione criminale.

Vale ricordare, per completezza, che la Sezione ha avuto modo di precisare, peraltro, che “Anche soggetti semplicemente conniventi con la mafia (dovendosi intendere con tale termine ogni similare organizzazione criminale “comunque localmente denominata”), per quanto non concorrenti, nemmeno esterni, con siffatta forma di criminalità, e persino imprenditori soggiogati dalla sua forza intimidatoria e vittime di estorsioni sono passibili di informativa antimafia. Infatti, la mafia, per condurre le sue lucrose attività economiche nel mondo delle pubbliche commesse, non si vale solo di soggetti organici o affiliati ad essa, ma anche e sempre più spesso di soggetti compiacenti, cooperanti, collaboranti, nelle più varie forme e qualifiche societarie, sia attivamente, per interesse, economico, politico o amministrativo, che passivamente, per omertà o, non ultimo, per il timore della sopravvivenza propria e della propria impresa. Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, tipizzate dal legislatore, comprendono dunque una serie di elementi del più vario genere e, spesso, anche di segno opposto, frutto e cristallizzazione normativa di una lunga e vasta esperienza in questa materia, situazioni che spaziano dalla condanna, anche non definitiva, per taluni delitti da considerare sicuri indicatori della presenza mafiosa (art. 84, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 159 del 2011), alla mancata denuncia di delitti di concussione e di estorsione, da parte dell’imprenditore, dalle condanne per reati strumentali alle organizzazioni criminali (art. 91, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011), alla sussistenza di vicende organizzative, gestionali o anche solo operative che, per le loro modalità, evidenzino l’intento elusivo della legislazione antimafia. Esistono poi, come insegna l’esperienza applicativa della legislazione in materia e la vasta giurisprudenza formatasi sul punto nel corso di oltre venti anni, numerose altre situazioni, non tipizzate dal legislatore, che sono altrettante ‘spiè dell’infiltrazione (nella duplice forma del condizionamento o del favoreggiamento dell’impresa). Gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento. Quello voluto dal legislatore, ben consapevole di questo, è dunque un cata aperto di situazioni sintomatiche del condizionamento mafioso” (Consiglio di Stato Sez. III del 9 maggio 2016 n. 1846).

V – Per quanto concerne la valenza temporale, deve precisarsi che il primo provvedimento interdittivo risultava perfettamente efficacie al momento dell’assunzione del provvedimento di revoca da parte dell’amministrazione. Di seguito la situazione è stata sottoposta a nuovo vaglio, come già rilevato.

Ne discende che l’appello deve essere respinto.

VI – Le spese del presente grado di giudizi seguono la soccombenza; pertanto, la Società appellante è condannata al pagamento a favore delle amministrazioni resistenti della somma complessiva di euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la CALABRIA – Sede di CATANZARO: SEZIONE I -OMISSIS-.

Condanna la Società appellante al pagamento a favore delle amministrazioni resistenti della somma complessiva di euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i soggetti menzionati interessati da procedimenti penali.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani – Presidente

Umberto Realfonzo – Consigliere

Giulio Veltri – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore

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