Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 18 maggio 2015, n. 2509
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 515 del 2011, proposto da:
Bo.Fe. e Ca.Fr., rappresentati e difesi dall’avvocato Ad.To., con domicilio eletto presso Fe.Ma. in Roma, via (…);
contro
Ministero per i beni e le attività culturali in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello stato, domiciliataria in Roma, via (…);
Comune di Corsano;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
Bi.Ni., rappresentato e difeso dall’avvocato To.Mi., con domicilio eletto presso Le.M. Mi. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n. 1375/2010, resa tra le parti, concernente autorizzazione paesaggistica.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata e l’intervento di Bi.Ni.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2015 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti l’avvocato To. ed altri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I signori Fe.Bo. e Fr.Ca. chiedono la riforma della sentenza in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo della Puglia ha respinto il ricorso proposto avverso il decreto 9 ottobre 2009 della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto, recante annullamento del nulla osta paesaggistico per la sanatoria, richiesta il 3 marzo 1995 ai sensi della legge n. 724 del 1994, di un manufatto realizzato nel 1989 senza assenso edilizio.
Con il provvedimento impugnato in primo grado la Soprintendenza ha annullato il nulla osta rilasciato dal Comune di Corsano, perché in violazione dell’art. 51 lett. f) della legge regionale della Puglia 31 maggio 1980 n. 56, che prevede il divieto di edificazione assoluta entro la fascia di 300 metri dal mare.
Il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso, ritenendo infondata la censura di violazione delle garanzie partecipative, e sulla considerazione che al momento della presentazione della domanda di concessione in sanatoria vigeva il divieto assoluto di qualsiasi opera di edificazione entro la fascia di 300 metri dal confine del demanio marittimo, o dal ciglio più elevato dal mare, posto dall’art. 51 lett. f) della suddetta legge regionale, divieto che costituisce un vincolo assoluto di in edificabilità e che quindi comporta l’applicazione dell’art. 33 della legge 28 febbraio 1985 n. 47.
La sentenza merita conferma.
Infondata è, innanzitutto, la censura relativa alla violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, obbligo che non deve essere inteso in senso formalistico, ma risponde all’esigenza di apportate l’apporto collaborativo da parte dell’interessato. E’ evidente che, come ha rilevato il Tar, tale obbligo viene meno (e si risolve in un aggravio procedimentale) qualora nessuna effettiva influenza potrebbe avere la partecipazione del privato rispetto alla portata non discrezionale del provvedimento finale, come del resto prevede l’art. 21 octies comma 2 della legge n. 241 del 1990.
Quanto al merito della controversia, è stato anche recentemente puntualizzato da questo Consiglio di Stato (per tutte, sez. VI, 4 maggio 2015, n. 2215), che alla Soprintendenza spetta una compiuta valutazione di legittimità in ordine ai provvedimenti favorevoli in materia paesaggistica rilasciati dai Comuni, in quanto espressione di un potere non di mero controllo formale, ma di vera e propria attiva cogestione del vincolo, funzionale all’“estrema difesa” dello stesso; di conseguenza, l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica può derivare dal riscontro di qualsiasi vizio di legittimità.
Nella fattispecie in esame, come ha rilevato il provvedimento impugnato in primo grado, il manufatto oggetto dell’istanza di sanatoria è collocato nella fascia dei trecento metri dal mare, fascia nella quale la legge regionale della Puglia 31 maggio 1980, n. 56 vieta, all’art. 51 lett. f) salvo quant’altro disposto da leggi statali e regionali….sino all’ entrata in vigore dei piani territoriali…qualsiasi opera di edificazione.
La possibilità di sanare l’opera abusiva è, quindi, esclusa in radice, dato che, come questo Consiglio di Stato ha già affermato (sez. VI, 13 giugno 2012, n. 3497), la norma regionale introduce un divieto assoluto, ancorché temporaneo, di edificazione entro la fascia costiera, al quale si aggancia con immediatezza la misura sanzionatoria prevista dal legislatore statale, e cioè l’impossibilità di sanatoria dell’abuso, senza eccezioni, limiti o condizionamenti, anche in applicazione dell’art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
Il divieto imposto dalla norma regionale, operante sia all’epoca della realizzazione del manufatto, sia alla data in cui è stata presentata l’istanza di condono, è stato del resto confermato dal piano territoriale comunale, approvato con la deliberazione della giunta regionale n. 1748 del 15 dicembre 2000, e quindi era in vigore, in assenza di pianificazione di dettaglio, anche all’epoca del provvedimento impugnato in primo grado.
Tali considerazioni rendono già evidente l’infondatezza dell’appello; ad esse, ad abundantiam, va aggiunto che l’area in cui ricade l’abuso è sottoposta a tutela ai sensi della parte III del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, mediante il decreto ministeriale 14 novembre 1974, che ne riconosce il notevole interesse pubblico, sicché anche sotto questo profilo il provvedimento favorevole del Comune, che non ha valutato l’impatto dell’abuso sui valori espressi dal vincolo, risulta validamente annullato dalla Soprintendenza, competente a indagarne la legittimità sotto tutti gli aspetti, compreso la completezza della motivazione.
III) L’appello deve, in conclusione, essere respinto, senza che assuma rilevanza l’incombente istruttorio disposto con la sentenza non definitiva di questa sezione 27 agosto 2014, n. 4336, le cui risultanze, comunque, avvalorano le conclusioni già raggiunte.
Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna gli appellanti, in solido, a rifondere al’Amministrazione resistente le spese del giudizio, nella misura di 3.500 (tremilacinquecento) euro.
Compensa le spese nei confronti dell’interveniente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Sergio De Felice – Consigliere
Claudio Contessa – Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere
Roberta Vigotti – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria il 18 maggio 2015.
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