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Di qui difetto di istruttorie e di motivazione della sentenza impugnata.
__ 2.§.3. Entrambi i profili sono privi di pregio giuridico.
Come è noto, la c.d. interdittiva prefettizia antimafia, di cui agli artt. 91 e ss., del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”, costituisce una misura preventiva volta ad impedire i rapporti contrattuali con la P.A. di società, formalmente estranee ma, direttamente o indirettamente, comunque collegate con la criminalità organizzata.
L’interdittiva antimafia del Prefetto esclude cioè che un imprenditore possa essere titolare di rapporti, specie contrattuali, con le pubbliche Amministrazioni (Consiglio di Stato sez. III 9 maggio 2016 n. 1846).
L’introduzione delle misure di prevenzione, come quella qui in esame, è stata la risposta cardine dell’Ordinamento per attuare un contrasto all’inquinamento dell’economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata.
Da molto tempo infatti le consorterie di tipo mafioso hanno esportato fuori dai tradizionali territori di origine l’uso intimidatorio della violenza, ed hanno creato vere e proprie holding.
Si tratta di quelle aree opache notoriamente definite come il “mondo di mezzo”, nel quale i proventi delle estorsioni e del narcotraffico vengono reinvestiti sia in imprese formalmente estranee (perché intestate a prestanome “puliti”) e sia da una miriade di società collegate da vincoli di vario tipo con l’organizzazione criminale.
Il legislatore, allontanandosi dal modello della repressione penale, ha infatti impostato l’interdittiva antimafia come strumento di interdizione e di controllo sociale, al fine di contrastare le forme più subdole di aggressione all’ordine pubblico economico, alla libera concorrenza ed al buon andamento della pubblica Amministrazione. Il carattere preventivo del provvedimento, prescinde quindi dall’accertamento di singole responsabilità penali, essendo il potere esercitato dal Prefetto espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata (cfr. Cfr. Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2015 n. 455 Consiglio di Stato sez. III 23 febbraio 2015 n. 898).
Per questo deve essere respinta l’idea che l’informativa debba avere un profilo probatorio di livello penalistico e debba essere agganciata a eventi concreti ed a responsabilità addebitabili.
Sul piano procedimentale, si osserva che non è assolutamente necessaria la presenza di nuovi fatti.
I diversi certificati antimafia sono infatti rilasciati, a domanda delle amministrazioni aggiudicatrici, in base a singole autonome valutazioni, sulla complessiva situazione dell’impresa, che viene rinnovata, di volta in volta, anche alla luce dell’importanza e del rilievo economico delle commesse che essa vorrebbe assumere. Perciò non possono avere rilievo giuridico eventuali precedenti favorevoli dato che la legge impone al Prefetto di impedire che, in ogni caso, un imprenditore con contatti con la mafia possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni.
Le interdittive di avviso differente, che si succedono fisiologicamente nel tempo, non scaturiscono affatto da un procedimento di secondo grado: pertanto è del tutto inconferente il richiamo alla “revoca” del precedente provvedimento, di cui all’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990.
I singoli procedimenti, ancorché siano relativi ai medesimi soggetti, sono tra loro del tutto autonomi per cui qualora — in ragione dell’alta discrezionalità connessa con le funzioni di prevenzione– l’Autorità ritenga la sussistenza di elementi oggettivi e soggettivi sintomaticamente rivelatori di una possibile infiltrazione mafiosa, è inconferente che la nuova interdittiva sia basata su fatti storicamente pre-esistenti.
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