Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 12 luglio 2018, n. 4278.
La massima estrapolata:
L’interdittiva antimafia costituisce una misura preventiva, volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti con la Pubblica amministrazione, che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con l’Amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente.
Sentenza 12 luglio 2018, n. 4278
Data udienza 19 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9332 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Do. Ma. e Re. Le., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Es. in Roma, largo (…);
contro
Ufficio Territoriale del Governo Reggio Calabria e Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Calabria – Sez. Staccata di Reggio Calabria n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente informazione antimafia di contenuto interdittivo;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ufficio Territoriale del Governo Reggio Calabria e di Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 aprile 2018 il Cons. Giorgio Calderoni e uditi per le parti gli avvocati Do. Ma. e l’Avvocato dello Stato Ma. Vi. Lu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza n. -OMISSIS-, il T.A.R. Reggio Calabria ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla -OMISSIS-avverso il provvedimento prot. n. -OMISSIS-dell’11 agosto 2015, recante informazione antimafia di contenuto interdittivo emessa a suo carico dalla Prefettura di Reggio Calabria.
Dopo aver richiamato numerosi precedenti giurisprudenziali, tra cui in particolare la sentenza n. 1743/2016 di questa Sezione, il primo giudice ha, in sintesi, ritenuto che il quadro complessivo emergente dalla visione sinottica e contestuale degli elementi indicati dalla Prefettura “non può che portare alla prognosi negativa ritenuta dall’Autorità, secondo un giudizio di pericolosità ispirato al criterio della normalità causale integrato dal principio del rischio specifico”, avendo il Prefetto valorizzato:
– i fatti di penale rilevanza in cui è rimasto coinvolto l’amministratore unico, nonché socio al 95%, Sig. F.L.;
– i significativi legami parentali, non isolatamente considerati, bensì letti nella visione d’insieme;
– le frequentazioni plurime e diacronicamente collocate del medesimo con soggetti controindicati, come riportato nell’interdittiva e nelle informative a supporto;
– la stessa posizione dell’altro socio (e fratello) Sig. D.L., rispetto al quale sono elencati vari fatti di penale rilevanza, parentele con soggetti già attinti più o meno direttamente da misure interdittive nonché significative frequentazioni con soggetti controindicati;
– la scarsa rilevanza che possono avere, da una parte, la circostanza che taluni dei suddetti fatti addebitati non sostanzino “reati-spia” ex 4° comma lettera a) art. 84 Codice Antimafia; dall’altra, taluni singoli proscioglimenti pur ottenuti dai predetti soci;
– la vicinanza degli stessi soci a un contesto socio-familiare e il loro inserimento in un humus socio-culturale assolutamente caratterizzato, tale da condurre a quel giudizio di pericolosità circa il probabile “contagio” che la Prefettura ha ragionevolmente fatto proprio.
2. Appellando tale sentenza, la -OMISSIS-denuncia, mediante un unico e articolato motivo, sia
errores in iudicando (difetto di motivazione, travisamento dei fatti, omissione di pronuncia e violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato); sia error in procedendo (incompletezza dell’istruttoria).
2.1. Si sostiene, in primo luogo, che il Giudice di prime cure avrebbe “omesso (al pari del Prefetto di Reggio Calabria) qualsivoglia apprezzamento dei fatti posti a fondamento dell’emissione dell’Informativa avversata, avallando e legittimando un vero e proprio automatismo tra la mera coesistenza di precedenti penali dei soci, di legami di parentela con soggetti noti alle Forze di Polizia e di avvistamenti con soggetti controindicati e l’emissione dell’Informativa ad effetto interdittivo”: e ciò “senza alcun autonomo apprezzamento delle risultanze penali” e senza fornire “alcuna motivazione in relazione alle situazioni fattuali concrete dalle quali è dato desumere, anche in via presuntiva, il pericolo di collegamento tra l’impresa e la criminalità organizzata”.
2.2. In punto di fatto, l’appellante ribadisce che il socio F. L. ha riportato le seguenti condanne:
* sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti resa dal Tribunale di -OMISSIS-in data 12.3.1996, irrevocabile in data 6.5.1996, per il reato di rapina aggravata (reclusione anni 1, mesi 10, multa lire 2.000.000, pena sospesa);
* sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria del 22.11.2001, irrevocabile in data 3.2.2003, per i reati di danneggiamento seguito da incendio in concorso e cessione illecita di sostanze stupefacenti, in concorso (artt. 110, 424 c.p. e 73 del D.P.R. 309/1990; pena: reclusione anni 7, mesi 4, multa lire 60.000.000).
In relazione alle suddette condanne, si richiama nell’atto di appello l’Ordinanza n. -OMISSIS-resa dal Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria sull’istanza di riabilitazione proposta dal condannato.
2.3. In ordine, poi, ai procedimenti pendenti a carico di L.F., di uno (p.p. n. -OMISSIS-del Tribunale di -OMISSIS-), si sottolinea come abbia ad oggetto i reati di cui agli artt. 590 commi 1°, 2° e 3° del c.p., 29, 87, 2° comma e 71, 3° comma, della legge 81/2008 e come ai fatti addebitati il medesimo sarebbe estraneo; dell’altro (denunzia 16.1.2014 del Nucleo di Polizia Tributaria della G.d.F. di Reggio Calabria), l’interessato sarebbe all’oscuro.
2.4. Quanto al socio D.L., si rappresenta che:
– lo stesso ha riportato un’unica condanna con sentenza del Tribunale di -OMISSIS-del 2.3.2011, per il delitto di cui all’art. 2, commi 1 e 1 bis del D.L. 463/83 (pena: reclusione mesi 2 ed euro 200,00 di multa);
– il procedimento penale n. -OMISSIS-) per false dichiarazioni sulla identità personale o su qualità personali proprie o di altri e inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità è pendente innanzi al Tribunale di Reggio Calabria;
– in merito al procedimento penale n. -OMISSIS-R.G.N.R. della Procura della Repubblica di Catanzaro, alla data di emissione dell’avversata informativa il signor -OMISSIS-non era destinatario di una misura cautelare e/o di provvedimenti che dispongono il giudizio e/o di una condanna, anche non definitiva, per taluni dei delitti previsti dal 4° comma, lettere a), dell’art. 84, del Codice Antimafia;
– circa le ulteriori denunce, quella in data 21.10.2006, dai Carabinieri di -OMISSIS-per favoreggiamento, permanenza di clandestino o irregolare e violazione del T.U. sulla disciplina dell’immigrazione (artt. 110 c.p., 22, comma 12°, 12, comma 5° del D.lgs. 286/98), ha dato luogo ad un procedimento penale dal quale il signor D. L. è stato prosciolto perché il fatto non sussiste con sentenza del Tribunale di -OMISSIS-n. -OMISSIS-; e quella in data 11.7.2012 del Nucleo di Polizia Tributaria della G.d.F. di Reggio Calabria sarebbe, allo stato, del tutto ignota all’interessato;
– nella società appellante, il signor D.L. ha sempre ricoperto il ruolo di socio di capitali senza rivestire alcuna carica sociale, né incidere sulla gestione della società; lo stesso ha deciso di cedere, in data 14.9.2015, la partecipazione detenuta nella società, pari al 5% del capitale sociale, al socio di maggioranza F.L.
2.5. Infine, in relazione ai richiami ai precedenti giudiziari del padre dei due soci, signor P.L., si deduce che essi sono del tutto generici e che lo stesso è deceduto in data 18.1.2015.
In definitiva, difetterebbe, nella specie, il requisito dell’attualità degli elementi addotti dall’Amministrazione, necessario per poter configurare il tentativo di infiltrazione mafiosa.
2.6. Né a diversa conclusione si potrebbe pervenire quanto ai rapporti di parentela (o meglio di affinità) dei due soci con soggetti noti alle Forze di polizia, giacché non emergerebbero, dal provvedimento impugnato e dalla relativa istruttoria, situazioni fattuali concrete dalle quali desumere – anche in via presuntiva – il pericolo di collegamento tra l’impresa appellante e la criminalità organizzata per il tramite dei suddetti rapporti.
2.7. Parimenti, con riferimento alle “frequentazioni” asseritamente “non occasionali” dei due soci, non verrebbe riportato alcun recente e significativo episodio idoneo a comprovare l’esistenza di un duraturo rapporto di contiguità e fiducia con soggetti e operatori economici ritenuti gravitare nell’ambito di cosche mafiose: si tratterebbe di “avvistamenti asintomatici avvenuti per strada, di fronte a esercizi commerciali, in stazioni di servizio lungo l’autostrada, per lo più con compaesani e/o parenti”.
2.8. Inoltre, quella appellante sarebbe, con i suoi 7 anni di attività, “un’azienda sana, munita di tutte le autorizzazioni di legge, con una compagine sociale familiare, presente concorrenzialmente sul mercato e che non è mai stata segnalata né in occasione di gare d’appalto, né di affidamento di commesse pubbliche”.
3. Con ordinanza cautelare -OMISSIS-, questa Sezione – dopo aver riportato ampi passi della sentenza di primo grado – si è richiamata al proprio precedente 24 luglio 2015, n. 3653 e alle recenti pronunce n. 4 del 18 gennaio 2018 della Corte Costituzionale e 4 gennaio 2018, n. 111 delle SS.UU. penali della Corte di Cassazione, concludendo per la reiezione della domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza gravata.
4. In vista dell’odierna udienza di discussione, la parte appellata non ha svolto ulteriore attività difensiva, mentre il Ministero dell’Interno, in precedenza costituitosi con atto di mera forma, ha depositato memoria finale in cui sostiene che le emergenze istruttorie valevano senza dubbio a giustificare l’adozione d’informativa antimafia ai sensi degli art. 84 e 91 del D. Lgs. 159/2011 e tra le stesse evidenzia, in particolare:
– che nell’ambito del procedimento penale, avviato nel 2010 nei confronti di D.L. per associazione di tipo mafioso, istigazione alla corruzione e turbata libertà degli incanti aggravati dall’art. 7 legge n. 203/1991, era intervenuto nel 2014 avviso di formale conclusione delle indagini, cui era seguito il rinvio a giudizio;
– che l’istruttoria aveva fatto emergere l’appartenenza del suocero di D.L. a sodalizio di stampo mafioso, in ragione della quale il predetto “per un verso aveva riportato pesante condanna e, per altro verso, era stata assunta informativa antimafia nei confronti di impresa di cui risultava socio accomandante”;
– che il socio di maggioranza e amministratore dell’appellante, F.L. vantava stretti rapporti di parentela con “persone contigue ovvero intranee a sodalizi criminali di stampo mafioso”, quali: appartenenza a sodalizio di stampo mafioso del nipote (figlio della sorella della moglie), assassinato nel 2009; coinvolgimento del cognato (marito della sorella della moglie) in procedimento penale in cui era, fra l’altro, imputato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.; altro cognato (fratello della moglie) coniugato con la figlia di esponente di spicco di consorteria di stampo mafioso e a propria volta affiliato a sodalizio di stampo mafioso, assassinato nel 2009; ulteriore cognato (altro fratello della moglie) coniugato con la figlia di esponente di spicco di consorteria di stampo mafioso.
5. Indi, all’odierna pubblica udienza, l’appello è passato in decisione.
6. Decisione che non può che essere di conferma della sentenza impugnata.
E ciò alla stregua dei principi, ormai consolidati, individuati dalla Sezione nella materia delle interdittive antimafia e di recente riepilogati e aggiornati dalla sentenza 13/04/2018, n. 2231 (cfr. capo 4 dell’esposizione in diritto), cui ulteriormente qui si rinvia per brevità espositiva, salvo fornirne di seguito un quadro riassuntivo:
a) la Sezione (30 marzo 2018, n. 2031; 7 febbraio 2018, n. 820; 20 dicembre 2017, n. 5978; 12 settembre 2017, n. 4295) ha chiarito che l’interdittiva antimafia costituisce una misura preventiva, volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti con la Pubblica amministrazione, che prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con l’Amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;
b) a sua volta, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 6 aprile 2018, n. 3 ha precisato che si tratta di provvedimento amministrativo al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost.
Essa costituisce una misura:
* che è volta, contemporaneamente, alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione;
* e che – essendo il potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata – non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull’esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell’attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che si possa verificare il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;
c) la Sezione ha, altresì, aggiunto che – pur essendo necessario che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la Pubblica amministrazione – non è necessario un grado di dimostrazione probatoria ana a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo: il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale, anzitutto, quello mafioso (13 novembre 2017, n. 5214; 9 maggio 2016, n. 1743);
d) gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata;
e) la Sezione (7 febbraio 2018, n. 820) ha ancora chiarito che – quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose – l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che le decisioni sull’attività dell’impresa possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto: e ciò per la doverosa considerazione che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia”.
7. E’ sufficiente raffrontare gli elementi fattuali di cui sin qui si è dato conto con la “tavola” di principi appena riportati per poter agevolmente concludere nel senso che, nel caso di specie, l’applicazione degli stessi non può che condurre alla reiezione del presente appello. E invero:
aa) le condanne, divenute irrevocabili, riportate da F.L. sono di indubbio spessore quali-quantitativo, sia per entità delle pene comminate sia per la natura dei reati (rapina aggravata, danneggiamento e cessione illecita di sostanze stupefacenti, in concorso): si tratta di reati certamente in sé non qualificati come “spia” dall’art. 84 comma 4 lett. a) d.lgs. n. 159 del 2011, ma la presenza di precedenti penali per i c.d. reati-spia, in quanto tipicamente significativi dell’appartenenza o della contiguità con la criminalità organizzata, non è elemento imprescindibile ai fini della valutazione sottostante all’interdittiva.
Invero, questa Sezione ha già affermato che determinate fattispecie penali acquistano comunque significatività in relazione al contesto territoriale di riferimento, quando in esso la criminalità organizzata rappresenti il normale approdo finale delle carriere delinquenziali ed il collettore ultimo dei proventi illeciti (cfr. capo 8.3. di Cons. Stato, III, n. 1131/2017, nonché n. 4255/2014): e, nel caso all’esame, non può davvero sfuggire l’intima connessione che sussiste tra fattispecie delittuose quali la rapina e la cessione di stupefacenti con il circuito criminale che fa capo alla criminalità organizzata calabrese;
bb) circa la loro risalenza, vale in contrario il principio esposto alla lett. “c” del precedente capo 6, in ordine al valore sintomatico e indiziario che possono assumere anche “eventi verificatisi a distanza di tempo”;
cc) inoltre, non giova alla parte appellante il richiamo all’ordinanza n. -OMISSIS-resa del Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria, in quanto detto provvedimento non ha concesso a F.L. la riabilitazione in relazione alla condanna 12.3.1996 del Tribunale di -OMISSIS-“difettando il presupposto di legge dell’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato” di rapina aggravata; e ha dichiarato inammissibile, allo stato, l’istanza di riabilitazione in relazione alla condanna di cui alla sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 22.11.2001, “posto che la sanzione pecuniaria è stata pagata soltanto in data 29/04/2010” e dunque non risultavano, all’epoca, trascorsi i termini di legge.
Al riguardo, osserva il Collegio che F.L. non risulta aver ripresentato istanza di riabilitazione per le anzidette condanne, provvedendo a rimuoverne l’ostacolo nel primo caso e pur essendosi il termine dilatorio di cui all’art. 179 c.p., decorrente dal 29.4.2010, perfezionato ben prima dell’adozione, da parte del Prefetto di Reggio Calabria, dell’interdittiva impugnata in primo grado;
dd) tale quadro di natura penale risulta poi, per L.F., obiettivamente aggravato dal procedimento penale pendente a suo carico per il reato di lesioni personali colpose, gravi e per fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro;
ee) quanto al socio D.L. (divenuto “ex” solo dopo l’adozione dell’interdittiva), costituisce un elemento non irrilevante la condanna (nello stesso atto di appello definita “irrevocabile”) per omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali: basta, infatti, scorrere la giurisprudenza del giudice amministrativo di primo grado operante in Calabria (TAR di Catanzaro e Reggio Calabria) e di questo giudice d’appello, per riscontrare come tale reato figuri con frequenza nei giudizi impugnatori di interdittive antimafia e sia spesso associato, nello stesso soggetto, a quello (esso sì “spia”) di turbata libertà degli incanti.
Dunque, esso integra un obiettivo e non trascurabile indice rivelatore: tant’è che si coniuga, per D.L., proprio con il rinvio a giudizio per associazione di tipo mafioso, istigazione alla corruzione e turbata libertà degli incanti aggravati dall’art. 7 legge n. 203/1991; rinvio a giudizio, espressamente richiamato sia nell’interdittiva prefettizia, sia nella memoria conclusiva del Ministero, senza che sul punto la parte appellante abbia formulato specifiche deduzioni tanto nell’atto di appello, quanto nel prosieguo del presente grado di giudizio, essendo mancata una sua memoria di replica;
ff) vi sono, poi, i tutt’altro che generici riferimenti ai rapporti di affinità di F.L. e D.L., riportati anch’essi sia nell’interdittiva prefettizia sia nella memoria finale del Ministero e che ricadono pienamente, per le caratteristiche personali di tali soggetti divenuti loro affini, nel raggio di applicazione del principio del “più provabile che non” indicato alla lett. e) del precedente capo 6.
A ciò si aggiunga che il capo 8.5. della citata sentenza n. 1131/2017 ha avuto modo di rilevare che i legami di parentela acquistano particolare rilevanza “nel contesto calabrese, dove l’impronta familistica è connotazione tipica dei sodalizi di ‘ndrangheta e quindi, nella suindicata logica del “più probabile che non”, l’esistenza di fitti legami famigliari con soggetti controindicati ha un suo peso condizionante (quanto meno, in mancanza di una condotta tale da evidenziare che il soggetto ha seguito altre strade, rendendosi autonomo dai condizionamenti)”;
gg) infine, quanto al valore indiziario delle frequentazioni di F.L. e D.L., ancora la sentenza n. 1131/2017, ha ribadito (citato capo 8.3.) che “le frequentazioni con soggetti controindicati assumono di per sé un significato, sulla base della presunzione secondo la quale ciascuno frequenta le persone con le quali condivide interessi, attività o ha legami personali, e quindi spetta all’interessato di contestualizzare la frequentazione al fine di attribuirle un significato diverso e rassicurante. Il significato indiziario delle frequentazioni non viene meno col passare del tempo, in assenza di elementi che depongano per una discontinuità delle abitudini di vita e della condotta dell’interessato”.
8. Conclusivamente, proprio in applicazione della regola del “più probabile che non” e tenuto conto che gli elementi sin qui elencati contribuiscono a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale può ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata sull’impresa appellante, il gravame dalla stessa proposto deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata, la cui motivazione deve ritenersi integrata dalle considerazioni che precedono.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, con conseguente conferma della sentenza gravata.
Condanna la Società appellante al pagamento, in favore del costituito Ministero dell’Interno, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 4.000,00 (euro quattromila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere, Estensore
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