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8 – Giova esaminare in questa sede, in quanto riferiti al provvedimento di annullamento ministeriale, anche gli ulteriori motivi riproposti dall’appellante. Al riguardo, si deduce, in primo luogo, il vizio di eccesso di potere per manifesta irragionevolezza. Più precisamente, secondo l’appellante, la Soprintendenza, in soli 18 giorni dalla data (25.11.1999) in cui avrebbe ricevuto gli elementi per poter valutare la legittimità del previo atto comunale, avrebbe formulato in modo sbrigativo un giudizio di non compatibilità dei lavori stessi.
8.1 – Il motivo è manifestamente infondato, dal momento che la tempistica di adozione del provvedimento, nel caso di specie (18 giorni), non pare sintomatica di alcun eccesso di potere.
9 – L’appellante ripropone inoltre il motivo con il quale lamenta l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di motivazione. Al riguardo, rappresenta che nei decreti della Soprintendenza si legge che il manufatto preesistente agli interventi edilizi, oggetto delle domanda di condono, era “un tipico esempio di architettura rurale della campagna della pianura bolognese” avente “struttura compatta, fìnestrature ridotte, frontespizio con portoncino e scala di ingresso simmetrica”, il quale, secondo la Soprintendenza, “viene completamente snaturato dalla realizzazione dei manufatti abusivi che per forma tipologica e materiali non armonizzano con questo”. Viceversa, secondo l’appellante, dalla documentazione che fu allegata (unitamente ad una breve relazione tecnica), si evincerebbe che la situazione di fatto sarebbe radicalmente diversa da quella immaginata dalla Soprintendenza. Più precisamente, nella prospettazione dell’appellante, il manufatto preesistente non sarebbe un edificio rurale, ma una ex villa padronale. L’appellante rappresenta inoltre che in zona sorgono altri capannoni adibiti all’industria ceramica e che l’alveo fluviale, vincolato ex l.n. 431/85, sarebbe in realtà un canale secco e di piccole dimensioni.
9.1 – Il motivo è infondato. Al riguardo, valgono le considerazioni già innanzi esposte con le quali si è messo in luce che il provvedimento di annullamento si basa sul difetto di motivazione dell’autorizzazione comunale, da cui l’irrilevanza delle doglianze in esame.
In ogni caso, deve osservarsi che è lo stesso appellante a riferire che l’originaria villa fu adibita a ricovero attrezzi. A tale situazione di fatto corrisponde, oltretutto, l’attuale situazione giuridica dell’immobile. Tanto è vero che lo stesso appellante precisa che in quest’ultima veste, a seguito di una variazione della destinazione d’uso, il fabbricato fu accatastato come edificio rurale. Dunque, non si è al cospetto di alcun travisamento dei fatti.
Parimenti, non risultano in alcun modo rilevanti le osservazioni circa la presenza di altri capannoni e circa la consistenza dell’alveo fluviale, posto che è certa l’esistenza di quest’ultimo, le cui ragioni di tutela dell’ambiente circostante prescindono dalla effettiva portata d’acqua del medesimo e dalla eventuale presenza di altri fabbricati in zona.
10 – Con il terzo motivo di appello, l’appellante lamenta che, a seguito dell’annullamento ministeriale, il Comune avrebbe dovuto riesaminare gli atti e riprendere il procedimento alla luce delle rilevazioni dell’atto di annullamento, e non limitarsi a recepirlo altrettanto immotivatamente.
10.1 – Il motivo è infondato, essendo condivisibile quanto argomentato dal Giudice di prime cure. Infatti, il provvedimento comunale non si limita a recepire passivamente la determina del Sovrintendente. Come si desume chiaramente dal tenore dell’atto, in realtà, il Comune, dopo a aver rinnovato la valutazione di sua competenza, fa proprie le considerazione del Ministero. A tal fine la determina del Sovrintendente è stata opportunamente allegata al provvedimento di diniego del Comune a costituirne parte integrante.
Non è pertanto ravvisabile l’illegittimità lamentata dall’appellante, tenuto conto della nota giurisprudenza secondo la quale l’obbligo per l’Autorità di motivare il provvedimento amministrativo non può ritenersi violato attraverso il richiamo per relationem ad altri atti, se questi offrano comunque elementi sufficienti e univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni e l’iter motivazionale posti a sostegno della determinazione assunta (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2015, n. 2011).
11 – In definitiva, l’appello deve essere respinto. Vista la soccombenza, l’appellante deve essere condannato alla refusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello come in epigrafe proposto.
Condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore del Ministero appellato, liquidate in complessivi Euro3.000,00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Carbone – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
Italo Volpe – Consigliere
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