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All’udienza del 19 ottobre 2017, la causa è stata trattenuta in decisione.
9. L’appello proposto dalla A.G. Ve. s.p.a. si incentra su di un unico motivo rivolto a contestare la statuizione che ha riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo anziché del giudice ordinario, per essere la procedura de qua sottoposta alla disciplina del codice dei contratti pubblici.
9.1. Secondo l’appellante, il tribunale avrebbe fatto erronea applicazione dei principi fissati dall’Adunanza Plenaria con la sentenza 1 agosto 2011, n. 16.
9.2. Mancherebbe, in primo luogo, il requisito soggettivo, poiché l’attività svolta da A.G. En. s.p.a. deve essere considerata singolarmente e non con riguardo all’intero gruppo di appartenenza; così facendo, è agevole rilevare che la società, occupandosi della vendita di energia elettrica, di gas naturale e teleriscaldamento, non svolge alcuna attività inerente le reti di distribuzione, nella quale, invece, consiste l’attività nei settori speciali per i quali trova applicazione la disciplina dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 208, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
9.3. Le predette considerazioni valgono, sempre secondo l’appellante, ad escludere la sussistenza anche del requisito oggettivo, che sarebbe comunque mancante poiché la stampa e l’imbustamento delle bollette non è collegata, se non in maniera indiretta e lata, agli scopi propri delle attività previste dal codice per i settori speciali dell’energia e del gas.
10. L’appello di G.S. Ve. s.p.a. è inammissibile per mancanza di una delle condizioni per impugnare; precisamente, nel caso di specie, risulta mancante la condizione della soccombenza.
11. Come accennato, all’esito del giudizio di primo grado, la società A.G. Ve. s.p.a. è risultata vittoriosa nel merito: riconosciuta la propria giurisdizione, il tribunale ha infatti concluso nel senso della piena legittimità dell’operato della stazione appaltante nell’aver escluso dalla procedura la ricorrente Se. s.p.a.
L’appellante è risultata pertanto soccombente in relazione alla sola questione pregiudiziale di rito avente ad oggetto la (carenza di) giurisdizione del giudice amministrativo da essa stessa sollevata con rituale eccezione. Tradizionalmente, tale soccombenza è definita teorica, proprio in ragione del fatto che attiene alla decisione, in senso sfavorevole rispetto alla parte che l’ha posta, di una questione.
12. Ritiene il Collegio che, così come nel giudizio civile, anche nel giudizio amministrativo, la soccombenza solo teorica non sia condizione sufficiente per la proposizione dell’appello, essendo necessaria la soccombenza sostanziale o pratica (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2841, Cass. civ., sez. III, 4 maggio 2004, n. 8465): ciò per l’assorbente ragione che il soccombente teorico, vincitore nel merito del giudizio, non potrebbe conseguire dalla riforma della sentenza impugnata una utilità maggiore di quella derivante dalla vittoria nel merito del giudizio.
12.1. Quanto sopra è tanto più vero nel caso in cui, come nel presente giudizio, la soccombenza teorica riguardi la questione di giurisdizione, in quanto, annullata la sentenza impugnata ed operata la traslatio iudicii, il processo ricomincerebbe daccapo e il secondo giudice potrebbe giungere ad una decisione di merito opposta, privando, così, l’appellante dell’utilità raggiunta nel precedente giudizio.
12.2. Può, quindi, affermarsi che il processo conclusosi con la sentenza impugnata ha dato all’appellante la massima utilità cui poteva aspirare, avendo riconosciuto la piena legittimità della sua condotta. E’ da escludere, pertanto, anche la sussistenza di una soccombenza c.d. materiale, che, secondo la dottrina, ricorre quando sia possibile individuare un margine di utilità maggiore ipoteticamente conseguibile attraverso la rimozione della sentenza impugnata e che può sorreggere un eventuale interesse ad impugnare del vincitore nel merito.
13. Nei termini esposti si sono recentemente pronunciate le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 ottobre 2016, n. 21260, che, sia pur decidendo sulla diversa questione della legittimazione dell’attore, che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito, a proporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto, hanno affrontato espressamente il tema oggetto del presente giudizio, affermando che: “Rispetto al capo sulla giurisdizione che accompagna la statuizione di rigetto nel merito della domanda è configurabile esclusivamente la soccombenza del convenuto, sempre che a sua volta abbia chiesto al giudice di dichiararsi munito di giurisdizione. Il vincitore pratico della causa, se non ha interesse ad impugnare per primo il capo della giurisdizione, perché il passaggio in giudicato della statuizione di rigetto gli assicura un’utilità maggiore di quella che potrebbe ottenere dalla declaratoria di giurisdizione, ha tuttavia interesse ad impugnare dopo e per effetto della impugnazione principale sul merito da parte del soccombente pratico e così in via incidentale per il caso del suo accoglimento” (già negli stessi termini Cass. civ., sez. un., 6 marzo 2009, n. 5426, e Cass. civ., sez. un., 2 luglio 2004, n. 12138).
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