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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 marzo 2015, n. 1296. Risponde della contravvenzione di cui al 1° comma dell’art. 659 c.p. il gestore di un locale pubblico per il disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone arrecato dagli avventori dell’esercizio pubblico al di fuori del locale, quando sia dimostrato che egli non ha esercitato il potere di controllo che gli compete e che a tale omissione è riconducibile la verificazione dell’evento

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 26 marzo 2015, n. 1296 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIALE Aldo – Presidente Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere Dott. RAMACCI Luca – Consigliere Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere Dott. ANDRONIO...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 24 marzo 2015, n. 12244. Applicabilità dell’art. 275, comma 2-bis, c.p.p. (che vieta l’applicazione di misure cautelari privative della libertà personale se il giudice ritiene che con la sentenza definitiva potrà essere concessa la sospensione condizionale della pena) anche rispetto alle misure cautelari previste per i minorenni.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 24 marzo 2015, n. 12244 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIALE Aldo – Presidente Dott. FRANCO Amedeo – Consigliere Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere Dott. ACETO Aldo – Consigliere Dott. GENTILI Andrea...

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Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 8 aprile 2015, n. 14145. L’utente della strada è responsabile della sicurezza della circolazione ed assume, pertanto, posizione di garanzia anche nei confronti di terze persone che vengono in contatto con lui, ogni qualvolta la sua condotta determini situazioni di pericolo eccedenti il normale rischio collegato alla circolazione stradale. Ne consegue che l’utente della strada è chiamato a rispondere per colpa della mancata adozione delle misure necessarie a prevenire il verificarsi di eventi lesivi della incolumità anche di queste persone. In tema di reato colposo, per attribuire ad una condotta omissiva una efficacia causale è necessario accertare che l’agente abbia in capo a sé la c.d. “posizione di garanzia”: cioè che, in ragione della sua prossimità con il bene da tutelare, sia titolare di poteri ed obblighi che gli consentano e gli impongano di attivarsi onde evitare la lesione o messa in pericolo del bene giuridico la cui integrità egli deve garantire, giusta il disposto dell’articolo 40, comma 2, c.p., secondo cui “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. La posizione di garanzia, nel rispetto del principio di legalità, può avere una fonte normativa non necessariamente di diritto pubblico, ma anche privatistica [negoziale], anche non scritta, e può trarre anche origine da una situazione di fatto, da un atto di volontaria determinazione, da una precedente condotta illegittima che costituisca il dovere di intervento e il corrispondente potere, giuridico, o di fatto, che consenta al soggetto garante, attivandosi, di impedire l’evento. La posizione di garanzia, ovviamente, richiede l’esistenza in capo al garante di poteri impeditivi dell’evento, i quali, peraltro, possono essere anche diversi e di minore efficacia rispetto quelli direttamente e specificamente volti ad impedire il verificarsi dell’evento: nel senso che è necessario e sufficiente che il garante abbia il potere, con la propria condotta, di indirizzare il decorso degli eventi indirizzandoli verso uno sviluppo atto ad impedire la lesione del bene giuridico da lui preso in carico, esercitando, quindi, i poteri da lui esigibili anche laddove questi non siano da soli impeditivi dell’event

Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 8 aprile 2015, n. 14145 Ritenuto in fatto Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado, resa a seguito di giudizio abbreviato, che aveva affermato la responsabilità di G.M. per i reati di omicidio colposo aggravato dalla violazione della...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 9 aprile 2015, n. 14247. I reati di violenza sessuale sono procedibili senza necessità di querela anche nell’ipotesi di collegamento investigativo rilevante a norma dell’art. 371, comma secondo, cod. proc. pen. con altra fattispecie procedibile di ufficio sul rilievo che la ragione della perseguibilità d’ufficio dei delitti contro la libertà sessuale non risiede nel disinteresse dello Stato al perseguimento degli stessi, ma nella necessità di bilanciare l’esigenza del perseguimento dei colpevoli con l’esigenza della riservatezza delle persone offese, data la particolarissima natura di tali reati, in relazione ai molteplici contesti socioculturali nei quali gli stessi possono essere commessi. Tale esigenza viene meno proprio nel caso in cui le indagini su fatti perseguibili d’ufficio abbiano attinto alla riservatezza delle persone offese per connessi reati sessuali, nel caso in cui questi siano stati commessi in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità, ovvero – e questo è il caso più frequente – se la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza o se la prova di più reati deriva anche parzialmente dalla stessa fonte

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 9 aprile 2015, n. 14247 Ritenuto in fatto 1. M.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza del 26 novembre 2013 con la quale la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale della medesima città, ha rideterminato in anni sette e mesi sei...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 9 aprile 2015, n. 14250. Reato di abbandono di animale (art. 727, II comma, c.p.) per chi lascia chiuso la povera vittima in auto per lungo tempo ad elevate temperature

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 9 aprile 2015, n. 14250 Ritenuto di fatto 1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha condannato i ricorrenti alla pena di 1100 € di ammenda ciascuno per avere violato gli artt. 727 e 651 c.p. Ai fini della comprensione dei motivi...