Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 19 ottobre 2015, n. 41850 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FRANCO Amedeo – Presidente Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere Dott. GENTILI Andrea – Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere Dott....
Categoria: Cassazione penale 2015
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 novembre 2015, n. 44498. Lo stato c.d. di quasi flagranza sussiste anche nel caso in cui l’inseguimento non sia iniziato per una diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per le informazioni acquisite da terzi (inclusa la vittima), purchè non vi sia stata soluzione di continuità fra il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato. Tale interpretazione, peraltro, non contravviene al tenore testuale della norma, in quanto l’art.382 c.p. nel definire lo stato di flagranza afferma che “è in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose e tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima”, e il termine “inseguire”, secondo la stessa definizione del Devoto-Oli, significa “tendere con tenacia al raggiungimento di qualcuno o di qualcosa nell’ambito di un’azione ostile o di una competizione” e, pertanto, già nella sua accezione semantico letterale non indica necessariamente e unicamente l’azione di chi “corre dietro a chi fugge”, bensì anche quella di chi “procede in una determinata direzione, secondo uno o più punti di riferimento al fine di raggiungere qualcuno o qualcosa”. Né in alcun modo la norma prevede che l’autore del reato debba essere stato visto dalla polizia giudiziaria, né che il reato sia avvenuto sotto la diretta percezione della polizia giudiziaria, limitandosi invece a stabilire che l’inseguimento deve avvenire “subito dopo il reato”, la qualcosa sarebbe stata del tutto superflua, ove il legislatore avesse limitato l’azione al mero “correre dietro a chi fugge”, azione che inevitabilmente è immediata rispetto alla commissione del reato
Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 4 novembre 2015, n. 44498 Osserva In data 21.1.2015, il difensore di I.M. ricorre per Cassazione avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Catania, de 18.12.2014, con il quale è stato convalidato l’arresto del predetto per il reato di rapina in danno dell’ufficio postale privato “City Poste”...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 26 ottobre 2015, n. 43085. L’elemento soggettivo degli atti persecutori è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incrìminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l’agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi. E’ pertanto irrilevante che l’occasione per la consumazione di qualcuno – o anche di tutti – gli atti della serie persecutoria sia stata meramente casuale. Ciò che conta infatti è solo la consapevolezza da parte dell’agente dell’abitualità della sua condotta. E’ dunque ovvio che l’acquisizione della prova della “premeditazione” di ogni singolo atto costituisca sintomo, sia sotto il profilo oggettivo che psicologico, di tale abitualità, ma ciò non significa che atti posti in essere dall’agente qualora “si presenti l’occasione” non possano parimenti integrare la fattispecie tipica sotto entrambi i profili.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V Sentenza 26 ottobre 2015, n. 43085 Ritenuto in fatto 1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Bari, in funzione di giudice dei riesame, ha annullato il provvedimento con cui era stata applicata ad A.M. la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di atti persecutori commesso ai...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 4 novembre 2015, n. 44448. L’individuazione fotografica effettuata dal teste, nel giudizio, mediante le fotografie contenute nei verbali di individuazione fotografica redatti nella fase delle Indagini preliminari costituisce attività del tutto legittima, in quanto i fascicoli fotografici conservano una loro sostanziale autonomia e possono essere successivamente mostrati ai testimoni chiamati ad effettuare detto riconoscimento in sede di istruttoria dibattimentale, essendo del tutto superfluo sottoporre a questi ultimi altro e diverso fascicolo fotografico; né, d’altro canto, vi è alcuna norma processuale che prescriva l’utilizzo di fascicoli fotografici diversi nelle due fasi in questione. All’individuazione fotografica non si applicano, infatti, gli adempimenti previsti per la ricognizione di persona ed, in particolare, essa non deve essere preceduta dalla descrizione delle fattezze fisiche, trattandosi di “adempimento preliminare richiesto solo per la ricognizione di persona”
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 4 novembre 2015, n. 44448 Ritenuto in fatto 1.La Corte di Appello di Genova, con sentenza dei 7/11/2014, confermava la sentenza dei Tribunale di Genova, emessa in data 29/10/2013, con la quale V.P. B., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato alla pena di mesi tre...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 4 novembre 2015, n. 44452. In tema di vendita e cessione, di un campione di circa 78 grammi di cocaina e di un quantitativo di circa chilogrammi 5 di eroina, seppure la circostanza aggravante, di cui all’art. 61 n. 9 c.p. per avere il coimputato, sovrintendente della polizia di Stato, commesso il fatto con abuso dei poteri e con violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzionela, non presuppone necessariamente che il reato sia commesso in relazione al compimento di atti rientranti nella sfera di competenza dei pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, ne’ l’attualità dell’esercizio della funzione o dei servizio, ai fini della stessa, è necessario che la commissione del fatto sia stata quanto meno facilitata od agevolata dall’esercizio dei poteri o dalla violazione dei doveri non essendo dunque sufficiente che in capo a chi commetta un qualsivoglia reato sussista la veste di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 4 novembre 2015, n. 44452 Ritenuto in fatto 1. A.N. ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso nei confronti della sentenza della Corte d’Appello di Bari che ha confermato, quanto all’affermazione di responsabilità, la sentenza dei Tribunale di Foggia di condanna per il concorso nel reato di cui...
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 4 novembre 2015, n. 44595. La ratio che sorregge la norma di cui all’art. 385 cod. pen. consiste nell’obbligo imposto alla persona sottoposta alla misura detentiva domiciliare di rimanere nel luogo indicato e non allontanarsene senza autorizzazione, perché ritenuto idoneo a soddisfare le esigenze cautelare di cui all’art. 274 cod. proc. pen. e nel contempo nel consentire agevolmente i prescritti controlli da parte dell’autorità di polizia giudiziaria addetta. Se l’imputato viene trovato fuori dell’abitazione in attesa dell’arrivo dei Carabinieri, prontamente informati della sua intenzione di volere andare in carcere, si deve necessariamente concludere per l’assenza di offensività concreta (art. 49, comma 2 cod. pen.), atteso che in nessun momento egli si è sottratto alla possibilità per gli addetti al controllo di effettuare le dovute verifiche, restando nelle immediate vicinanze del domicilio coatto. La stretta connessione tra comunicazione dell’imminente violazione dei divieto di allontanamento, permanenza nei pressi dei domicilio al precipuo scopo di far rilevare l’allontanamento stesso e manifestazione dell’intento di volersi assoggettare ad un regime cautelare addirittura più rigoroso, determina l’irrilevanza dell’infrazione, non risultando, infatti, violata la ratio giustificativa dei precetto.
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 4 novembre 2015, n. 44595 Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Messina ha confermato quella emessa in data 26/034/2008 dal locale Tribunale che, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato R.F. alla pena di quattro mesi di reclusione per il reato di...
Corte di Cassazione, sezione VI, 28 ottobre 2015, n. 43464. L’addetto alla lavorazione della Posta prioritaria presso un centro di meccanizzazione postale con le mansioni di smistamento e ripartizione dei plichi svolge sole mansioni esecutive e d’ordine, prive di qualsiasi carattere di autonomia e decisionalità. Pertanto, la relativa condotta appropriativa deve essere ricondotta alla meno grave ipotesi di cui all’art. 646 cod. pen. aggravata dall’abuso della relazione di ufficio e prestazione d’opera ai sensi dell’art. 61 comma 11 cod. pen., e non di peculato, non rivestendo la qualifica di incaricato di pubblico servizio
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE VI SENTENZA 28 ottobre 2015, n. 43464 Ritenuto in fatto Con sentenza del 18.2.2015 la Corte di appello di Genova, a seguito di gravame interposto dall’imputato L.C. e dal P.M. avverso la sentenza emessa il 20.3.2012 dal locale Tribunale, in parziale riforma di detta decisione ha rideterminato la pena inflitta...
Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 16 ottobre 2015, n. 41742. Qualora sussistano i presupposti per l’applicazione della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata per consentire ai giudici di merito la valutazione conseguente. Nel caso in cui, invece, la Corte di cassazione ritenga, sulla scorta della sentenza impugnata, che il giudice del merito abbia anche solo implicitamente escluso la sussistenza dei presupposti enunciati dall’art. 131-bis c.p., la relativa questione deve essere rigettata, non essendo necessario un controllo di fatto
Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 16 ottobre 2015, n. 41742 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ESPOSITO Antonio – Presidente Dott. DAVIGO P. – Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere Dott. CARRELLI PALOMBI...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 16 ottobre 2015, n. 41693. In tema di stupefacenti, nel rideterminare la pena calcolata a titolo di continuazione tra reati di detenzione illecita di droghe c.d. “pesanti” e di droghe c.d. “leggere”, alla luce della più favorevole cornice edittale applicabile a seguito della pronuncia della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, il giudice dell’esecuzione può rielaborare il rapporto tra “reato-base” e “reati-satellite”. In tema di stupefacenti, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, il minimo edittale di anni sei resta intangibile per la detenzione a fini di spaccio della droga pesante ed è quest’ultimo il fatto-reato da porre – nella nuova determinazione – a base della continuazione, degradando tutte le ulteriori fattispecie a reato-satellite, la cui incidenza andrà commisurata ai rivissuti parametri edittali
Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 16 ottobre 2015, n. 41693 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SIOTTO Maria C. – Presidente Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Consigliere Dott. BONITO Francesco M. –...
Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 15 ottobre 2015, n. 41486. Non può considerarsi abnorme il comportamento del lavoratore realizzato in violazione di mere prassi operative non codificate. La carenza dei dispositivi di sicurezza, o anche la mancata adozione degli stesi da parte del lavoratore, non può essere sostituita dall’affidamento sul comportamento prudente e diligente di quest’ultimo
Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 15 ottobre 2015, n. 41486 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ZECCA Gaetanino – Presidente Dott. D’ISA Claudio – rel. Consigliere Dott. MARINELLI Felicetta – Consigliere Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Consigliere Dott....