Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 25833.
Accessione ed il termine perentorio semestrale per la scelta tra la demolizione e la ritenzione delle opere
Il termine perentorio semestrale di cui all’art. 936 c.c. per la scelta tra la demolizione e la ritenzione delle opere decorre dal momento in cui la parte ha notizia dell’avvenuta incorporazione, essendo la norma finalizzata a consentire di effettuare le opportune valutazioni di convenienza e di evitare arricchimenti imposti; a tal fine l’incorporazione si intende realizzata quando l’opera sia stata ultimata (non semplicemente iniziata) o quando ne sia stata definitivamente sospesa la realizzazione.
Sentenza|| n. 25833. Accessione ed il termine perentorio semestrale per la scelta tra la demolizione e la ritenzione delle opere
Data udienza 23 febbraio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Usucapione – Risarcimento del danno – Contraddittorio – Litisconsorzio necessario – Cass. 16331/2020 – Diritto di superficie – Cass. 23347/2009 – Diritti dominicali – Cass. s.u. 3873/2018 – Accessione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi G. – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10332/2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difeso dagli avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS), con elezione di domicilio in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avv.ti (OMISSIS), e (OMISSIS), con elezione di domicilio in (OMISSIS);
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 110/2018, pubblicata in data 24.1.2018;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.2.2023 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Dell’Erba Rosa Maria, che ha chiesto di respingere sia il ricorso principale che quello incidentale.
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FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) ha convenuto in giudizio la (OMISSIS) s.r.l., esponendo che la convenuta, conduttrice di un immobile di proprieta’ (OMISSIS), ubicato in (OMISSIS), aveva costruito un capannone originariamente destinato ad essere edificato sulla particolo (OMISSIS), di proprieta’ del locatore, ma che in realta’ insisteva sul fondo dell’attrice (individuato in catasto al fl. (OMISSIS)). Ha chiesto di ordinare l’immediata rimozione delle opere e di condannare la (OMISSIS) al risarcimento del danno.
La convenuta ha resistito, sostenendo di aver realizzato l’opera previa autorizzazione dello (OMISSIS), titolare della particolo (OMISSIS) (ricompresa nella particolo (OMISSIS)), che le aveva riconosciuto la piena proprieta’ della costruzione; si e’ opposta alla demolizione, asserendo di aver agito in buona fede e che la domanda era stata introdotta dopo il decorso del termine fissato dall’articolo 936 c.c., u.c.. Ha chiesto di dichiarare in via riconvenzionale l’intervenuta usucapione della proprieta’ superficiaria per possesso continuato e pacifico ultraventennale e di chiamare in causa (OMISSIS) per essere manlevata.
Integrato il contraddittorio verso il terzo ed espletata c.t.u., il Tribunale ha dichiarato la (OMISSIS) proprietaria della costruzione, respingendo ogni altra domanda.
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La pronuncia e’ stata impugnata da entrambe le parti; (OMISSIS) ha notificato l’atto di appello, quale mera denuntiatio litis ex articolo 332 c.p.c., anche a (OMISSIS), con cui aveva gia’ transatto la lite.
All’esito, la Corte Genovese ha condannato la societa’ alla rimozione del manufatto e al risarcimento del danno, confermando nel resto la prima decisione.
Ha rilevato il giudice distrettuale che la costruzione era posizionata in parte sulla particolo (OMISSIS) di proprieta’ dell’attrice e per la restante parte sulla particolo (OMISSIS) di terzi non evocati in causa, per cui, ai sensi dell’articolo 936 c.c., la (OMISSIS) era divenuta proprietaria per accessione soltanto della porzione di costruzione che insisteva sul suo fondo.
La restante minima porzione accedeva al fondo confinante e, sempre per effetto di accessione, era caduta in comunione pro indiviso tra la (OMISSIS) e gli altri proprietari, potendo ciascuno di essi ottenere la demolizione – per la parte del manufatto insistente sulle rispettive porzioni esclusive – senza necessita’ di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri.
Non era decorso il termine di sei mesi dal momento in cui la (OMISSIS) diritto aveva avuto conoscenza dell’occupazione e inoltre la societa’ non aveva agito in buona fede, non avendo realizzato l’opera nella convinzione di essere la proprietaria del suolo; era esclusa anche l’usucapione del diritto a mantenere l’edificio, mancando l’elemento soggettivo del possesso.
La Corte territoriale ha infine respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dalla (OMISSIS), rilevando che quest’ultima si era disinteressata del bene e non aveva mai inteso utilizzarlo, osservando che la possibilita’ per il giudice di ravvisare il danno in re ipsa e di liquidarlo equitativamente non esonera la parte dall’allegazione e dalla prova dei fatti e delle circostanze dimostrative del pregiudizio lamentato.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la (OMISSIS) s.r.l. affidato a nove motivi, cui resiste (OMISSIS) con controricorso e con ricorso incidentale basato su un unico motivo.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va dato atto che, benche’ il ricorso non sia stato notificato a (OMISSIS), convenuto in primo grado, non vi e’ ragione per integrare il contraddittorio, avendo questi transatto la lite prima dell’instaurazione del giudizio di appello, sicche’ gia’ la notifica del gravame aveva assunto la semplice valenza di denuntiatio litis, ricorrendo infine la scindibilita’ dei giudizi ai sensi dell’articolo 332 c.p.c. (cfr. sentenza, pag. 3).
2. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli articoli 1100 e 1101 c.c..
Si assume che, benche’ la costruzione insistesse per parte sul fondo della (OMISSIS) e per altra parte su fondi di terzi, la sentenza abbia ravvisato una comunione pro indiviso sull’intero manufatto in mancanza di atti di divisione.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli articoli 934 e 939 c.c., sostenendo che la comunione pro indiviso della costruzione poteva configurarsi solo ove ciascun proprietario avesse acquistato una porzione ben individuata ed autonoma del manufatto. Il fabbricato era invece un unico, non strutturato in porzioni a se’ stanti, suscettibili di godimento separato.
Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, per aver la Corte omesso di spiegare le ragioni per cui ha ritenuto costituita una comunione pro indiviso dell’opera, in contrasto con le risultanze della consulenza, da cui erano state evidenziate l’unicita’ strutturale e funzionale della costruzione e l’assenza di porzioni autonome, separatamente utilizzabili.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’articolo 102 c.p.c., per aver la sentenza negato che il terzo proprietario della porzione di fondo su cui era stata parzialmente edificata l’opera fosse litisconsorte necessario e che dovesse partecipare al giudizio.
I quattro motivi, che vanno esaminati congiuntamente, non sono fondati.
2.1. La nuova opera insisteva in parte sul fondo della (OMISSIS) (per mq. 38) e la restante parte su fondi di terzi ed era stata realizzata senza alcuna autorizzazione da parte della convenuta, effettiva proprietaria della porzione del fondo su cui era stata in parte eretta la costruzione.
Nessuna porzione del manufatto insisteva sul fondo di (OMISSIS), di cui la (OMISSIS) aveva la disponibilita’ in virtu’ del contratto dell'(OMISSIS).
La fattispecie era dunque regolata dall’articolo 936 c.c..
L’articolo 934 c.c. dispone che qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto e’ disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge.
Il successivo articolo 938 disciplina l’ipotesi di occupazione di fondo attiguo: la norma trova applicazione solo nel caso in cui l’opera insista in parte sul fondo del costruttore ed in parte su quello del terzo; ove quest’ultima sia stata realizzata integralmente sul fondo altrui, la fattispecie ricade nella previsione dell’articolo 936 c.c. a norma del quale il proprietario del fondo ha diritto di ritenere le opere o di obbligare colui che le ha fatte a levarle (Cass. 1917/1981; Cass. s.u. 3351/1984; Cass. 1393/1986; Cass. 3483/1990; Cass. 13539/1992; Cass. 8748/1997; Cass. 23707/2014; Cass. 16331/2020).
Per effetto dell’accessione, il proprietario del suolo acquista la proprieta’ delle opere sin dal loro inizio e a mano a mano che procedono (senza necessita’ di alcuna manifestazione di volonta’, che invece e’ richiesta per evitare l’acquisto, nel caso in cui egli, avvalendosi dello ” ius tollendi “, ne pretenda la rimozione); tale proprieta’ perdura fino a quando non si realizzi il distacco dei materiali dal suolo con l’abbattimento della costruzione, ovvero considerandosi l’incorporazione, non si disponga separatamente del diritto sulle costruzioni, attribuendo a terzi un diritto di superficie (Cass. 1181/1976; Cass. 2746/1979; Cass. 13215/2006; Cass. 23347/2009).
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2.2. Cio’ posto le censure – nel sottoporre a critica la sentenza per aver ravvisato una comunione pro indiviso sulla costruzione tra l’attrice ed il terzo proprietario della particolo (OMISSIS) – ne equivocano il contenuto, che e’ del resto conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
Ribadita – correttamente – l’operativita’ dell’articolo 936 c.c., la sentenza ha negato la sussistenza di una comunione pro indiviso relativamente alla porzione di manufatto ubicata sul suolo dell’attrice, avendo ritenuto comune la parte dell’opera insistente su porzione appartenente a terzi estranei al giudizio (come si legge a pag. 5 della sentenza), coerentemente con il principio per cui l’accessione opera anche se la costruzione insista su piu’ fondi distinti ed in tal caso ciascun proprietario acquista la proprieta’ della sola parte che si estende in senso verticale sul suo fondo, con la conseguenza che anche le opere e strutture inscindibilmente poste a servizio dell’intero fabbricato (quali scale, androne, impianto di riscaldamento, ecc.) rientrano per accessione, in tutto o in parte, a seconda della loro collocazione, nella proprieta’ esclusiva dell’uno o dell’altro, salvo l’istaurarsi sulle medesime, in quanto funzionalmente inscindibili, di una comunione incidentale di uso e di godimento, comportante l’obbligo dei singoli proprietari di contribuire alle relative spese di manutenzione e di esercizio in proporzione dei rispettivi diritti dominicali (Cass. 5112/2006; Cass. 29457/2018; Cass. s.u. 3873/2018).
L’asserita unicita’ strutturale e funzionale della costruzione appare chiaramente disattesa dalla pronuncia e, comunque, la comunione poteva costituirsi unicamente sulla parti inscindibilmente collegate alle posizioni divenute esclusive per effetto di accessione, ossia su quelle parti dell’edificio che – con accertamento in fatto – la Corte di merito ha ritenuto posizionate sulla proprieta’ dei terzi non evocati in giudizio, potendo procedersi alla chiesta demolizione senza necessita’ di integrare il contraddittorio.
Non risulta – difatti – violato l’articolo 102 c.p.c.: la pronuncia ha ordinato la demolizione della sola parte di costruzione insistente sul fondo della (OMISSIS), rilevando contestualmente che le parti in comunione erano collocate sulla restante superficie in titolarita’ di terzi.
La riduzione in pristino – ordinata dal giudice – non richiedeva la chiamata in causa del proprietario del fondo attiguo, non dovendosi intervenire su porzioni in titolarita’ del terzo o comuni.
Anche in assenza del terzo confinante la sentenza non era inutiliter data, salva la necessita’ di procedere all’esecuzione del ripristino in modo da non pregiudicare diritti dei terzi.
3. Il quinto motivo denuncia la violazione degli articoli 936 e 1147 c.c..
Si afferma che la buona fede della societa’, che escludeva la possibilita’ di ordinare la demolizione, doveva presumersi e che il relativo onere probatorio non era a carico della ricorrente, essendovi comunque prova del fatto che la (OMISSIS) aveva agito in forza dell’autorizzazione ottenuta dal proprietario/locatore della particolo (OMISSIS), e che, pertanto, non era affatto consapevole di ledere un diritto altrui.
Il motivo non e’ fondato.
La pronuncia, pur sostenendo che in tema di accessione la buona fede non si presume (in adesione ad un orientamento tutt’altro che pacifico nella giurisprudenza di questa Corte: cfr. per l’operativita’ della presunzione: Cass. s.u. 1484/1997), ne ha accertato in concreto l’insussistenza, evidenziando che la societa’ aveva operato su autorizzazione del proprietario della diversa particolo (OMISSIS), non potendo confidare nella titolarita’ del diritto a costruire sul suolo della resistente.
Da tempo questa Corte ha – in effetti – ritenuto che in materia di accessione, l’oggetto della prova della buona fede non investe la legittimita’ dell’opera in se’, in quanto autorizzata, ma il piu’ specifico profilo vertente sulla ragionevole opinione del costruttore, fondata su circostanze obiettive, di esser proprietario o eventualmente titolare di un diverso diritto reale che autorizzi a costruire lecitamente nel luogo in cui il manufatto e’ stato eretto (Cass. 3971/1997; Cass. 3483/1990; Cass. s.u. 3351/1984).
L’accertamento dell’elemento soggettivo deve incentrarsi sulle possibili verifiche che il costruttore sarebbe stato in grado di compiere al fine di verificare l’appartenenza del suolo, non potendo desumersi la buona fede dal solo fatto che chi ha costruito era in possesso di una autorizzazione relativa ad altro immobile.
Si e’ stabilito che essa, anche secondo la nozione unitaria data dall’articolo 1147 c.c., non sussiste nel caso di inaedificatio sul suolo altrui, qualora nessun titolo idoneo a trasferire il dominio (o a costituire un diritto reale che consenta la costruzione) possa vantare il costruttore (Cass. 3219/1962), specie se sulla portata e l’ampiezza del titolo invocato a giustificazione del proprio operato non risulti che la parte abbia svolto le doverose verifiche.
4. Il sesto motivo deduce la violazione dell’articolo 936 c.c., affermando che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di merito, la norma non sarebbe applicabile alla luce del principio espresso da un contrario precedente di legittimita’ (sentenza n. 13098/2015), e che la domanda di demolizione era preclusa dal decorso del termine semestrale di decadenza, che doveva farsi decorrere dal completamento dell’opera e non dalla notizia dell’incorporazione.
Si ribadisce che la buona fede non richiedeva la prova del convincimento di essere proprietario, ma solo di non ledere il diritto altrui e di poter edificare in forza del diritto di proprieta’ o di uno ius ad aedificandum.
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Il motivo e’ infondato.
L’articolo 936 c.c. stabilisce che il termine per la scelta tra la demolizione e la ritenzione delle opere decorre dal momento in cui la parte ha notizia dell’avvenuta incorporazione, essendo la norma finalizzata a consentire di effettuare le opportune valutazioni di convenienza e di evitare arricchimenti imposti, il tutto entro un termine perentorio (sei mesi), in modo da superare possibili incertezze in ordine alla sorte dei beni (differenziandosi la previsione in esame dall’articolo 938 c.c., secondo cui e’ tempestiva l’opposizione del proprietario se manifestata entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la costruzione: Cass. 3404/1971).
L’incorporazione – di cui il proprietario del suolo deve avere notizia – si realizza invece, dal punto di vista materiale, quando l’opera sia stata ultimata (non semplicemente iniziata) o quando ne sia stata definitivamente sospesa la realizzazione: prima di tale momento il termine non puo’ in alcun caso decorrere (cfr. Cass. 9616/1991; Cass. 1688/1984; Cass. 3404/1971).
Non e’ fine pertinente il richiamo alla pronuncia di questa Corte n. 13098/2015, che ha attinenza alla diversa fattispecie regolata dall’articolo 938 c.c. e non esclude affatto l’applicabilita’ dell’articolo 936 c.c., dovendo ribadirsi che tale disposizione si applica in caso di costruzione integralmente realizzata sul fondo altrui (Cass. 1917/1981; Cass. s.u. 3351/1984; Cass. 1393/1986; Cass. 3483/1990; Cass. 13539/1992; Cass. 8748/1997; Cass.23707/2014; Cass. 16331/2020).
Quanto alla sussistenza delle buona fede, il motivo e’ infondato per le ragioni gia’ esposte nella disamina della precedente censura.
5. Con il settimo motivo si lamenta la violazione dell’articolo 952 c.c., per aver pronuncia respinto la domanda di usucapione, sostenendo che la ricorrente avesse goduto del bene senza animus possidendi, avendolo realizzato su concessione del locatore e quindi in veste di semplice detentore, mentre proprio il locatore aveva riservato alla ricorrente la proprieta’ della costruzione, ossia il diritto di superficie sul fondo, di natura reale.
L’ottavo motivo denuncia la violazione dell’articolo 1362 c.c. sostenendo che la Corte, nel ritenere che la societa’ avesse realizzato l’opera in qualita’ di mera detentrice in forza del rapporto di locazione, avrebbe interpretato il contratto arrestandosi al solo nomen iuris utilizzato dalle parti, senza indagare la reale volonta’ dei contraenti e senza tener conto del comportamento successivo, avendo la societa’ realizzato l’opera nel (OMISSIS) e posseduto per oltre un ventennio senza alcuna opposizione o contestazione da parte di alcuno.
Il nono motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, per aver la sentenza ritenuto che la ricorrente fosse mera detentrice della costruzione, trascurando il contenuto del contratto dell'(OMISSIS) e le ulteriori circostanze evincibili dalla prova per testi e dai documenti, da cui era emerso che la societa’ aveva posseduto pacificamente il bene per piu’ decenni.
I tre motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono infondati per le ragioni che seguono.
L’indagine in ordine alla natura del diritto attributo alla (OMISSIS) con il contratto perfezionato con il proprietario della particolo (OMISSIS) ha rilievo non gia’ per stabilire se la (OMISSIS) avesse il diritto di costruire in quanto titolare di un diritto di superficie, essendo pacifico che la costruzione era stata realizzata su un suolo appartenente alla resistente (e a terzi), ma al diverso scopo di accertare con quale animus l’opera fosse stata realizzata, ossia nella convinzione o la consapevolezza di esercitare un potere a titolo di detenzione o un diritto di natura reale suscettibile di possesso ad usucapionem.
Con riferimento alla materia del condominio – ma esprimendo principi di valenza generale – le S.U. di questa Corte hanno di recente evidenziato che la concessione del diritto di costruire sul fondo altrui da parte del proprietario puo’ assumere una diversa configurazione, ossia dar vita sia ad un diritto reale, che ad un diritto di natura strettamente personale, cui conseguirebbe, in tale ultimo caso, la costituzione di una situazione di detenzione, insuscettibile di dar luogo all’usucapione, in mancanza di atti di interversione.
In quell’occasione si e’ evidenziato che la questione e’ di mera ermeneutica contrattuale, la cui soluzione compete al giudice di merito, tenuto ad attenersi a precise coordinate interpretative (Cass. s.u. 8434/2020).
Accessione ed il termine perentorio semestrale per la scelta tra la demolizione e la ritenzione delle opere
E’ necessario ricercare l’effettiva volonta’ delle parti, desumibile, oltre che dal nomen juris (di per se stesso non determinante, ma nemmeno del tutto trascurabile nel processo interpretativo), anche da altri elementi testuali (la durata del rapporto, la disciplina negoziale della sorte del manufatto al momento della cessazione del contratto, la determinazione del corrispettivo come unitario o come canone periodico, la regolazione degli obblighi del cessionario in ordine alla manutenzione, l’eventuale richiamo a specifici aspetti della disciplina delle locazioni non abitative), nonche’ da elementi extra-testuali (quali la forma dell’atto e il comportamento successivo delle parti).
A quest’ultimo riguardo possono rilevare, ai sensi dell’articolo 1362 c.c., comma 2, la stipula del contratto per atto pubblico quale indice della qualificazione dell’atto come contratto a effetti reali, o la decisione di procedere alla trascrizione nei registri immobiliari, pur quando il diritto di utilizzazione sia stato concesso per una durata inferiore a nove anni.
Per stabilire se al costruttore sia stato concesso un vero e proprio diritto reale di superficie appare dunque decisiva la volonta’ di attribuire al diritto le caratteristiche tipiche della realita’, costituite dall’efficacia erga omnes (ossia la possibilita’ di farlo valere nei confronti di tutti e non solo del concedente), dalla trasferibilita’ a terzi e dall’assoggettabilita’ al gravame ipotecario (cfr. S.U. 8434/2020, pag. 18).
E’ data alle parti la facolta’ di costituire un diritto di natura personale con rinuncia agli effetti dell’accessione, consentendo al beneficiario di godere e disporre del fabbricato e di asportarlo alla cessazione del rapporto secondo lo schema del contratto atipico di concessione dello jus ad aedificandum ad effetti obbligatori, assimilabile ad una locazione atipica, ove l’interesse prevalente del beneficiario consiste nel realizzare e tenere opere edilizie sul fondo altrui, anche ricostruendole (sono invece irrilevanti gli altri elementi che conformano il concreto regolamento di interessi voluto dalle parti, come le caratteristiche della costruzione dedotta in contratto – stabile o instabile, di maggiore o minore entita’- l’eventuale esistenza di limitazioni del diritto nel tempo, il rapporto intercorrente fra disponibilita’ del fondo e godimento delle costruzioni o addizioni poste in essere).
Nel caso di cui si discute la ricorrente, assumendo di aver acquisito un diritto di superficie, ha inteso valorizzare la durata ventennale del potere esercitato e il fatto che il contratto le riservava la proprieta’ delle costruzioni, entrambi circostanze che non provavano la natura reale del diritto, dato che anche la locazione puo’ svolgersi per periodi prolungati, ad es. per effetto di rinnovazione, mentre l’attribuzione della proprieta’ delle costruzioni in favore del concessionario ha principalmente l’effetto di escludere l’operativita’ dell’accessione.
Nulla riporta il ricorso riguardo alle altre previsioni del contratto (cui questa Corte non ha possibilita’ di accedere, essendo denunciata la violazione di norme sostanziali), ne’ appaiono evidenziati quegli elementi caratterizzanti che – secondo le S.U. – debbono orientare l’interprete nel ricostruire la volonta’ dei contraenti in un senso diverso dalla mera attribuzione di un diritto di carattere personale.
Risulta in definitiva non superabile – alla luce delle solo parziali deduzioni difensive della ricorrente – l’accertamento in fatto svolto dal giudice circa il perfezionamento di un mero contratto di locazione del suolo, allo scopo di installarvi impianti di trasmissione – e in merito all’esercizio di un potere corrispondente ad un diritto di carattere personale.
6. L’unico motivo del ricorso incidentale censura la sentenza per violazione degli articoli 1223, 1226, 2043 e 2697 c.c., per aver respinto la domanda di risarcimento del danno da occupazione abusiva, non considerando che in queste ipotesi il pregiudizio e’ in re ipsa e discende dalla perdita della stessa possibilita’ di godere ed utilizzare l’immobile, non necessitando di una specifica dimostrazione.
Il ricorso e’ infondato.
La pronuncia ha posto in rilievo che la possibilita’ per il giudice di ravvisare il danno da occupazione e di liquidarlo equitativamente non esonera la parte dall’allegazione e dalla prova di fatti indicativi o presuntivi del danno che possano costituire fondamento alla liquidazione equitativa del giudice, evidenziando che la (OMISSIS) non aveva allegato nemmeno in appello alcuna circostanza da cui potesse desumersi il suo interesse ad un uso qualsiasi, anche solo potenziale, del bene.
La decisione appare conforme all’insegnamento delle S.U. secondo cui, in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita e’ la concreta possibilita’, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facolta’ di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale (Cass. s.u. 33645/2022).
E’ evidenziato nella pronuncia che nella comune fattispecie di occupazione abusiva d’immobile e’ richiesta l’allegazione della concreta possibilita’ di esercizio del diritto di godimento andata perduta.
Cio’ significa che il non uso, il quale e’ pure una caratteristica del contenuto del diritto, non e’ suscettibile di risarcimento.
L’inerzia costituisca una manifestazione del contenuto del diritto che resta sul piano astratto, mentre il danno conseguenza riguarda il pregiudizio al bene della vita che, mediante la violazione del diritto, si sia effettivamente verificato.
Alla reintegrazione formale del diritto violato, anche ove esplicatosi nel mero non uso, provvede la tutela reale e non quella risarcitoria. Sono, per tali ragioni, respinti sia il ricorso principale che quello incidentale, con compensazione delle spese di legittimita’.
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Si da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese di legittimita’.
Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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