Le convenzioni tra privati ordine alle modalità di edificabilità

Corte di Cassazione,  civile, Sentenza|15 settembre 2021| n. 24940.

Le convenzioni tra privati ordine alle modalità di edificabilità.

Le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprietà individuali, specie in ordine alle modalità di edificabilità, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprietà attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come “qualitas fundi”, ossia con caratteristiche di realità inquadrabili nello schema delle servitù. Nell’ipotesi, pertanto, di inosservanza della convenzione limitativa dell’edificabilità, il proprietario del fondo dominante può agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell’opera abusiva, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni ex artt. 872 e 873 c.c.. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito secondo la quale l’inosservanza del regolamento consortile cui erano vincolate le parti del giudizio, recante limitazioni alle modalità di edificazione, consentiva al proprietario del fondo dominante di agire nei confronti di quello del fondo servente con un’azione di natura reale per ottenere la demolizione dell’opera abusiva ex art. 1079 c.c.).

Sentenza|15 settembre 2021| n. 24940. Le convenzioni tra privati ordine alle modalità di edificabilità

Data udienza 7 luglio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Proprietà – Rapporti tra confinanti – Distanze legali – Violazione delle norme consortili – Riduzione in pristino – Demolizione delle costruzioni – Presupposti – Competenza giurisdizionale – Collegio arbitrale irrituale – Legge 353 del 1990 – Articoli 872 e 873 cc – Criteri – Motivazione del giudice di merito

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 12434/2017 proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS), e dall’Avvocato (OMISSIS), per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS), e dall’Avvocato (OMISSIS), per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonche’
(OMISSIS), e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), gia’ erede di (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1703/2017 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 14/3/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 7/7/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Le convenzioni tra privati ordine alle modalità di edificabilità

FATTI DI CAUSA

1. Il tribunale di Latina, con sentenza del 20/5/2010, in accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS) con atto di citazione notificato in data 2/1/1997 nei confronti di (OMISSIS) ed (OMISSIS), ha condannato (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), deceduta nelle more del giudizio, in solido, alla riduzione in pristino, mediante demolizione, della costruzione realizzata da (OMISSIS) su un terreno di Luisa (OMISSIS), censito in catasto al f. (OMISSIS), p.lla (OMISSIS), limitrofo al terreno di proprieta’ dell’attrice, compreso nel perimetro del Consorzio (OMISSIS), in quanto edificata in violazione delle norme consortili e delle disposizioni amministrative in tema di edificazione degli edifici.
2. (OMISSIS) ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale deducendo, in rito, l’improponibilita’ della domanda, per essere la controversia di competenza di un collegio arbitrale di tipo irrituale a norma dell’articolo 17 dello statuto consortile cui tutte le parti sono vincolate, e, nel merito, l’infondatezza della domanda proposta dall’attrice, sul rilievo, innanzitutto, che il piccolo manufatto non era lesivo di alcun diritto reale della (OMISSIS) ne’ pregiudicava le disposizioni del regolamento consortile ed, inoltre, che le disposizioni riportate dall’articolo 6 di tale regolamento sono dirette non al singolo consorziato ma al Consorzio al quale attribuiscono il diritto di provvedere all’esecuzione dei lavori di ripristino.
(OMISSIS) ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto, con l’integrale conferma della sentenza appellata. (OMISSIS), (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) ed (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), gia’ erede di (OMISSIS), sono rimasti, invece, contumaci.
3. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello ed ha, per l’effetto, confermato la sentenza impugnata.
La corte ha ritenuto, innanzitutto, che fosse inammissibile l’eccezione di improponibilita’ della domanda per la sussistenza di una clausola di arbitrato irrituale. Tale eccezione, infatti, ha osservato la corte, e’ stata proposta per la prima volta in appello ma, trattandosi di una questione che attiene al merito, non puo’ essere rilevata d’ufficio per cui avrebbe dovuto essere sollevata dalla parte convenuta, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall’articolo 180 c.p.c., comma 2, nel testo in vigore all’epoca dell’introduzione del giudizio. D’altra parte, ha aggiunto la corte, non assume rilievo che l’appellata avesse accettato il contraddittorio sull’istanza, chiedendone il rigetto nel merito, poiche’, nel vigore delle preclusioni di cui alla L. n. 353 del 1990, la questione della novita’ dell’eccezione e’ sottratta alla disponibilita’ delle parti ed e’ pienamente ed esclusivamente ricondotta al rilievo ufficioso del giudice.
La corte, poi, ha ritenuto che fosse infondato il motivo d’appello inerente al merito. La corte, sul punto, dopo aver evidenziato che: – il tribunale, all’esito dell’esame di tutta la documentazione prodotta e dell’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, i cui risultati non sono stati contestati, aveva accertato che il manufatto era stato costruito in violazione sia delle disposizioni amministrative in tema di edificazione degli edifici, sia delle norme consortili previste dagli articoli 8, 9 e 10 del regolamento in atti; – tali norme, in particolare, vietano, tra l’altro, le costruzioni civili, rustiche in muratura, legno o altro materiale, muri di cinta, chioschi, edicole, ecc., senza la richiesta di autorizzazione corredata degli allegati elencati all’articolo 10 ed indirizzata al Sindaco di Sperlonga, firmata dal proprietario o dal suo legale rappresentante, e presentata in copia all’ufficio tecnico del Consorzio; – tale richiesta deve essere seguita da un provvedimento che legittimi il consorziato ad iniziare ed eseguire i lavori secondo le prescrizioni generali o particolari dell’autorizzazione; – il tribunale aveva ritenuto che, nonostante il consulente tecnico d’ufficio non avesse riscontrato la violazione delle distanze legali o di altra norma integrativa che consentisse la riduzione in pristino ai sensi degli articoli 872 c.c. e segg., il regolamento consortile attribuiva vantaggi ed oneri a ciascun fondo con caratteristiche di realita’ inquadrabili nello schema delle servitu’: tali pattuizioni, in particolare, determinando reciproche limitazioni o vantaggi a favore o a carico delle rispettive proprieta’ individuali, specie in ordine alle modalita’ di edificazione, restringono ovvero ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprieta’, attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come qualitas fundi, per cui, in caso di mancata osservanza alla convenzione limitativa della edificabilita’, pur quando tali pattuizioni introducano limiti di costruibilita’ attraverso il rinvio a corrispondenti disposizioni del regolamento edilizio comunale, il proprietario del fondo dominante puo’ agire nei confronti del proprietario del fondo servente con l’azione di natura reale per chiedere ed ottenere, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze delle costruzioni previste dagli articoli 872 e 873 c.c., la demolizione dell’opera abusiva; – il tribunale, in definitiva, aveva affermato che, in caso di violazione del regolamento consortile, poteva trovare applicazione la sanzione della demolizione della costruzione realizzata in spregio dei limiti e delle procedure previste; ha ritenuto che l’appellante non aveva in alcun modo censurato tali argomentazioni, “che riconducono gli obblighi imposti ai consorziati dall’articolo 6 del regolamento alle caratteristiche di realita’ inquadrabili nello schema delle servitu'”, cui il tribunale ha ricollegato la legittimazione del proprietario del fondo dominante, e cioe’ l’attrice (OMISSIS), ad agire nei confronti del proprietario del fondo servente, e cioe’ la convenuta (OMISSIS), con un’azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell’opera abusiva. In effetti, ha osservato la corte, la legittimazione del Consorzio, espressamente prevista dall’articolo 6, comma 4, del regolamento, a provvedere direttamente all’esecuzione dei lavori di ripristino nel caso in cui il consorziato abbia violato le norme citate, non puo’ precludere al singolo consorziato l’esercizio dell’azione per ottenere il provvedimento giudiziale di ripristino previsto dall’articolo 1079 c.c., in tema di servitu’.
La corte, quindi, ha ritenuto che l’appello dovesse essere, in definitiva, respinto, ed ha provveduto a liquidare le spese in base alla soccombenza ed ai valori medi dello scaglione di valore indeterminabile e complessita’ bassa di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, “tenuto conto delle voci della notula in atti”.

 

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4. (OMISSIS), con ricorso notificato il 15/5/2017 (il 14 maggio 2017 e’ stata domenica), ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente notificata in data 15/3/2017.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
(OMISSIS), (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) ed (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), gia’ erede di (OMISSIS), sono rimasti intimati.
La ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie. 5. La Corte, con ordinanza interlocutoria del 26/1/2021, ha rimesso il ricorso alla pubblica udienza.
Il Pubblico Ministero, con conclusioni depositate il 22/6/2021, ha chiesto il rigetto del ricorso.
La controricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la motivazione apparente e/o omessa e/o insufficiente su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello si e’ limitata a richiamare la decisione emessa dal tribunale omettendo di esaminare i punti fondamentali della controversia.
6.2. La motivazione per relationem, infatti, ha osservato la ricorrente, e’ consentita alla condizione che il rinvio sia operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, essendo necessario che dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’identita’ di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto di rinvio.
6.3. Nel caso in esame, al contrario, le doglianze che l’appellante aveva formulato nell’atto di gravame non erano identiche ai motivi della sua resistenza nel giudizio di primo grado, concretandosi, piuttosto, nella enunciazione dei vizi di motivazione della sentenza di primo grado.
6.4. La corte d’appello, invece, ha confermato la sentenza di primo grado motivando la propria decisione semplicemente condividendone la motivazione ed uniformandosi ad essa senza argomentare l’iter seguito per addivenire al proprio convincimento, specie in relazione alle censure addotte dall’appellante in sede di gravame ed al rilievo per cui, vista la natura dell’abuso, era il Consorzio e non il privato a poter intraprendere l’azione nei confronti dei contravventori.
7.1. Il motivo e’ infondato.

 

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7.2. La motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame e’, infatti, legittima tutte le volte in cui il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto, dovendo, piuttosto, essere cassata la sentenza d’appello allorquando la laconicita’ della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. n. 20883 del 2019; Cass. n. 28139 del 2018; Cass. n. 14786 del 2016).
7.3. Nel caso in esame, la corte d’appello, se, da un lato, ha effettivamente motivato il proprio convincimento riproducendo le ragioni espresse dal giudice di primo grado (cosi’ come testualmente esposte in ricorso, a p. 6), ne ha, dall’altro lato, condiviso, con proprio appezzamento, le argomentazioni: li’ dove, in particolare, ha ritenuto che, in caso di violazione delle norme del regolamento consortile, la legittimazione del Consorzio non precludeva al singolo consorziato l’esercizio dell’azione volta ad ottenere dal giudice il provvedimento di ripristino ai sensi dell’articolo 1079 c.c., in tal modo, peraltro, implicitamente ma inequivocamente confrontandosi con le censure svolte dall’appellante (cosi’ come esposte in ricorso, a p. 7), che ha, evidentemente, rigettato (ai fini in esame, non importa se a torto o a ragione), sul rilievo che l’inquadramento dei limiti di edificabilita’ posti dal regolamento consortile nello schema delle servitu’, con argomentazioni non contrastate dall’appellante, escludeva la possibilita’ di invocare il principio secondo il quale la domanda di riduzione in pristino, con il conseguente abbattimento del manufatto, non puo’ essere proposta per il solo fatto che la costruzione sia stata realizzata senza licenza o concessione edilizia.
8.1. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’articolo 12 disp. gen., all’articolo 6 del regolamento consortile ed agli articoli 872, 873 e 1079 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, nonostante la consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio avesse escluso la violazione delle norme sulle distanze o di altra normativa integrativa che consentisse la riduzione in pristino ai sensi degli articoli 872 c.c. e segg., ha ritenuto che la costruzione del manufatto da parte della convenuta in violazione delle norme consortili previste dagli articoli 8, 9 e 10 del regolamento del Consorzio, che prescrivono le modalita’ e le procedure attraverso le quali ottenere dal Comune il titolo abilitativo, vale a dire l’autorizzazione a costruire, consentisse all’attrice la proposizione della domanda di riduzione in pristino.

 

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8.2. Cosi’ facendo, infatti, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello, attraverso un’errata applicazione analogica delle norme previste dagli articoli 872, 873 e 1079 c.c., ha ritenuto di poter equiparare, sostanzialmente, il caso della costruzione realizzata senza alcuna autorizzazione, come quella oggetto della contestazione in esame, in quanto realizzata in violazione delle norme di cui agli articoli 8, 9 e 10 del regolamento del Consorzio, al caso della costruzione realizzata in violazione delle distanze, laddove, in realta’, il manufatto realizzato dalla convenuta non e’ stato costruito in violazione delle norme sulle distanze bensi’ senza autorizzazione edilizia e senza il rispetto delle procedure amministrative contemplate dagli articoli 8, 9 e 10 dello statuto consortile.
8.3. D’altra parte, l’articolo 6 dello statuto individua in modo analitico le opere e gli obblighi cui le parti sono assoggettate al fine di procedere alla costruzione di opere all’interno di zone ricadenti nell’ambito applicativo del Consorzio, stabilendo, pero’, che, in caso di contravvenzioni a tali obblighi, e’ solo il Consorzio e non anche il singolo consorziato ad essere legittimato a richiedere la riduzione in pristino.
8.4. In ogni caso, ha concluso la ricorrente, quando la doglianza dei proprietari interessati in senso opposto alla costruzione eseguita da un vicino e’ fondata solo sull’assenza, come nel caso in esame, della licenza o della concessione edilizia, e cioe’ sulla violazione di norme non richiamate dall’articolo 871 c.c., il privato non ha il diritto alla riduzione in pristino per cui la soluzione della corte d’appello e del primo giudice, che ha legittimato la richiesta di riduzione in pristino da parte dell’attrice mediante la sussunzione delle norme relative all’acquisizione del titolo abilitativo nello schema delle servitu’ e la qualificazione del relativo obbligo tra le qualitas fundi, appare erronea.
9.1. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli articoli 91 e 92 c.p.c. e al Decreto del Presidente della Repubblica n. 55 del 2014, articolo 42, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha liquidato le spese di lite nella somma complessiva di Euro 9.515,00 per compensi, condannando l’appellante alla relativa refusione in favore dell’appellata, vale a dire all’importo complessivamente previsto, nei valori medi, dalla tabella 12 del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, relativamente allo scaglione da Euro 26.000 ad Euro 52.000, per le quattro fasi del giudizio.
9.2. Cosi’ facendo, pero’, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello ha violato il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, lettera b), poiche’ nessuna delle attivita’ previste da tale norma per la fase istruttoria e’ stata effettivamente espletata nel corso del giudizio di secondo grado, con la conseguenza che la sentenza dev’essere cassata nella parte in cui la stessa ha attribuito all’appellata anche gli importi relativi alla fase istruttoria, pari, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 cit., articolo 12, ad Euro 2.900,00.
10.1. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli articoli 345, 808, 808 ter e 180 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto la tardivita’, perche’ proposta per la prima volta solo nel giudizio d’appello, dell’eccezione con la quale l’appellante aveva dedotto l’esistenza della clausola per arbitrato irrituale contenuta nell’articolo 17 dello statuto consortile e la conseguente devoluzione della controversia in questione alla competenza del collegio arbitrale ivi previsto.

 

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10.2. Cosi’ facendo, pero’, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello non ha considerato, innanzitutto, che la questione della proponibilita’ dell’azione pur in presenza della clausola compromissoria faceva parte del thema decidendum del giudizio di primo grado, in quanto dedotta dalla stessa attrice, che ne aveva escluso l’operativita’ in virtu’ della particolare gravita’ attribuita alla violazione delle norme statutarie e regolamentari da parte delle convenute, ed, in secondo luogo, che l’eccezione, con la quale sia dedotta l’esistenza di una clausola compromissaria per arbitrato irrituale, non riguardando una deroga alla competenza dell’autorita’ giudiziaria ma solo l’improponibilita’ della domanda, puo’ essere fatta valere in ogni momento del giudizio secondo le regole proprie dell’eccezione di natura sostanziale e puo’ essere, dunque, proposta per la prima volta anche in appello.
11. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando l’omessa pronuncia della nullita’ del contratto associativo e dell’inopponibilita’ alla stessa del vincolo ivi stabilito, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha dichiarato la nullita’ della clausola contenuta nell’articolo 4 dello statuto consortile a tenore della quale fanno parte del Consorzio i proprietari dei fondi nonche’ i loro eredi o aventi causa, senza, tuttavia, considerare che la clausola in questione, li’ dove prevede la successione automatica della partecipazione associativa non solo agli eredi ma anche agli aventi causa, e’ nulla e che, pertanto, il vincolo associativo non e’ opponibile agli aventi causa dei consorziati che non abbiano espresso la volonta’ di succedere nella partecipazione consortile del loro dante causa.
12.1. Il quarto motivo, da esaminare in via prioritaria, e’ infondato.
12.2. Questa Corte, in effetti, ha ripetutamente affermato il principio secondo il quale l’eccezione d’improponibilita’ della domanda a causa della previsione d’una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, e’ rilevabile solo se proposta dalla parte interessata (Cass. n. 19823 del 2020, in motiv., per cui “l’eccezione di arbitrato irrituale… non e’ rilevabile d’ufficio, ma dalla parte interessata, la quale, vertendosi in materia di diritti disponibili, puo’ rinunziare ad essa, anche tacitamente ponendo in essere comportamenti incompatibili con la volonta’ di avvalersi del compromesso”; Cass. n. 25086 del 2017, in motiv., con riguardo all’eccezione di clausola compromissoria per arbitrato irrituale, e come tale riservata in via esclusiva alla istanza di parte”; Cass. n. 5265 del 2011, la quale ha ritenuto che “l’improponibilita’ della domanda, in conseguenza di compromesso per arbitrato irrituale, e’ rilevabile solo in presenza di eccezione della parte convenuta”; in tal senso, gia’ Cass. n. 10086 del 1998, per cui l’eccezione di arbitrato irrituale, che non e’ vincolata ai limiti dell’eccezione d’incompetenza ma puo’ essere fatta valere in ogni momento del giudizio, dev’essere sempre proposta secondo le regole proprie delle eccezioni di natura sostanziale, sicche’ non e’ rilevabile d’ufficio ma dalla parte interessata, la quale, vertendosi in materia di diritti disponibili, puo’ rinunziare ad essa, anche tacitamente, ponendo in essere comportamenti incompatibili con la volonta’ di avvalersi del compromesso; nel medesimo senso della non rilevabilita’ d’ufficio dell’eccezione di arbitrato irrituale, Cass. n. 870 del 2000).

 

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12.3. Costituiscono, in effetti, eccezioni in senso stretto, rilevabili, cioe’, solo ad istanza di parte e non anche d’ufficio dal giudice, quelle che consistono, al pari delle eccezioni in senso lato, nella deduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato in giudizio ma che, a differenza di queste ultime, il giudice puo’ rilevare come tale solo quando un’espressa disposizione di legge richieda un’iniziativa in tal senso della parte interessata ovvero quando il relativo fatto integratore corrisponda all’esercizio di un diritto potestativo e presupponga, quindi, per essere produttivo di effetti modificativi, impeditivi o estintivi della pretesa attorea, una manifestazione di volonta’ del relativo titolare (cfr. Cass. n. 15591 del 2018; conf., Cass. n. 8525 del 2020; Cass. n. 20317 del 2019; Cass. SU n. 10531 del 2013).
12.4. Ed e’ cio’ che, a ben vedere, accade nel caso dell’eccezione d’arbitrato irrituale, la quale, in effetti, si configura come la deduzione in giudizio di un fatto impeditivo del diritto azionato dall’attore (e cioe’ la convenzione d’arbitrato libero) costituente l’espressione, nell’ambito del processo introdotto da quest’ultimo, del diritto sostanziale a carattere potestativo che spetta al convenuto, quale parte della predetta convenzione, di determinare, per sua esclusiva scelta, che, come tale, si impone alle altre parti (che la subiscono in una situazione di soggezione), l’effetto giuridico di assoggettare la controversia tra loro ad una “determinazione contrattuale” piuttosto che al giudizio dei giudici dello Stato. Si tratta, dunque, di un’eccezione che, proprio in quanto eccezione in senso stretto, non e’ rilevabile d’ufficio dal giudice e non e’, pertanto, deducibile in giudizio per la prima volta solo con l’atto d’appello, trattandosi, appunto, di una possibilita’ che la norma prevista dall’articolo 345 c.p.c., comma 2, riserva soltanto alle eccezioni (in senso lato, e cioe’ rilevabili) anche d’ufficio (cfr. Cass. n. 8525 del 2020; Cass. n. 31638 del 2018; Cass. n. 27998 del 2018; Cass. SU n. 10531 del 2013; in senso contrario, Cass. n. 10240 del 1992; Cass. n. 6439 del 1983; Cass. n. 8399 del 1990).
13.1. Il secondo motivo e’ parimenti infondato.
13.2. Il ricorrente, in effetti, non si confronta con la ratio della decisione assunta: la quale, invero, lungi dal ricondurre la vicenda in esame alla violazione delle norme amministrative che integrano la disciplina in materia di distanze tra le costruzioni contenuta nell’articolo 873 c.c., ha, in sostanza, ritenuto, con statuizione che la ricorrente non ha specificamente censurato se non con la mera dichiarazione del suo dissenso, che il regolamento consortile ha, in realta’, costituito reciprocamente vantaggi a favore ed oneri a carico delle proprieta’ individuali dei singoli consorziati, specie in ordine alle modalita’ di edificazione, con caratteristiche di realita’ inquadrabili nello schema delle servitu’, e che tali pattuizioni, pertanto, pur quando introducano, come nella specie, limiti di costruibilita’ attraverso il rinvio alle corrispondenti disposizioni della normativa edilizia comunale, consentono, in caso di mancata osservanza, al proprietario del fondo dominante di agire nei confronti del proprietario del fondo servente con l’azione di natura reale per chiedere ed ottenere, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione della norme sulle distanze delle costruzioni previste dagli articoli 872 e 873 c.c., la demolizione dell’opera abusiva ai sensi dell’articolo 1079 c.c..

 

Le convenzioni tra privati ordine alle modalità di edificabilità

 

13.3. Questa Corte, invero, ha avuto piu’ volte modo di affermare che le convenzioni tra privati, con le quali si stabiliscono reciproche limitazioni o vantaggi a favore e a carico delle rispettive proprieta’ individuali specie in ordine alle modalita’ di edificabilita’, restringono o ampliano definitivamente i poteri connessi alla proprieta’, attribuendo a ciascun fondo un corrispondente vantaggio e onere che ad esso inerisce come qualitas fundi, ossia con caratteristiche di realita’ inquadrabili nello schema delle servitu’, senza che siffatto carattere venga meno qualora le parti non la menzionino espressamente, e che, pertanto, nell’ipotesi, come quella in esame, di (accertata) inosservanza della convenzione (contenuta, nella specie, nel regolamento consortile) limitativa, con carattere di realita’ (concernendo sin da subito i fondi confinanti), dell’edificabilita’, il proprietario del fondo dominante puo’ agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale per chiedere ed ottenere la demolizione dell’opera abusiva, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni previste dagli articoli 872 e 873 c.c. (cfr. Cass. n. 4770 del 1996; Cass. n. 4624 del 1984).
In effetti, “al fine di accertare se… i contraenti abbiano inteso costituire una servitu’ prediale a vantaggio o a carico di fondi esistenti ovvero dei costruendi edifici, e’ necessario far ricorso al criterio dell’attualita’ e meno dell’utilitas in cui si concreta il contenuto della servitu’, poiche’ se l’utilitas presuppone la costruzione degli edifici, nel senso che, in loro mancanza, il contenuto del rapporto risulterebbe privo dell’inerenza necessaria a dare vita concreta alla servitu’ (come, ad esempio, nel caso di servitu’ di veduta, di stillicidio, di acquedotto per dotare di acqua l’erigenda costruzione), si verte nell’ipotesi contemplate dell’articolo 1029 c.c., comma 2 e, pertanto, il patto costitutivo della servitu’ ha efficacia meramente obbligatoria, in quanto la servitu’ sorge soltanto con la realizzazione della costruzione, mentre, qualora il vantaggio ed il corrispondente peso siano indipendenti da tale realizzazione edificatoria in guisa da inerire direttamente ai suoli non ancora edificati con carattere di realta’ – come si verifica normalmente nelle pattuizioni che, vietando di costruire ad una certa distanza dal confine, limitano, da un lato, l’edificabilita’ del fondo servente, restringendo i poteri di godimento e di utilizzazione inerenti al relativo diritto di proprieta’, e attribuiscono, dall’altro, i corrispondenti vantaggi al contiguo fondo dominante, ancora prima e indipendentemente dalla sua avvenuta edificazione -, si verte nell’ipotesi, prevista dal primo comma del citato articolo, di servitu’ immediatamente costituita con carattere ed effetti reali” (Cass. n. 1267 del 1996, in motiv.; Cass. n. 8227 del 1997; Cass. n. 8885 del 2000; Cass. n. 235 del 1982; Cass. n. 5287 del 1983).
Si tratta di un concetto che questa Corte ha espresso sin dalla sentenza n. 4142 del 1976: quando, in particolare, aveva chiarito che “le pattuizioni con le quali i proprietari di piu’ lotti vicini, compresi in una lottizzazione di aree fabbricabili, stabiliscono i criteri ai quali ciascuno dovra’ conformarsi nell’esecuzione degli edifici da costruirsi, rientrano nella figura della servitu’ a favore o a carico di un edificio da costruire, di cui al capoverso dell’articolo 1029 c.c., tale diritto ha natura reale sin dall’origine, dovendo ritenersi costituito a favore del suolo su cui l’edificio dovra’ sorgere ed al quale mira precisamente ad assicurare i cospicui vantaggi derivanti da una determinata futura utilizzazione edificatoria, che, secondo le comuni regole in materia di rapporti di vicinato tra proprietari confinanti, sarebbe invece vietata”.
I divieti di costruire ad una certa distanza dal confine ovvero quelli di edificare oltre certi limiti comportano, sotto questo profilo, un’immediata limitazione dell’edificabilita’ del fondo (servente), che si sostanzia, per un verso, nella restrizione dei poteri di godimento e di utilizzazione del medesimo e, per altro verso, in un altrettanto immediato accrescimento dell’utilitas del contiguo fondo (Cass. n. 8227 del 1997).
In effetti, le pattuizioni con le quali vengono poste a carico di un fondo ed a favore di altri limitazioni di edificabilita’, restringono permanentemente i poteri connessi alla proprieta’ dell’area gravata e mirano ad assicurare stabilmente e correlativamente particolari utilita’ a vantaggio del proprietario dell’area contigua, sicche’ tali pattuizioni si atteggiano, rispetto ai terreni che vi sono considerati, a permanente minorazione della loro utilizzazione da parte di chiunque ne sia o ne divenga proprietario, ed attribuiscono al fondo vicino un corrispondente vantaggio che a questo inerisce come qualitas fundi, ossia con caratteristiche di realita’ tali da inquadrarsi nello schema delle servitu’, senza che siffatto carattere venga meno qualora le parti non parlino espressamente di servitu’ (Cass. n. 14580 del 2012).
Tale principio trova applicazione anche per l’ipotesi in cui pattuizioni di tale natura siano contenute nelle clausole di uno statuto consortile, onde assicurare all’intera zona particolari caratteristiche di amenita’ o comodita’, ed abbiano introdotto, com’e’ accaduto nel caso di specie, i limiti di costruibilita’ attraverso il rinvio (diretto o indiretto, e cioe’ per il tramite dell’autorizzazione comunale) a corrispondenti disposizioni del regolamento edilizio comunale, atteso che tale richiamo inserisce le stesse nel rapporto convenzionale e le rende operanti nei confronti delle relative parti (cfr. Cass. n. 4399 del 1982).

 

Le convenzioni tra privati ordine alle modalità di edificabilità

 

13.4. I consorzi di urbanizzazione, in effetti, costituiti dai proprietari dei terreni situati in un’area destinata a insediamenti abitativi o turistici proprio per realizzare, mantenere e gestire i servizi e le attrezzature necessarie all’utilizzazione dell’intera area, possono ben avere (e di regola hanno) natura di associazioni atipiche, con aspetti sia associativi che di realita’, derivanti questi ultimi dall’assunzione da parte dei consorziati di obblighi propter rem oppure dalle costituzioni di reciproche servitu’.
L’interesse, comune ai proprietari di terreni situati in aree destinate a insediamenti industriali, abitativi o turistici, a disciplinare l’utilizzazione del comprensorio in vista della sua urbanizzazione, spinge, infatti, i detti proprietari a convenire particolari rapporti associativi, in base ai quali i predetti proprietari si impegnano a realizzare sui propri terreni i servizi e le attrezzature prescritte negli strumenti urbanistici, nonche’ a manutenerli e a gestirli.
I consortisti, in particolare, assumono obblighi propter rem e costituiscono a carico dei terreni siti nel comprensorio (che restano tuttavia di loro proprieta’) una serie di servitu’ reciproche (soggette a trascrizione perche’ siano opponibili ai terzi), allo scopo di assicurare nel tempo il rispetto dei diritti e obblighi che ne derivano (Cass. n. 11218 del 1992).
Ne consegue che, in caso d’inosservanza della pattuita limitazione di inedificabilita’ – come quella contenuta nello statuto del Consorzio nel cui territorio insistono i fondi di proprieta’ delle parti (v. le clausole contenute negli articoli 8, 9 e 10 dello statuto cosi’ come trascritte in ricorso, p. 10) – il (singolo) proprietario del fondo dominante puo’ direttamente agire nei confronti del proprietario del fondo servente con azione di natura reale (confessoria servitutis ex articolo 1079 c.c.) per chiedere ed ottenere la rimessione in pristino ed il risarcimento del danno, non diversamente dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni ai sensi degli articoli 872 e 873 c.c. (Cass. n. 11948 del 1993).
14. Il quinto motivo e’ inammissibile. La ricorrente, in effetti, non illustra, con la dovuta specificita’, per quali ragioni la questione posta (della quale la sentenza impugnata non tratta in alcun modo) la riguardi (e sia, quindi, rilevante ai fini della decisione sull’impugnazione avverso la stessa), in quanto, appunto, in ipotesi, avente causa di consorziato senza aver, a sua volta, aderito al Consorzio, con la conseguente inopponibilita’ nei suoi confronti delle clausole consortili.
15. Il terzo motivo, infine, e’ infondato. La determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, se contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede specifica motivazione e non puo’ formare oggetto di sindacato in sede di legittimita’, se non quando l’interessato specifichi le singole voci della tariffa che assume essere state violate (Cass. n. 7527 del 2002). Il superamento, da parte del giudice, dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura, infatti, un vizio in iudicando e, pertanto, per l’ammissibilita’ della censura, e’ necessario che nel ricorso per cassazione siano specificati i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimita’, senza dover espletare un’ammissibile indagine sugli atti di causa (Cass. n. 20289 del 2015): cio’ che, nel caso di specie, non risulta accaduto.
16. Il ricorso, per l’infondatezza o l’inammissibilita’ di tutti i suoi motivi, dev’essere, quindi, respinto.
17. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
18. La Corte da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte cosi’ provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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