Consiglio di Stato, Sentenza|8 febbraio 2021| n. 1166.
La forma di responsabilità ex art. 2043 si distingue nettamente dall’azione prevista dagli artt. 309 e seguenti del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto quest’ultima, che può essere attivata su impulso di regioni, province autonome, enti locali, persone fisiche o giuridiche, nonché organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente, è finalizzata a tutelare il valore “ambiente”, che costituisce l’oggetto di uno specifico interesse pubblico rispetto a casi di danno o anche di semplice minaccia di danno ambientale. In tal caso, quindi, a differenza di quanto avviene nella domanda di risarcimento per fatto illecito ex art. 2043 c.c., volta a ristorare l’interesse particolare di un soggetto per il danno cagionato alla propria sfera patrimoniale, il bene della vita tutelato in via diretta dal legislatore del decreto legislativo n. 152 del 2006 è l’interesse alla tutela ambientale posto in capo al Ministero dell’ambiente che, su sollecitazione dei soggetti sopra indicati, adotta le necessarie misure di precauzione, prevenzione e contenimento del danno a seguito della apposita valutazione discrezionale che è chiamato a svolgere ai sensi del comma 3 dell’art. 309 d.lgs. Cit. Ad ogni modo, resta ferma la possibilità per i soggetti pubblici e privati sopra indicati di agire ai sensi dell’art. 310 T.U. cit. secondo i principi generali, per l’annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 152/2006, nonché avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell’ambiente e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale, quindi mediante l’esercizio di azioni volta a stimolare iniziative concrete a tutela dell’interesse generale ambientale che risulta essere stato leso. La riconducibilità della richiesta alla responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., presuntivamente causata dalla condotta omissiva delle amministrazioni, implica l’attuazione del generale principio dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., con l’ulteriore conseguenza che la prova dei relativi requisiti incombe sul soggetto che deduce di avere subito il danno.
Sentenza|8 febbraio 2021| n. 1166
Data udienza 14 gennaio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Risarcimento danni – Inquinamento – Incendio deposito di fitofarmaci – Cumulo scorie – Inquinamento – Gravi omissioni in materia di bonifica del territorio per presenza di rifiuti speciali non rimossi – Domanda di risarcimento danni – Per responsabilità delle PP.AA. per illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. – Rigetto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2743 del 2018, proposto dai signori Ci. Tu. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. Del Ga. e Wl. Zi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Del Ga. in Roma, via (…);
contro
il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via (…);
la Regione Campania, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Vi. in Roma, viale (…);
la Asl Napoli 3 Sud, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
la A.R.P.A.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede della rappresentanza della Regione Campania in Roma, via (…);
la Città Metropolitana di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Cr. e Ma. Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Prima n. 4347/2017, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, della Regione Campania, del Comune di (omissis), dell’A.R.P.A.C. e della Città Metropolitana di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, il Cons. Alessandro Verrico;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso n. 263 del 2014 – proposto al T.a.r. Campania, Sede di Napoli, Sezione I, in riassunzione in seguito alla sentenza del 17 settembre 2012, n. 9992, con cui il Tribunale civile di Napoli ha deciso sull’atto di citazione notificato in data 5 marzo 2009, n. 9376/2009, dichiarando il proprio difetto di giurisdizione – gli odierni appellanti, tutti abitanti nel Comune di (omissis), agivano per l’accertamento della responsabilità delle Amministrazioni intimate e per la condanna di esse al ripristino dello status quo ante e al risarcimento del danno, a causa dell’incendio del deposito di fitofarmaci di pertinenza della società Ag. occorso in data 18 luglio 1995 e della successiva permanenza in situ negli anni successivi di un cumulo di scorie residuato dal rogo, coperto da un telone impermeabile ignifugo.
2. Il T.a.r., con la sentenza n. 4347 dell’11 settembre 2017, ha respinto il ricorso ed ha compensato le spese di giudizio tra le parti.
Il T.a.r., in particolare, preliminarmente rilevava che:
a.1) la causa, originariamente instaurata presso il Tribunale ordinario di Napoli, era stata tempestivamente riassunta ai sensi dell’art. 59 l. n. 69/2009;
a.2) i ricorrenti erano legittimati a ricorrere, in ragione della loro qualità di residenti del Comune di (omissis) domiciliati in prossimità dei luoghi ove si è verificato l’evento dal quale si origina la loro pretesa risarcitoria;
a.3) sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 33 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come trasfuso nella l. n. 205/2000, poi confluito nell’art. 133 del c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010), perché sostanzialmente “gli istanti si dolgono della mancata adozione di provvedimenti amministrativi da parte delle competenti autorità (gravi omissioni in materia di bonifica del territorio, per la presenza di rifiuti speciali non rimossi), sia di comportamenti materiali tenuti nella gestione del servizio di raccolta di rifiuti speciali”.
Il T.a.r. nel merito ha premesso che:
b.1) l’azione risarcitoria promossa dagli istanti va ricondotta al modello civilistico dell’illecito delineato dall’art. 2043 c.c., con applicazione del generale principio dell’onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., non venendo in rilievo il danno ambientale di natura pubblica, da intendersi come lesione dell’interesse pubblico all’integrità e alla salubrità dell’ambiente, riservato ex art. 311 d.lgs. n. 152/2006 allo Stato, in persona del Ministero dell’ambiente;
b.2) nel caso di specie, “la pretesa attorea non si è rivelata suffragata da idonei riscontri probatori concludenti nel senso di una responsabilità dell’una, dell’altra o di tutte le autorità amministrative evocate in giudizio”, atteso che non vi è stata prova dell’elemento della colpa dell’Amministrazione, essendo emerso, per converso, che le Amministrazioni hanno assunto, acclarata la totale inerzia del soggetto proprietario del deposito colpito dall’incendio (Ag. s.r.l.), “iniziative potenzialmente idonee alla rimozione del cumulo di scorie e alla bonifica del sito”, e neppure vi è stata la prova del danno conseguenza a carico degli istanti, non essendo emerso alcun danno all’integrità psico-fisica, in quanto le attività di indagine svolte sia in sede giudiziale che extragiudiziale non hanno mai evidenziato una situazione di contaminazione del sito e delle matrici naturali ad esso afferenti (suolo, aria, falda acquifera) tale da costituire un concreto pericolo per la salute dei ricorrenti.
3. Il ricorrente ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario, sostenendo le seguenti censure in tal modo rubricate:
“Lacunosità e contraddittorietà della sentenza tra premessa storica, supporto probatorio (prove acquisite, mancata contestazione, riscontri tecnici e presunzioni) motivazione e conclusioni. Violazione degli artt. 32 della Costituzione e 8 della CEDU così come interpretati dalle Sezioni unite della Cassazione (sentenza n. 2611/2017), 2043-2697-2727-2729 c.c. e 112 – 115 – 116 – 132 cpc, 310 d.lgs 152/2006 connessi e/o consequenziali”; “Illecito civilistico e ripartizione dell’onere della prova. Prove in atti e principio di non contestazione. Riscontri peritali e presunzioni”; “Responsabilità dell’apparato amministrativo, conclamata tossicità del cumulo e sussistenza del danno”; “La responsabilità dell’apparato amministrativo. Relazione della Regione Campania e deduzioni dei ricorrenti, nomina del soggetto verificatore e causa del differimento lavori al 31.1.2018”; “La composizione del cumulo: prodotti stoccati e revocati. Gli effetti sulla salute psicofisica”; “Relazione del Soggetto Verificatore e del C.T.U.”; “Conclusioni peritali”; “Sul diritto alla rimozione del cumulo ed al risarcimento del danno”; “Il danno”.
3.1. Si sono costituiti in giudizio la Città metropolitana di Napoli, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (M.A.T.T.M.), la Regione Campania, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania (A.R.P.A.C.) e il Comune di (omissis).
3.2. La Regione Campania, in particolare, depositando memoria difensiva, ha preliminarmente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, evidenziando che la competenza alla bonifica prima del 2006 era del M.A.T.T.M. e che nel periodo successivo la Regione non ha posto in essere alcuna condotta colpevole; nel merito, l’Amministrazione regionale si è opposta all’appello, rilevando il difetto assoluto di prova del danno, e ne ha chiesto l’integrale rigetto.
3.3. L’A.R.P.A.C., a sua volta, con memoria difensiva:
a) ha eccepito in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva, richiedendo l’estromissione dal giudizio, stante la non impugnabilità degli atti agenziali quali atti endoprocedimentali quindi privi della dovuta lesività ;
b) nel merito, opponendosi all’appello, ha eccepito che gli appellanti non avrebbero dimostrato in cosa sono consistite le omissioni o i ritardi addebitabili all’A.R.P.A.C., né il nesso tra gli eventi di danno e l’attività dell’A.R.P.A.C. ad essa imputabile in termini di dolo o colpa, senza considerare il fatto che l’Agenzia non ha competenze attive, agendo solo su richiesta delle autorità istituzionalmente deputate alla prevenzione, al controllo ed alla vigilanza in materia ambientale, che, nel caso di specie (gestione dei rifiuti) andrebbe individuata nel Comune. Dovrebbe quindi dichiararsi infondata la domanda di risarcimento del danno nei confronti dell’Agenzia appellata.
3.4. Il Comune di (omissis), con proprio memoria, ha anch’esso preliminarmente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, con riguardo alla domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, in merito alla richiesta di bonifica dell’area “Ag.”, che si sarebbe potuta rivolgere esclusivamente nei confronti del Ministero dell’ambiente. Nel merito l’Amministrazione comunale ha evidenziato come la società Ag. al momento dell’insediamento del deposito di fitofarmaci era in possesso della autorizzazione richiesta dalla normativa al tempo in vigore e come il Comune stesso abbia sempre attivamente affrontato la gestione del problema, nell’ottica della sua risoluzione. Il Comune appellato ha infine eccepito l’inammissibilità, per violazione del divieto dei nova in appello, della domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali.
3.5. Il M.A.T.T.M. si è, a sua volta, opposto all’appello, rilevando l’infondatezza delle contestazioni al suo operato, sia in considerazione della mancanza di prova certa di una gestione omissiva, sia in quanto alcuna condotta omissiva gli sarebbe imputabile. Invero, lo stesso non sarebbe competente all’adozione di interventi a tutela di rischi urgenti per la salute pubblica, mentre, per quanto riguarda l’attività di bonifica, si fa presente che l’area ex Ag., entrata a far parte del sito di bonifica di interesse nazionale (SIN) nel 2006, è stata in seguito declassata con decreto dell’11 gennaio 2013 del Ministro dell’Ambiente, con conseguente trasferimento della relativa competenza per le procedure di bonifica alle Regioni.
Ad avviso del Ministero sarebbe inoltre privo di prova il nesso causale fra l’eventuale condotta omissiva illecita dell’amministrazione statale e i danni dei quali si chiede il risarcimento, che avrebbe dovuto riguardare l’effettivo inquinamento diffuso e l’incidenza eziologica dell’eventuale inquinamento sui danni lamentati. Questi ultimi, peraltro, oltre ad essere stati dedotti solo genericamente, non sarebbero stati in alcun modo provati.
3.6. Gli appellanti, dopo aver fornito con produzione documentale del 26 novembre 2020 aggiornamenti sulla vicenda in esame, tra i quali il completamento della rimozione del cumulo di rifiuti in data 20 dicembre 2018, con successive memorie hanno chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere limitatamente alla richiesta di rimozione e hanno insistito in ordine agli ulteriori profili risarcitori, in considerazione degli aggravamenti dello stato dell’aria e della persistente assenza di caratterizzazione e bonifica del sito.
4. All’udienza del 14 gennaio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
5. L’appello risulta in parte improcedibile e in parte è infondato e deve pertanto essere respinto.
6. Con una serie di motivi, gli appellanti lamentano l’erroneità dell’impugnata sentenza:
a) nel non aver considerato che il CTU del giudizio civile, il verificatore nominato dal T.a.r. e le parti stesse sostanzialmente concordano sulla urgente esigenza di rimuovere il cumulo di rifiuti;
b) nell’aver affermato che “la P.A. avrebbe fatto “ciò che poteva””, “che dagli atti non emergesse un concreto ed attuale pericolo” e “che non fosse ravvisabile un danno”;
c) nell’aver rilevato, alla luce di quanto dagli stessi documentato in primo grado sulla totale inidoneità degli interventi e sulla precarietà e sporadicità dei controlli (in assenza di qualsivoglia e neppure dedotto, elemento giustificativo), la proclamata assenza di responsabilità dell'”apparato amministrativo”;
d) nel non aver adeguatamente considerato le indagini svolte dall’ATP Salerno – D’A. – De Fa., su mandato del Comune di (omissis), dal CTU del giudizio civile e dal verificatore ENEA e le risultanze di esse;
e) nell’aver escluso la sussistenza di danni (patrimoniali e non), anche a fronte di ‘dati evidentà, di presunzioni, di fatti notori, delle risultanze peritali e dell’ordine di chiusura del pozzo Ma. perché raggiunto dalle evidenze della contaminazione, danni che avrebbero potuto essere liquidati in via equitativa.
6.1. Le censure non sono fondate.
6.2. Preliminarmente il Collegio, alla luce dell’avvenuto completamento della rimozione del cumulo di rifiuti in data 20 dicembre 2018 come comunicato dagli appellanti, rileva l’improcedibilità della domanda di rimozione avanzata dagli stessi. Il ricorso resta pertanto procedibile limitatamente agli ulteriori aspetti risarcitori.
6.3. Quanto al merito della causa, si può prescindere – in ragione della generale infondatezza del gravame (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5) – dall’esame delle preliminari eccezioni di inammissibilità per difetto di legittimazione passiva sollevate dalle amministrazioni appellate.
Ciò posto, il Collegio intende premettere il corretto inquadramento della fattispecie in esame.
A tal riguardo, si condivide – con le precisazioni che seguono – la qualificazione della domanda risarcitoria effettuata dal primo giudice come volta a riconoscere la responsabilità delle Amministrazioni convenute per illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., come del resto non contestato dalla parte appellante.
Come di recente chiarito da questa Sezione (Cons. Stato, Sez. IV, 20 ottobre 2020, n. 6349), tale forma di responsabilità si distingue nettamente dall’azione prevista dagli artt. 309 e seguenti del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto quest’ultima, che può essere attivata su impulso di regioni, province autonome, enti locali, persone fisiche o giuridiche, nonché organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell’ambiente, è finalizzata a tutelare il valore “ambiente”, che costituisce l’oggetto di uno specifico interesse pubblico rispetto a casi di danno o anche di semplice minaccia di danno ambientale.
In tal caso, quindi, a differenza di quanto avviene nella domanda di risarcimento per fatto illecito ex art. 2043 c.c., volta a ristorare l’interesse particolare di un soggetto per il danno cagionato alla propria sfera patrimoniale, il bene della vita tutelato in via diretta dal legislatore del decreto legislativo n. 152 del 2006 è l’interesse alla tutela ambientale posto in capo al Ministero dell’ambiente che, su sollecitazione dei soggetti sopra indicati, adotta le necessarie misure di precauzione, prevenzione e contenimento del danno a seguito della apposita valutazione discrezionale che è chiamato a svolgere ai sensi del comma 3 dell’art. 309 d.lgs. cit.
Pertanto, le disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 hanno consentito allo Stato di ottenere il risarcimento del danno ambientale da parte del responsabile e “non consentono di ritenere che lo Stato medesimo – o altre pubbliche amministrazioni – di per sé rispondano del danno cagionato ad un singolo proprietario da un illecito cagionato da un terzo: se un soggetto cagiona un danno ad un proprietario, rendendo ‘inservibilè il fondo con una condotta che ne comporta il suo inquinamento, il proprietario danneggiato può agire solo nei confronti dell’autore della condotta illecita, mentre lo Stato è titolare della pretesa risarcitoria per la lesione arrecata all’ambiente e può agire nei confronti del medesimo autore della condotta illecita, nonché nei confronti del proprietario del fondo inquinato, qualora sussistano i relativi presupposti”.
Ad ogni modo, continua la sentenza, resta ferma la possibilità per i soggetti pubblici e privati sopra indicati di agire ai sensi dell’art. 310 T.U. cit. secondo i principi generali, per l’annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 152/2006, nonché avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell’ambiente e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell’attivazione, da parte del medesimo Ministro, delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno ambientale, quindi mediante l’esercizio di azioni volta a stimolare iniziative concrete a tutela dell’interesse generale ambientale che risulta essere stato leso.
6.4. In tali termini ricostruito il rapporto tra l’azione di danno ex art. 2043 c.c. e l’azione di danno ambientale ai sensi del decreto legislativo sopra citato, si ravvisa che l’azione risarcitoria esercitata nel caso di specie dai privati è diretta ad affermare la responsabilità delle amministrazioni convenute (previamente e ripetutamente sollecitate) per non essersi tempestivamente attivate nell’adozione di opportuni rimedi alla situazione venutasi a creare in seguito all’incendio del deposito di fitofarmaci.
Pertanto, la riconducibilità della richiesta alla responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., presuntivamente causata dalla condotta omissiva delle amministrazioni, implica l’attuazione del generale principio dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., con l’ulteriore conseguenza che la prova dei relativi requisiti incombe sul soggetto che deduce di avere subito il danno.
6.5. Ciò premesso in termini generali, si rileva l’infondatezza delle censure mosse alla sentenza di primo grado, atteso il mancato assolvimento da parte degli appellanti dell’onere probatorio, da porre in capo al danneggiato ex art. 2697 c.c., in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale in capo alle amministrazioni convenute ed in considerazione del fatto che, dalle risultanze delle indagini tecniche assunte, emerge un quadro distonico rispetto alle prospettazioni dei presunti danneggiati.
6.5.1. In primo luogo, si rileva che il sito denominato “ex deposito fitofarmaci Ag.”, ubicato nel Comune di (omissis), in data 13 luglio 1995 veniva interessato da un incendio che provocava il collassamento del capannone industriale adibito a deposito di fitofarmaci, determinando una situazione di degrado ambientale e di potenziale pericolo per la salute pubblica a causa della presenza del cumulo di rifiuti combusti.
Il sito (codice sito 3042A500), con il d.m. 31 gennaio 2006, veniva incluso nel perimetro del sito di bonifica di interesse nazionale (SIN) del “Litorale Do. Fl. e Ag. Av.”, individuato ai sensi dell’art. 1, comma 4, della l. 9 dicembre 1998, n. 426, e successivamente, con d.m. n. 7 dell’11 gennaio 2013, veniva declassificato a sito di interesse regionale (SIR).
A fronte delle presunte omissioni lamentate da parte appellante, il Collegio, dall’esame degli atti del giudizio, riscontra che, in seguito all’incendio, molteplici sono state le meritorie attività svolte dalle Amministrazioni interessate e dai soggetti da queste incaricati, finalizzate alla bonifica dello stesso o, quantomeno al contenimento del rischio paventato per l’ambiente e per la salute pubblica.
6.5.2. Invero, dall’analisi, in senso cronologico, degli atti emerge che:
i) inizialmente, in attuazione della normativa allora vigente (d.lgs. n. 22/97 e il relativo decreto di attuazione d.m. n. 471/99), il Comune di (omissis), quale soggetto territorialmente competente in materia di bonifica dei siti inquinati:
i.i) con ordinanza n. 4759 del 31 maggio 2001, diffidava il soggetto obbligato inadempiente, individuato dal Comune stesso nell’azienda “Ag.”, in qualità di responsabile dell’inquinamento nonché proprietario dell’area, a provvedere alla rimozione, all’avvio al recupero ed allo smaltimento dei rifiuti presenti sull’area medesima nonché al ripristino dello stato dei luoghi e agli eventuali interventi di bonifica;
i.ii) con intervento posto in danno al soggetto obbligato, provvedeva alla messa in sicurezza d’emergenza dell’area, ricoprendo con un telo in HDPE l’intero volume del cumulo esistente, al cui bordo veniva predisposto un canale di drenaggio delle acque piovane con recapito finale nelle fogne comunali;
ii) il Commissario di Governo per l’emergenza bonifiche e tutela delle acque nella Regione Campania, con ordinanza n. 500 del 17 ottobre 2001, stanziava la somma forfettaria di euro 80.000,00 per la redazione della “Caratterizzazione, progetto preliminare e esecutivo di bonifica necessari per la messa in sicurezza e bonifica del deposito di fitofarmaci Ag.”;
iii) il Comune di (omissis), con determina n. 15 del 21 marzo 2003, affidava ad un A.T.P l’incarico di redigere il piano della caratterizzazione ed i progetti preliminare, definitivo ed esecutivo per la messa in sicurezza e bonifica dell’area e, con successiva determina n. 78 del 15 marzo 2004, assegnava l’esecuzione delle indagini e delle analisi per la caratterizzazione dell’area;
iv) in seguito alla trasmissione dei risultati della caratterizzazione dell’area, la conferenza dei servizi tenutasi a livello locale in data 14 dicembre 2005 approvava il progetto di bonifica, consistente nella sola rimozione dei rifiuti presenti nell’area;
v) acquisiti i “Risultati analisi e progetto di Bonifica Stabilimento Comune di (omissis)”, la conferenza di servizi istruttoria del 24 ottobre 2006, svoltasi in sede centrale, osservava che il “progetto di bonifica” si riferiva in realtà ad una operazione di rimozione di rifiuti ai sensi dell’art. 192, Titolo 1 – Capo I della Parte Quarta del d.lgs. 152/2006, richiedendo pertanto al Commissario delegato di Governo di procedere alla rimozione dci rifiuti combusti e di trasmettere, successivamente alle operazioni di rimozione e smaltimento dei rifiuti, il piano di caratterizzazione dei suoli sottostanti i rifiuti rimossi, elaborato in danno, previa messa in mora, del soggetto inadempiente;
vi) in seguito, la conferenza di servizi decisoria del 1° marzo 2007 richiedeva all’azienda Ag. s.r.l. la rimozione dei rifiuti combusti presenti nell’area ed al Commissario delegato di Governo, in caso di inadempienza dell’azienda, di attivare i poteri sostitutivi in danno del medesimo soggetto inadempiente;
vii) il Commissario delegato, dopo la sottoscrizione dell’atto aggiuntivo rep. n. 13/07, affidava alla società Ja. Im. S.p.A. la messa in sicurezza, caratterizzazione e la bonifica del sito, la quale, in data 19 ottobre 2009 attivava un sistema di bioventing preliminare all’asportazione dei rifiuti, in seguito interrotto dopo la rescissione del contratto (dal 12 novembre 2009);
viii) con nota prot. n. 9327 del 6 settembre 2012, indirizzata al MATTM, il Comune di (omissis) comunicava che in data 5 settembre 2012 erano stati ultimati i lavori di manutenzione sul telo posto a copertura del cumulo e che il telo risultava integro in ogni sua parte;
ix) in data 18 dicembre 2012 – tra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Regione Campania e il Comune di (omissis) – veniva sottoscritto l’Accordo di Programma “Primi interventi urgenti per il risanamento ambientale, mediante rimozione, smaltimento di rifiuti e caratterizzazione del suolo sottostante i rifiuti rimossi, dell’area “Ex deposito fitofarmaci Ag.”” (successivamente approvato con decreto del Presidente della Regione Campania n. 8 dell’11 gennaio 2013), che, all’art. 3, individuava la Regione Campania ed il Comune di (omissis) quali soggetti attuatori degli interventi di predisposizione di un piano di smaltimento dei rifiuti, prelievo, trasporto e smaltimento dei rifiuti, predisposizione del Piano di Caratterizzazione ed esecuzione delle indagini di caratterizzazione ed analisi;
x) a seguito del trasferimento alla Regione Campania le competenze dell’ex SIN Litorale Do. Fl. ed Ag. Av. (in ragione della citata declassificazione di cui al d.m. n. 7 dell’11 gennaio 2013), in data 20 gennaio 2015 con decreto dirigenziale n. 24 la Regione:
x.i) approvava il progetto preliminare denominato “Lavori per il risanamento ambientale del deposito di fitofarmaci – Ag. – nel Comune di (omissis) mediante rimozione, trasporto, recupero/smaltimento dei rifiuti e indagini ambientali”;
x.ii) faceva eseguire alla citta GEOS le attività di bioventing in data 8 luglio 2014;
x.iii) teneva la gara di appalto per la scelta dell’operatore economico che avrebbe dovuto effettuare la rimozione del cumulo di rifiuti;
xi) infine, il cumulo di rifiuti veniva infine rimosso, con conclusione delle operazioni di asporto in data 20 dicembre 2018.
6.5.3. L’esame della cronologia dei fatti induce pertanto a ritenere che, a seguito dell’incendio del deposito di fitofarmaci, le varie amministrazioni in qualche modo coinvolte nelle attività di caratterizzazione e bonifica, stante l’inadempimento del soggetto obbligato, intervenivano a più riprese e in maniera sostanzialmente continuativa con l’obiettivo di mettere in sicurezza e di effettuare un controllo della presenza di sostanze inquinanti nelle matrici ambientali circostanti il cumulo di scorie residuato al rogo (a tal ultimo riguardo rilevano, in particolare, le analisi dell’aria in prossimità del deposito effettuate nell’immediatezza dell’incendio da parte del servizio SCIA dell’ASL NA1, i campionamenti di suolo e di prodotti ortofrutticoli effettuati nei giorni successi dall’ASL NA4 ed il successivo avvio di un’attività di controllo di durata pluriennale sulla qualità delle acque di falda).
Nessun rimprovero può essere fondatamente mosso nei confronti delle Amministrazioni appellate, che si sono attivate – pur nell’inerzia del soggetto privato responsabile – per reperire le necessarie risorse economiche e per porre in essere le misure resesi necessarie: poiché in materia per le Amministrazioni rileva il principio di esigibilità, nella specie non emergono elementi che possano indurre a ritenere che tale principio sia stato violato.
Inter alia, merita menzione l’intervento di iniziale messa in sicurezza d’emergenza, tempestivamente effettuato successivamente al verificarsi dell’incendio, consistente nella copertura del deposito con un telone impermeabile ignifugo, il quale, impedendo il dilavamento del cumulo da parte delle piogge, limitava il rischio di inquinamento delle falde e, ostacolando l’allontanamento delle sostane volatili dal cumulo, riduceva l’inquinamento delle emissioni gassose.
6.5.4. Tali considerazioni conducono pertanto ad escludere la sussistenza nel caso di specie di una condotta illecita, peraltro a fronte di un difetto di prova – da parte degli appellanti – di uno specifico comportamento omissivo, avendo essi infondatamente dedotto al riguardo una generale inerzia delle amministrazioni nella risoluzione del problema, nonché della mancata individuazione del soggetto responsabile, avendo essi agito in maniera (pressoché ) indistinta nei confronti di tutte le amministrazioni in qualche modo coinvolte dalla vicenda.
6.6. Ciò posto, benché possa risultare irrilevante l’esame degli ulteriori motivi svolti dalla parte appellante avverso la statuizione della sentenza di primo grado che ha stabilito l’insussistenza del pregiudizio da risarcire, il Collegio ritiene parimenti insussistente tale ulteriore presupposto dell’illecito aquiliano, alla luce, da un lato, del difetto di prova da parte dei presunti danneggiati, dall’altro, delle conclusioni delle indagini peritali assunte agli atti del giudizio.
6.6.1. Invero, tanto la verificazione espletata in primo grado quanto, ancor prima, la consulenza tecnica d’ufficio del giudizio civile, sebbene presentino alcune divergenze tra loro, hanno come dato comune quello di non aver raggiunto alcuna certezza in ordine alla presenza di sostanze inquinanti nelle acque, nel suolo e nell’aria delle zone circostanti il cumulo di scorie residuato al rogo, idonee a ledere la salute sotto il profilo del nesso causale.
6.6.2. Il c.t.u. concludeva infatti per escludere l’accumulo di inquinanti nell’ambiente circostante e poneva solo in termini dubitativi la presenza di una fonte di rischio per la salute degli abitanti delle zone circostanti, rilevando, inter alia, che “non si evidenzia uno stato di inquinamento della falda acquifera, attribuibile al cumulo residuo dell’incendio dell’Ag.”, la concentrazione di rame nel suolo superiore ai valori limiti previsti nell’Allegato 1 del d.m. 471/99 “potrebbe essere attribuita al deposito di sostanze sprigionatesi dall’incendio”, “nel complesso i risultati delle indagini, effettuate per valutare l’impatto inquinante indotto dall’incendio dell’Ag. nell’ambiente circostante, non segnalano alcun accumulo significativo di sostanze inquinanti nelle varie matrici ambientali”.
6.6.3. Parimenti, dall’analisi del verificatore, tra le varie considerazioni, emerge che:
a) il controllo alla qualità dell’aria effettuato dall’ASL durante l’incendio attestava “condizioni… definite soddisfacenti”;
b) nel monitoraggio svolto nel 2011-2012 l’ARPAC rilevava superamenti dei limiti di legge per il benzene “in un punto dove, però, questo viene attribuito a intenso traffico urbano”;
c) dalla campagna di monitoraggio svolta dal 1995 dall’ASL NA4 risultava che “la presenza di elevati valori di solfati e fluoruri viene attribuita a valori di fondo naturale mentre i nitrati ad azoto di origine fecale” e, in conclusione, che “non vi sia stata contaminazione della falda”;
d) dai prelievi di suolo emergevano “concentrazioni di rame superiori ai limiti, mentre gli altri prelievi hanno valori nella norma”, così come sui campioni di patata, insalata, pomodoro, pesche “non vengono rilevate concentrazioni anomale”;
e) relativamente ai gas interstiziali, la ditta JA. nel 2008 rilevava solo “deboli anomalie” in alcune sostanze e superamenti dei limiti emissivi solo in qualche punto per ammoniaca, idrogeno solforato, etilbenzene, xileni, 1,2,4-trimetilbenzene, n-esano.
In conclusione, il verificatore ha escluso la sussistenza di particolari criticità legate al sito, sebbene sottolineando il carattere non esauriente dei dati a disposizione, i quali, di certo, non hanno trovato completamento nelle allegazioni di parte appellante. D’altro canto, le eventuali contaminazioni dell’area prossima al deposito dallo stesso verificatore sono state paventate solo in termini ipotetici e di verosimiglianza.
6.7. Le anzidette considerazioni conducono, quindi, ad escludere forme di responsabilità in capo alle amministrazioni appellate, stante l’assenza dei presupposti ex art. 2043 c.c. ed in particolare – e soprattutto – della condotta illecita, oltre che del nesso causale e del danno.
7. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.
8. Le spese del secondo grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello R.G. n. 2743/2018, come in epigrafe proposto, lo respinge, perché in parte improcedibile e in parte infondato.
Condanna gli appellanti in solido al pagamento in favore delle amministrazioni appellate delle spese del secondo grado di giudizio, nella misura di euro 1.000,00 (mille/00) per ciascuna Amministrazione intimata, per un importo complessivo di euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge se dovuti, con vincolo di solidarietà passiva e con esclusione della solidarietà attiva. Quanto alla refusione in favore del Comune (omissis), le spese dovranno essere distratte in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2021 svoltasi ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Michele Pizzi – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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