Consiglio di Stato, Sentenza|5 febbraio 2021| n. 1101.
Il divieto concorrenziale trova fondamento nella “speciale responsabilità ” delle imprese private, dotate di un forte potere economico di mercato, di non permettere che il loro comportamento ostacoli una concorrenza realmente competitiva e priva di distorsioni nel mercato comune. Affinché una condotta di un’impresa dominante trasmodi in un abuso sanzionabile ai sensi dell’art. 102 TFUE devono sussistere tre criteri: la posizione dominante (individuale o collettiva), lo sfruttamento abusivo della stessa e l’assenza di giustificazioni obiettive e preminenti sugli effetti restrittivi della concorrenza.
Sentenza|5 febbraio 2021| n. 1101
Data udienza 11 aprile 2019
Integrale
Tag – parola chiave: Impresa del Gruppo FS – Gestione delle rete ferroviaria nazionale – Servizio di trasporto passeggeri – Assegnazione delle tracce orarie – Programmazione del trasporto pubblico locale – D.lgs. 19 novembre 1997 n. 422 – Art. 59, L. 23 luglio 2009 n. 99 – AGCM – Sanzione per abuso di posizione dominante nel mercato del trasporto ferroviario passeggeri – Violazione dell’art. 102 TFUE – Illecito anticompetitivo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso NRG 5829/2014, proposto da AGCM – Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…),
contro
– Fe. dello St. It. s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti El. Sc., Ma. Si., Lu. To., Pa. Go., Va. Ve. e G. Ce. Ri., con domicilio eletto in Roma, viale (…) (Studio Legale To.),
– la Re. fe. it.-RF. s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Gu. Be. e Gi. Mi. Ro., con domicilio eletto in Roma, via (…) e
– Tr. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pi. Fa., An. Li. e Sal. Sp., con domicilio eletto in Roma, via (…) (Studio Gi. Or.) e
nei confronti
– del Coordinamento di associazioni per la tutela dell’ambiente e dei diritti dei consumatori – Codacons, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gi. Gi.e Ca. Ri., con domicilio eletto in Roma, v.le (…) (Ufficio legale Nazionale Codacons) e
– di Altroconsumo-Associazione indipendente di consumatori, Ar. s.p.a. e Fallimento Ar. s.p.a., corrente in Torino, in persona dei rispettivi legale rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio,
per la riforma
della sentenza della sentenza del TAR Lazio, sez. I, n. 3398/2014, resa tra le parti e concernente l’irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria per abuso di posizione dominante;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio solo delle Società intimate e del Codacons;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica dell’11 aprile 2019 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Li. (anche per delega di Ri.), Be., Si. e Ad. (per delega di Ri.) e l’Avvocato generale dello Stato Pa.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
1. – Nell’aprile del 2008, l’impresa ferroviaria Ar. s.p.a. (ora in fallimento), corrente in Torino, chiese a RF. s.p.a., impresa del Gruppo FS responsabile della gestione delle rete ferroviaria nazionale, l’assegnazione delle tracce orarie necessarie per lo svolgimento del servizio di trasporto passeggeri sulle relazioni Novara-Vercelli-Torino-Asti-Alessandria (via passante di Torino) e Alessandria-Pavia-Milano-Novara (via passante di Milano), con riguardo all’orario di servizio 14 dicembre 2008-12 dicembre 2009, quantunque, come consta in atti, il primo certificato di sicurezza valido per i servizi sulle tratte in questione le sarebbe stato rilasciato il 24 marzo 2010.
Iniziato il relativo procedimento, il 13 maggio 2008 la RF. aprì una consultazione con le coinvolte Regioni Piemonte e Lombardia, in relazione alla loro competenza in materia di programmazione del trasporto pubblico locale ai sensi del D.lgs. 19 novembre 1997 n. 422. In quel contesto, tali Regioni, che nel frattempo avevano stipulato con l’impresa ferroviaria del Gruppo FS (Tr. s.p.a.) dei contratti di servizio di trasporto pubblico regionale, formularono alquante condizioni cui si sarebbe adeguare Ar. nella prestazione del suo servizio. Avendo quest’ultima reiterato la richiesta di tracce orarie ma con riguardo all’orario di servizio 13 dicembre 2009-11 dicembre 2010 (inizio del servizio: dicembre 2009), il 13 agosto 2009 la RF. le trasmise un progetto d’orario pure in base alle esigenze dalle Regioni interessate, ma essa lo respinse, essendo insoddisfacente rispetto al proprio progetto originario.
Sicché, da un lato, RF. ripropose un’altra ipotesi di tracce orarie che conciliasse le esigenze di dette Regioni e quelle di Ar. e, dall’altro, questa chiese che l’assegnazione delle tracce fosse posposta, non essendo ancora arrivato il certificato di sicurezza, all’orario di servizio 12 dicembre 2010-10 dicembre 2011.
Tuttavia, pendente ancora il procedimento de quo, entrò in vigore l’art. 59 della l. 23 luglio 2009 n. 99, in virtù del quale lo “… svolgimento di servizi ferroviari passeggeri in ambito nazionale… può essere soggetto a limitazioni nel diritto di far salire e scendere passeggeri in stazioni situate lungo il percorso del servizio, nei casi in cui il loro esercizio possa compromettere l’equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico in termini di redditività di tutti i servizi coperti (co. 2)…”. Il successivo co. 3 stabilì che l’allora Ufficio per la regolazione dei servizi ferroviari-URSF presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti-MIT “… entro due mesi dal ricevimento di tutte le informazioni necessarie, stabilisce se un servizio ferroviario rispetta le condizioni ed i requisiti di cui ai commi 1 e 2 e, se del caso, dispone le eventuali limitazioni al servizio, in base ad un’analisi economica oggettiva e a criteri prestabiliti, previa richiesta: a) del Ministero…; b) del gestore dell’infrastruttura; c) della o delle regioni titolari del contratto di servizio pubblico; d) della impresa ferroviaria che fornisce il servizio pubblico…”. L’art. 3-septies della dir. n. 91/440/CE, come novellata dalla dir. n. 2007/58/CE previde, oltre alle citate limitazioni, pure il pagamento, a carico delle IF non sussidiate, d’un contributo a favore delle Regioni sussidianti per l’attività di trasporto passeggeri interferenti coi CdS.
Con istanza del 13 maggio 2010, la RF. chiese allora all’URSF un parere sull’eventuale interferenza del progetto di servizi di Ar. con quelli di cui ai contratti di servizio pubblico – CDS con le Regioni coinvolte. Giova sul punto rammentare che, in base all’ultimo accordo-quadro vigente al tempo dei fatti di causa, il livello dei corrispettivi pagati dalle singole Regioni a Tr. per i CdS inerenti al trasporto pubblico locale – TPL era calcolato in modo che remunerasse non solo i costi eccedenti i ricavi di traffico, ma anche un equo margine di utile, all’uopo inserendo tra le voci di costo il c.d. “costo del capitale investito”, valutato al 6,736% del costo medio ponderato del capitale in base all’apposita delibera del Nucleo per l’attuazione e regolazione dei servizi di pubblica utilità – NARS.
Il 19 maggio 2009, l’URSF avviò il procedimento per verificare la compromissione dell’equilibrio economico dei tali contratti, in seno al quale Tr. s.p.a. produsse una relazione tecnica su tali aspetti (5 agosto 2010). Questa concluse che “… anche una minima perdita della quota di mercato contendibile causa la perdita della metà del risultato netto del bacino preso a riferimento… (e)… compromette l’equilibrio economico del contratto di servizio pubblico in termini di redditività dell’impresa ferroviaria Tr….”.
In tal frangente, il 31 maggio 2010 Ar. chiese un ulteriore differimento al successivo giorno 5 settembre per l’inizio del servizio, cui la RF. rispose trasmettendole un nuovo progetto orario, poi più volte modificato. Invero, nell’agosto 2010 e per il tramite d’altra impresa ferroviaria, Ar. chiese a RF. tracce orarie per la tratta (omissis), per il transito dalla Romania fino alla stazione di Arquata Scrivia delle nuove carrozze non ancora immatricolate da adibire all’avvio del servizio, immatricolazione che, dopo talune vicissitudini, avvenne il successivo 2 novembre.
2. – Il successivo giorno 9, l’URFS notificò alla RF. e ad Ar. la decisione conclusiva del procedimento ex art. 59, co. 3 della l. 99/2009 -nel quale era stata chiamata a riferire ed a produrre documentazione pure Tr. s.p.a., corrente in Roma -, stabilendo che le tracce assegnabili fossero limitate ai soli capisaldi (Milano e Torino) della tratta richiesta, senza fermate intermedie, in caso contrario assumendo il servizio carattere “regionale” e compromettendo l’equilibrio economico dei contratti di servizio pubblico in essere.
Il 12 novembre 2010, fu stipulato il contratto di utilizzo dell’infrastruttura tra RF. ed Ar., il cui servizio iniziò ad esser fornito dal successivo giorno 15.
Il 17 (da parte di Altroconsumo) ed il 23 novembre 2010 (dal Codacons) pervennero all’AGCM due segnalazioni con le quali tali associazioni consumeristiche, censurando detta decisione dell’URSF e dolendosi dell’esistenza di barriere all’entrata di natura normativa-regolamentare nel settore del trasporto ferroviario passeggeri in Italia, chiesero che l’Autorità accertasse tali fatti ed il sostegno del MIT alle posizioni di Tr..
Pertanto, il 15 dicembre 2010 1’Autorità avviò il procedimento istruttorio A436 verso FS s.p.a. e RF. s.p.a., per accertare l’esistenza di comportamenti restrittivi della concorrenza, consistenti nell’ostacolare, con pregiudizio per il consumatore finale, l’accesso della newcomer Ar. alla infrastruttura ferroviaria nazionale e del conseguente suo ingresso nel mercato italiano del trasporto ferroviario passeggeri, favorendo così la controllata di FS, Tr. s.p.a. In particolare, a partire dalla prima richiesta di tracce da parte di Ar. (aprile 2008) e fino alla sottoscrizione del contratto tra essa e RF. s.p.a. il 12 novembre 2010, quest’ultima tenne comportamenti consistenti, dapprima, nell’uso strumentale d’una procedura di consultazione che coinvolse le Regioni Piemonte e Lombardia e la Dir. gen. trasporto ferroviario del MIT e, quindi, l’URSF. Ciò ritardò in modo significativo la conclusione del procedimento per l’assegnazione delle tracce, nonostante le ripetute sollecitazioni da parte del MIT e dell’URSF, ritardo accentuato, dal maggio 2010, dalla soggezione, indebita e strumentale, dell’assegnazione delle tracce orarie ad Ar. alle decisioni dell’URSF in relazione al citato art. 59, commi 2 e 3 della l. 99/2009.
Il 23 settembre 2011, dopo lo svolgimento di accertamenti ispettivi presso le sedi di FS, RF. s.p.a. e Tr. s.p.a., l’Autorità estese pure a quest’ultima detto procedimento. Avverso il provvedimento di avvio e gli atti ispettivi, la FS s.p.a. e RF. s.p.a. proposero distinti ricorsi al TAR Lazio, respinti con le sentenze n. 864 (FS) e n. 865 (RF.) del 26 gennaio 2012. Il 9 marzo 2012, RF. e Tr. presentarono impegni ai sensi dell’art. 14-ter della l. 10 ottobre 1990 n. 287, per far venir meno i profili anti-concorrenziali oggetto del procedimento, subito respinti dall’Autorità (provvedimento n. 23429 del 21 marzo 2012), in quanto ritenuti inidonei a far venir meno i profili illeciti (a causa delle caratteristiche dell’abuso contestato) e tardivi rispetto alla fase d’avvio dell’istruttoria.
Col provvedimento n. 23770 del 25 luglio 2012 ed ai sensi dell’art. 14 della l. 287/1990, l’Autorità chiuse il procedimento istruttorio A436, avendo questo dimostrando la natura abusiva dell’articolata condotta posta in essere dal Gruppo FS in violazione dell’art. 102 TFUE e stabilendo: a) di diffidare tali imprese dal porre in essere in futuro un comportamento ana a quello dell’illecito accertato; b) d’irrogare, in solido, a FS s.p.a. ed a RF. s.p.a. una sanzione amministrativa pecuniaria pari nel complesso a Euro 100.000 e, in solido, a FS s.p.a. e Tr. s.p.a. una sanzione pari a Euro 200.000.
3. – Avverso tal statuizione e gli atti connessi, dette Società proposero tre distinti ricorsi (NRG 9330/2012 – FS; NRG 9681/2012 – RF.; NRG 9756/2012 – Tr.) innanzi al TAR Lazio.
Quest’ultimo, previa riunione dei citati ricorsi e con sentenza n. 3398 del 27 marzo 2014, accolse la pretesa azionata, in quanto:
a) la competenza dell’AGCM coesisteva con quella dell’URSF, ente di settore per i servizi ferroviari (individuato dall’art. 37 del D.lgs. 8 luglio 2003 n. 188 qual soggetto regolatore ex art. 30 della dir. n. 2000/14/CE), stante la diversa finalità delle funzioni svolte dai due Istituti, come d’altronde accade anche per altri settori;
b) riferito in apicibus l’iter argomentativo di AGCM, non si ravvisò la strumentalità, cioè l’assenza d’ogni plausibile ragione, nella consultazione tra RF., le Regioni interessate ed altre Amministrazioni, con riguardo sia all’eventuale rilevanza regionale dei servizi Ar. (ed alla loro riconducibilità alla programmazione ed all’amministrazione regionale ex art. 3 del D.lgs. 422/1997), sia alla vicenda Metroferro (quando, cioè, non era ancora prevista una vera e propria procedura consultiva, ma il MIT riconobbe la competenza delle regioni interessate a esprimersi sul processo d’allocazione delle tracce, sì prudenziale, ma non tale da elidere ogni dubbio sulla necessità dell’attuale coinvolgimento delle Regioni), sia alla possibile interferenza tra i servizi di Ar. (percorso interregionale, riferito ai passeggeri periodici o pendolari tra i capoluoghi e i centri principali situati sugli assi Torino-Milano-Alessandria) e quelli dell’operatore titolare del servizio pubblico contribuito da tali Regioni;
c) solo a seguito delle limitazioni disposte son venute meno, tra l’altro, le interferenze coi servizi regionali contribuiti, onde evidente furono l’interesse regionale sulla questione e l’esistenza delle sottese ragioni giustificative;
d) le regioni Piemonte e Lombardia non solo non declinarono la loro competenza a esprimersi sulle questioni de quibus, ma anzi ne sollevarono d’ulteriori circa le modalità d’accesso al mercato della Ar., specie con riguardo alle condizioni tariffarie per non creare una possibile interferenza tra servizi liberi e quelli del contratto di servizio regionale, se del caso mediante un contributo a carico dei primi che mantenesse l’equilibrio economico del trasporto regionale sovvenzionato, onde non vi furono pareri favorevoli delle Regioni tali da consentire l’immediata conclusione della procedura a favore di Ar., come in pratica si poté evincere pure dalla nota di risposta del MIT a RF. in data 10 novembre 2008;
e) quantunque fosse vero che con detta nota il MIT comunicò a RF. d’avere inserito una clausola di salvaguardia nel dispositivo dell’autorizzazione ad Ar. (sufficiente monitorare il rischio di compromissione dell’equilibrio economico), la nota stessa confermò la correttezza dell’avvenuto coinvolgimento regionale nella vicenda e prospettò una possibile imminente modifica al quadro regolatorio, risolutiva dei problemi, evidentemente seri, sollevati da RF.;
f) anche l’URSF, con nota del 14 gennaio 2009, ritenne impossibile stabilire in quale ambito di riferimento (nazionale o regionale) si collocassero i servizi di Ar., cosa, questa, necessaria per individuare la normativa di riferimento, pure per la competenza a provvedere e a risolvere le sottostanti questioni;
g) di fatto l’AGCM si sostituì all’URSF nell’analisi regolatoria delle questioni d’accesso alla rete, esprimendo, cioè, una valutazione di merito sull’impatto dei servizi di Ar. sull’equilibrio del servizio pubblico svolto da Tr., ponendosi in contraddizione con quanto ritenuto dall’URSF sul corretto di un criterio di calcolo del profitto (sottrazione del costo del capitale investito), giacché il provvedimento s’incentrò per tal parte su come si sarebbero dovuti interpretare il citato art. 59 e le Linee guida URSF e su come dunque andava condotta l’analisi regolamentare sulla compromissione dell’equilibrio economico del servizio pubblico.
4. – Appellò quindi l’AGCM, col ricorso in epigrafe, ribadendo in primo luogo la peculiarità della vicenda in esame, in cui la definitiva impossibilità d’accedere al mercato, peraltro ancora in una fase di prima apertura alla concorrenza, dipese non dall’esistenza di comportamenti ostativi da parte dell’incumbent, ma in esito ad un procedimento amministrativo, in cui intervennero vari soggetti pubblici e di cui il TAR non tenne in gran conto.
Ciò posto, l’Autorità deduce l’erroneità della gravata sentenza per non aver colto:
1A) la natura effettivamente dilatoria della richiesta di RF. s.p.a. alle due Regioni coinvolte e al MIT “… di assumere una posizione convergente e che il MIT abbia convocato un incontro tecnico per il mese di gennaio 2009…”, tal procedura di consultazione essendo stata avviata al precipuo scopo di ritardare l’ingresso di Ar. nel mercato, deducibile dall’analisi dei comportamenti tenuti dal gestore e dalla scansione degli eventi ricostruiti in provvedimento (per poter soddisfare le richieste di Tr.), nonché dalla circostanza che tal procedura non era prevista dalla disciplina di settore (l’allora vigente art. 29 del D.lgs. 188/2003 la rese obbligatoria nei casi d’infrastruttura saturata o d’infrastruttura specializzata), né tampoco necessaria (poiché già dal gennaio 2008 il MIT non ebbe dubbi sull’accesso di Ar. all’infrastruttura nazionale e nel marzo successivo pure la Regione Piemonte non fu contraria sul punto),;
1B) la questione Metroferro non fu congruente col caso in esame (perché sorta prima del passaggio del trasporto locale alle Regioni), mentre il MIT-DGTF e l’URSF (nota del 24 luglio 2009) avevano affermato chiaramente l’irrilevanza della natura del servizio nel procedimento d’assegnazione delle tracce, che spettava al solo gestore;
1C) l’inutilità del richiamo al procedimento ex art. 59 della l. 99/2009 per dimostrare che l’ingresso di Ar. potesse determinare cambiamenti di rilievo nella situazione esistente, avendo la RF. usato l’entrata in vigore del relativo decreto d’attuazione per persistere nella sua strategia dilatoria (dopo che l’URSF aveva già più volte sollecitato detto gestore ad evadere comunque le richieste di Ar.: cfr. la citata nota del 24 luglio 2009), fin quando, grazie alle condotte di Tr., lo stesso regolatore dovette assumere una decisione di segno diverso;
2) le numerose rilevanze documentali da cui emerse che Tr. aveva fornito consapevolmente all’URSF, nel procedimento di cui al citato art. 59, una rappresentazione dei fatti idonea in concreto ad indurre in errore il regolatore nella valutare la compromissione dell’equilibrio del contratto di servizio pubblico, sì da ostacolare e, quindi impedire del tutto, 1’ingresso di Ar. nel mercato del trasporto ferroviario passeggeri;
3) ferma la già citata assenza di sovrapposizione tra l’operato dell’URSF e quello dell’appellante, il presupposto della valutazione compiuta da AGCM fu il comportamento dell’incumbent FS (per il tramite delle sue due controllate) teso a ostacolare o ritardare l’ingresso del concorrente nel mercato e, quindi, a realizzare un abuso di posizione dominante, anche a prescindere dalla circostanza che le relative condotte si fossero inserite in un più complesso procedimento amministrativo dagli esiti incerti o, come nella specie, tesi ad inficiare gli esiti di un procedimento di regolazione;
4A) per l’individuazione d’un abuso di posizione dominante non era necessario dimostrare la natura volontaria del comportamento e della malafede dell’impresa dominante e la natura ingannevole di dichiarazioni rese all’autorità pubblica era da valutare in base ad elementi oggettivi, potendo variare a seconda delle circostanze specifiche di ciascun caso;
4B) nel caso in esame Tr., seppur consapevole d’un criterio di calcolo alternativo di minor impatto sull’equilibrio economico dei contratti di servizio pubblico, fornì all’URSF i dati di conto economico basati sul c.d.”cata”, cioè con una metodologia elencante tutti i costi del servizio non coperti da ricavi da traffico e tali da garantire altresì un margine congruo all’operatore (il c.d. costo del capitale investito), ma tal metodologia implicò che il profitto, rispetto al quale si sarebbe dovuto effettuare l’analisi di compromissione, fosse pari a zero (o quasi) per definizione, onde in questo scenario la perdita pure d’un solo passeggero avrebbe compromesso l’equilibrio del contratto, cosi eliminando in radice ogni possibilità d’ingresso di nuovi operatori nell’offerta di servizi ferroviari passeggeri alle Regioni;
4C) l’evidente vantaggio informativo di cui dispose Tr. nel rappresentare fatti non completi o fuorvianti circa le scelte metodologiche adottate e le relative conseguenze nei riguardi dell’URSF, il quale sarebbe stato indotto ad interpretare in senso favorevole all’incumbent le dichiarazioni così rese nel corso del procedimento ex art. 59 della l. 99/2009 e dalle quali scaturì la rappresentazione d’un livello dell’utile di gran lunga inferiore a quello effettivo;
4D) l’irrilevanza della conferma, in esito al successivo procedimento di riesame e con la decisione n. 768 del 27 ottobre 2011, della decisione dell’URSF il 9 novembre 2010 (divieto per Ar. d’effettuare fermate intermedie, non essendovi stata così la condivisione, da parte dell’URSF, del criterio di calcolo su cui si basò la relazione di Tr., giacché quest’ultima continuò con le sue pratiche fuorvianti, come accertato nel corso del procedimento sanzionatorio.
Resiste in giudizio la Tr. s.p.a., concludendo in modo articolato e con memoria di replica per il rigetto dell’appello, in subordine chiedendo l’esame ex art. 101, co. 2, c.p.a. sui motivi assorbiti o non esaminati dal TAR, che ripropone in forma specifica. Pure RF. s.p.a. e FS s.p.a. si son costituite nel presente giudizio, concludendo per l’infondatezza dell’appello e, in via subordinata, chiedono al Collegio che si pronunci anche sui motivi non esaminati in primo grado. Interviene ad adiuvandum il Codacons, chiedendo l’accoglimento del ricorso in epigrafe.
DIRITTO
1. – L’appello è meritevole d’accoglimento, ma nei limiti e per le considerazioni di cui appresso.
Invero, s’è già detto come l’AGCM abbia sanzionato, per abuso di posizione dominante nel mercato del trasporto ferroviario passeggeri, non solo il Gestore della rete ferroviaria nazionale (RF. s.p.a.) e l’impresa ferroviaria (IF) Tr. s.p.a. per condotte escludenti l’ingresso dell’IF Ar. s.p.a. I soggetti sanzionati sono imprese del Gruppo FS, controllate al 100% dalla Capogruppo FS s.p.a., anche alla quale, però, l’AGCM imputò un’influenza determinante sulle predette condotte illecite delle imprese controllate. Tanto perché l’Autorità constatò la violazione dell’art. 102 TFUE, grazie ad “… un’unica e complessa strategia escludente posta in essere da FS tramite le sue controllate RF. e Tr….”, operando così un’inversione logica della presunzione semplice di responsabilità della Capogruppo, presunzione basata sul fatto di tal controllo totalitario.
In linea di principio, è noto che l’illecito anticompetitivo di un’impresa può esser imputato a quella che la controlla qualora la prima, pur avendo personalità giuridica distinta, non determini in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma si attenga in sostanza alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante in considerazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici esistenti tra tali due imprese (cfr. CGUE, I, 8 maggio 2013 n. 508).
Ebbene, il diritto della concorrenza dell’UE delinea una nozione d’impresa intesa come un’unità economica, pur quando, sotto il profilo giuridico, tale entità economica unitaria sia costituita da più persone fisiche o giuridiche (CGUE, I, 20 gennaio 2011, causa C-90/09, General Quimica; id., 8 maggio 2013, causa C-508/11). In tal caso -e ciò vale pure nei rapporti tra l’impresa Capogruppo e le imprese controllate-, qualora un ente economico di tal genere violi le regole della concorrenza è sempre tenuto, secondo il principio della responsabilità personale, a rispondere di tal infrazione. Poiché si tratta d’un soggetto unitario ai fini dell’art. 102 TFUE, ciò consente all’ANR di dichiarare la controllante solidalmente responsabile per la sanzione irrogata alla sua controllata, per evidenti fini di deterrenza o di certezza del pagamento della sanzione.
Tutto questo non impone di dimostrare un rapporto di diretta e formale istigazione, tra controllante e controllata, a commettere la violazione o che vi sia un’implicazione personale della controllante nella commissione dell’illecito. È materialmente vera la presunzione semplice sottesa al controllo totalitario della controllante sull’impresa del gruppo, ma ciò non vuol dire che la controllante, per il sol fatto di detenere il controllo su un’impresa del Gruppo, per forza eserciti in ogni singolo aspetto dell’attività di quest’ultima un’influenza determinante. Pertanto, questa presunzione, proprio per tal sua natura, non implica, né legittima che l’ANR possa limitarsi a presumere e non debba verificare pure, trascendendo la responsabilità di posizione, se vi sia stata effettivamente l’influenza nel caso concreto, al di là, quindi, del mero vincolo del controllo (cfr. CGUE, 16 giugno 2011, causa T-185/06 L’Air liquide; id., 29 settembre 2011, causa C-521/09 Elf Aquitaine).
Il Collegio aderisce a quest’impostazione, poiché, in caso di posizione dominante esercitata da una o più imprese appartenenti ad un Gruppo di imprese, tal appartenenza non è di per sé sufficiente per presumere che anche le imprese, che non pongano in essere la condotta abusiva, abbiano concorso comunque nell’illecito.
Non sfugge certo al Collegio che, nei casi dell’art. 102 TFUE, non v’è un’automatica trasposizione degli oneri probatori delineati dalla giurisprudenza della CGUE per definire il divieto delle intese restrittive, stante il significato della nozione di Gruppo qual “impresa come unità economica”, a prescindere, cioè, da forma ed attività giuridiche d’ognuna delle imprese controllate.
Ma neppure è lecito inferirvi che all’ANR basti dimostrare un parallelismo cosciente, sia pur non collusivo, delle imprese infra-gruppo. Occorre piuttosto fornire una prova, seppur indiretta, d’una concreta vicenda di coordinamento e strumentalità, da un lato, tra le varie imprese del gruppo in posizione dominante e, dall’altro, l’efficiente coinvolgimento della controllante quale promotrice o compartecipe attiva dell’abuso. E ciò segnatamente quando, come nelle specie ed in relazione alle competenze rispettive di RF. s.p.a. (gestore della rete ferroviaria nazionale) e di Tr. s.p.a. (ex incumbent del trasporto ferroviario passeggeri), esse già di per sé sole furono in grado, pur soggette al controllo totalitario di FS s.p.a., di concertare tra loro intese restrittive all’ingresso di una IF newcomer nel mercato rilevante, beneficiando al più della benevola inerzia della controllante e, se del caso, delle Regioni coinvolte.
Sicché una cosa è che l’ANR constati le condotte delle imprese controllate ed estenda l’area della relativa responsabilità anche alla Capogruppo, grazie al dato del controllo totalitario ed alla citata presunzione -vincibile, però, dalla prova contraria, più facile nei casi di condotta pretesa omissiva -, ben altra è voler predicare la personale responsabilità di FS s.p.a. per violazione dell’art. 102 TFUE, imputandogliela a cagione d’un suo ruolo strategico, all’uopo occorrendo almeno lo stesso tipo di indizi raccolti nei riguardi delle imprese operative.
Bisogna partire dunque dal dato di realtà, ossia da come fin dall’inizio sul gestore della rete la FS s.p.a. non ebbe un reale potere di direzione e di coordinamento sulle specifiche funzioni gestorie, garantite dai principi autonomistici indicati nell’art. 11 del D.lgs. 188/2003 e definite dall’Atto di concessione (obblighi di trasparenza, equità e non discriminazione), il quale sottopose il gestore al controllo e alla vigilanza del Ministero concedente (MIT) e dell’URFS. In secondo luogo, l’art. 29, commi 1 e 4 del D.lgs. 188/2003 (applicabile ratione temporis alla vicenda in esame) conformò i poteri del gestore della rete sui metodi d’assegnazione di capacità (o di tracce che dir si voglia) per cui vanno “… soddisfatte, per quanto possibile, tutte le richieste di capacità di infrastruttura, comprese quelle relative a tracce orarie su linee appartenenti a più reti, anche tenendo conto,… dei vincoli gravanti sui richiedenti, compresa l’incidenza economica sulla loro attività …”, spettando al gestore stesso, avanti a eventuali richieste confliggenti, d’adoperarsi per “… coordinarle nell’ottica di conciliare per quanto possibile tutte le richieste anche, se del caso, proponendo capacità di infrastruttura diverse da quelle richieste…”. È evidente che tal conformazione di per sé sola non elida ogni possibile intesa abusiva tra gestore e Capogruppo, ma in tal caso non basta la mera presunzione, occorrendo dimostrare, al di là della sola funzione direttiva della Capogruppo stessa, un suo specifico ed efficiente ruolo autonomo assunto per assumere la scelta abusiva, da attuare per mezzo di RF. e Tr..
Assai meno evidente, anzi alquanto vago appare il vantaggio economico proprio ed immediato (e non di riflesso), pari a quello delle due imprese infra-gruppo, predicato al § 250 del provvedimento AGCM, che la FS s.p.a. avrebbe ritratto dal (e grazie al) l’abuso commesso dalle sue controllante all’ingresso di Ar. nel mercato rilevante. Ma l’Autorità non smentì la creazione di distinti e specifici organi societari, l’assenza di interlocking directorate e l’autonomia delle scelte operative e commerciali delle imprese infra-gruppo (come disegno organizzativo generale), né la natura solo informativa delle sporadiche comunicazioni tra funzionari di dette imprese verso FS.
Né vi fu un serio indizio, in capo alla stessa FS s.p.a., sull’esistenza di vantaggi compensativi o del saldo finale positivo per il complesso del gruppo societario per il sol fatto dell’attività abusiva delle controllate. Il fatto che l’Autorità avesse colà affermato l’irrilevanza in sé di tali rimedi, sol perché in fondo l’art. 11 del D.lgs. 188/2003 non rese indipendente RF. s.p.a. dalla propria holding, né dall’azionista pubblico unico, si risolse al più in una mera (parziale) descrizione degli assetti di potere nel Gruppo FS, se non in una mera petizione di principio. Pare al Collegio che tale assunto non colse il segno, sia perché il vero oggetto della vicenda controversa fu non già la nota posizione dominante dell’ex-incumbent FS nelle sue varie declinazioni storiche (Amministrazione autonoma, Ente pubblico, società a socio unico pubblico, holding pubblica del settore), bensì l’abuso di siffatta posizione contro Ar., sia perché tale dominanza, ancor prima che presunto, è notoria. Non vanno confusi quindi il chiaro interesse generale della Capogruppo su siffatta vicenda e la necessità d’esserne informata con l’esercizio d’un suo potere d’indirizzo sulle due imprese infra-gruppo verso l’obiettivo illecito. Di esso non si ravvisano nel provvedimento della AGCM, se non brevi flash sì suggestivi, ma insufficienti anche per la presunzione semplice; invece RF. s.p.a. e Tr., pur se separate per legge tra loro, furono ben in grado da commettere l’abuso da sole.
La Capogruppo ammette che il Gruppo FS sia un complesso di società specializzate, ma soggette a direzione e coordinamento unitari da parte sua. Essa precisa altresì che tale attività ex art. 2497 e ss., c.c., di per sé non implica un vero accentramento di funzioni in capo alla holding, risolvendosi invece in un’attività di coordinamento, pianificazione e indirizzo in apicibus dell’attività espletata da ciascuna delle controllate secondo la propria competenza. È evidente che la Capogruppo non resti all’oscuro delle scelte strategiche rilevanti di dette controllate, né tampoco dell’andamento reale del mercato del trasporto ferroviario, ma appunto la peculiare specializzazione funzionale di queste ultime, salva la prova contraria, non può esser quotidianamente oggetto d’apprezzamento di merito, correzione e guida da parte della medesima Capogruppo.
Tanto non volendo considerare che l’affermata l’indipendenza di RF. s.p.a., come detto al § 252 del provvedimento, avrebbe violato la normativa UE di settore, assegnando ad un’impresa infra-gruppo, invece della gestione economica separata della rete rispetto all’attività delle IF, una funzione di vera e propria regolazione spettante ad un’Autorità indipendente.
A ben vedere l’AGCM non dimostrò la partecipazione efficiente di FS s.p.a., né superò le obiezioni di questa sulla presunta sua causazione dell’abuso de quo, né ravvisò la necessità d’un supplemento d’istruttoria (peraltro possibile) per meglio ridefinire il quadro delle condotte.
A fronte di questi dati, per vero rappresentati all’Autorità in sede istruttoria, non è motivazione né specifica, né appagante la sua considerazione per cui gli elementi dedotti da FS s.p.a. “… non appaiono di per sé indicatori atti a comprovare un’autonomia delle condotte delle diverse società del gruppo FS…”. Né tal conclusione è revocata in serio dubbio dai tre atti citati al § 252, perché : A) l’intervento di FS sul MIT, nel suggerire la sua interpretazione delle norme positive di sistema in vista di quel che poi sarebbe stato l’art. 59 della l. 99/2009 (per un disegno di legge di attuazione delle novelle recate dalla dir. n. 2007/58/CE alla dir. n. 91/44/CE), fu al più un esercizio di lobbying pro domo sua in sede parlamentare, posto che ogni responsabilità preclusiva verso Ar. nell’applicare dette norme ricadde esclusivamente sul regolatore, decisore di ultima istanza della vicenda di tal illecita chiusura; B) il messaggio e-mail inviato il 2 ottobre 2007 da un dirigente di Tr. all’AD di FS s.p.a. fu solo informativo di notizie di stampa, quindi di pubblico dominio, che diedero conto dell’intento di Ar. d’entrare nel mercato del trasporto ferroviario passeggeri, quindi in sé anodino e, forse, inutile; C) lo studio comparativo del 2010 sui dettagli dell’offerta di Ar. e tra i servizi di quest’ultima e quelli di Tr. s.p.a., considerato da solo, è manifestamente irrilevante ed è privo di significato, essendo la spiegazione ipotizzata dell’Autorità sì nel provvedimento (specifico interesse della holding verso le attività commerciali di Tr. anche attraverso una verifica sull’offerta dei concorrenti), ma senza altri e più seri argomenti, del tutto implausibile e non rende la Capogruppo né istigatrice né concorrente nell’illecito dell’impresa controllata.
In questi termini e limiti, l’appello dell’AGCM non è condivisibile, onde l’impugnata sentenza è in parte qua da confermare.
5. – Ben diversa s’appalesa agli occhi del Collegio detto gravame nei confronti di RTI s.p.a. e di Tr. s.p.a., che va quindi condiviso.
Com’è noto, è notorio avviso della Sezione, conformato alla luce della giurisprudenza europea e perciò tale da esimere il Collegio da puntigliose citazioni, il principio per cui di per sé solo non è
illegale che un’impresa sia in posizione dominante e che tale impresa dominante ha il diritto (e il dovere) di competere sulla base dei propri meriti. Il divieto concorrenziale trova invece fondamento nella “speciale responsabilità ” delle imprese private dotate di un forte potere economico di mercato di non permettere che il suo comportamento ostacoli una concorrenza realmente competitiva e priva di distorsioni nel mercato comune. Affinché una condotta di un’impresa dominante trasmodi in un abuso sanzionabile ai sensi dell’art. 102 TFUE devono sussistere tre criteri: la posizione dominante (individuale o collettiva), lo sfruttamento abusivo della stessa e l’assenza di giustificazioni obiettive e preminenti sugli effetti restrittivi della concorrenza. L’ex-incumbent ferroviario e le sue imprese operative controllate RF. s.p.a. e Tr. s.p.a., esercitando una situazione di quasi-monopolio nella gestione della rete e, rispettivamente, nel trasporto ferroviario passeggeri già da lunghissimo tempo, per definizione occupano una posizione dominante nei rispettivi mercati rilevanti.
Nel caso in esame, quanto a RF. il ritardo nell’ammissione di Ar. non dipese affatto dalle inefficienze di questa. RF. la definì impresa non efficiente non nel procedimento d’assegnazione delle tracce, bensì nel giudizio di prime cure (parr. 107/119 del gravame introduttivo; parr. 39/48 della memoria depositata al TAR il 26 aprile 2013). Sicché esso fu illecito sia in sé -essendosi inverato in condotte prive di oggettive e plausibili giustificazioni nel modo di manifestarsi-, ma anche strumentale alla tutela della posizione di vantaggio di Tr., da ogni scostamento sia pur minimo dell’equilibrio economico nell’attività dedotta in CdS. Anche ora il Collegio stigmatizza il comportamento di RF., tutto in difesa ex post del proprio ruolo d’imparziale gestore, quando già il sol fatto del certificato di sicurezza del 26 agosto 2009, non valido per l’intero esercizio in capo ad Ar. (quindi assai prima dell’adizione dell’URSF da parte di RF.) sarebbe stato argomento tranchant per rigettarne l’istanza e imporle un nuovo progetto che desse garanzia sia dell’esercizio che del materiale rotabile. Questo sarebbe stato comportamento in buona fede, tale da elidere ogni indugio, appunto perché conforme ai doveri di gestore imparziale, ma non ando così .
La condotta di Tr. fu a sua volta fonte d’induzione in errore del regolatore, pure per un’evidente asimmetria informativa di esso, per avergli rappresentato fatti inerenti ad un preteso, ma esagerato squilibrio economico nell’esecuzione di CdS a causa della assegnazione di tracce orarie ad Ar.. Quest’ultima, infine, avendo conseguito la licenza nel 2007 e ed il titolo autorizzativo nel 2008, sarebbe stata in grado d’assumere l’esercizio dell’attività di IF fin dall’anno 2009/2010, ove RF. avesse dato seguito al sollecito ministeriale, di cui alla nota prot. n. 515409 del 20 maggio 2009, di procedere all’assegnazione delle tracce orarie a detta IF. Oppure se fosse stato gestore imparziale, RF. avrebbe fatto constare al MIT ed al regolatore le ragioni dell’incapacità di Ar. ad assumere tempestivamente l’esercizio, nell’un caso o nell’altro definendo in tempi ragionevoli il relativo procedimento.
È noto infatti che il gestore dell’infrastruttura ferroviaria italiana RF. s.p.a., divenuto tale in virtù di concessione (DM 31 ottobre 2000 n. 138T e relativo contratto di programma), fin dal D.lgs. n. 188, è tenuto ad ammettere alle IF, che ne facciano richiesta, l’accesso e l’uso della rete ferroviaria per lo svolgimento dell’attività di trasporto, giusta i principi sanciti dall’art. 29 e dal Prospetto informativo della rete – PIR. Il cap. 4) del PIR (Allocazione della capacità ) disciplina il processo di richiesta e d’allocazione della capacità fissandone i tempi (ed i relativi obblighi spettanti a RF. ed alle IF richiedenti), i criteri di priorità e la tipologia di richiesta. Due sono le forme d’assegnazione della capacità, cioè o con accordo-quadro (della durata perlopiù di cinque anni) o con attribuzione di tracce su richiesta delle IF a valere dall’orario di servizio successivo a quello in vigore.
È noto pure che, specialmente per i servizi regionali e per taluni servizi interregionali e nazionali, la Tr. s.p.a. o sue conglomerate, in quanto gravate di oneri di servizio pubblico per effettuare il trasporto ferroviario passeggeri, godono di sussidi pubblici che assicurino l’equilibrio economico di tali IF in presenza di costi superiori ai ricavi conseguibili dalla vendita dei biglietti. Al riguardo, per conciliare le esigenze di liberalizzazione del trasporto ferroviario passeggeri ed il mantenimento dei servizi sussidiati, tra cui quelli gestiti da Tr. s.p.a. nelle regioni Piemonte e Lombardia, la dir. n. 2007/58/CE consentì agli Stati membri di limitare il diritto di nuove IF ad accedere su tratte “da origine a destinazione”, oggetto di contratti di servizio pubblico – CdS. Sul punto, il citato art. 59, co. 2 della l. 99/2009 consentì, tra l’altro, per il servizio di trasporto locale passeggeri possibili “… limitazioni nel diritto di far salire e scendere passeggeri in stazioni situate lungo il percorso del servizio, nei casi in cui il loro esercizio possa compromettere l’equilibrio economico di un contratto di servizio pubblico in termini di redditività di tutti i servizi coperti da tale contratto, incluse le ripercussioni sul costo netto per le competenti autorità pubbliche titolari del contratto…”.
In tal contesto e su richiesta d’uno dei soggetti interessati (incluso il gestore), la verifica su siffatta compatibilità dei nuovi servizi passeggeri con l’equilibrio economico dei CdS fu attribuita all’URSF, il quale, per svolgerne l’analisi di compromissione, avrebbe potuto acquisire informazioni dall’IF titolare di CdS, dall’IF che avesse voluto gestire i servizi “liberalizzati”, nonché dagli enti pubblici (Regioni e MIT, per i servizi nazionali) titolari dei CdS.
5.1. – Ebbene, nell’aprile 2008 Ar. propose l’istanza per l’assegnazione di tracce orarie sul percorso ad anello MI-TO-Alessandria-MI con fermate intermedie nell’un senso e nell’altro, ma ciò non avvenne, per una lunga, ma non imponderabile sequela di ritardi, che il 10 novembre 2010.
Con il provvedimento n. 23770/2012 l’appellante Autorità, nell’ambito del così accertato abuso di posizione dominante contro tal IF newcomer, riscontrò i comportamenti illeciti posti in essere da RF. s.p.a. nel mercato dell’accesso alla rete, sostanziatisi in ingiustificate condotte dilatorie per ritardarne l’accesso. Essi furono diversi dai comportamenti tenuti da Tr. s.p.a. nel mercato del trasporto ferroviario passeggeri, avendo essa trasmesso all’URSF informazioni fuorvianti al fine d’indurlo ad assumere una decisione sulla (non) compatibilità dei servizi offerti dall’IF newcomer con l’equilibrio economico dei CdS in essere, a favore di Tr..
Una precisazione preliminare è necessaria: il tipo di trasporto (e, dunque di capacità in termine di tracce orarie per l’uso della rete) chiesto da Ar. era, per espressa volizione di legge (art. 3, co. 1, lett. z del D.lgs. 188/2003, attuativo delle direttive CE nn. 12, 13 e 14 del 2001), collocato tra i “… “servizi regionali”, i servizi di trasporto destinati a soddisfare le esigenze in materia di trasporto di una o più regioni…”. Pertanto, la relativa attività, non essendo affidata con CdS alle FS e, quindi, a Tr. s.p.a., era in varia guisa regolata dagli artt. 8 (non l’art. 9, erroneamente citato da RF. nell’atto di costituzione nel presente giudizio) e 14 del D.lgs. 422/199 (negli ovvi limiti di concordanza con la normativa UE sul trasporto ferroviario), ma nulla ebbe a che vedere, come si dirà tra poco e trattandosi di trasporto ferroviario passeggeri, con i c.d. “servizi autorizzati”. Invero, la regolazione sull’accesso delle IF ai mercati rilevanti indicati da AGCM (nel suo provvedimento) sulla gestione della rete erano e sono di competenza dell’ANR in attuazione del diritto UE.
Ad esso vanno riferite (e caso mai rilette) le definizioni ex artt. 3 e 18 del DM 109/T/1999, donde la inutilità della diversa ricostruzione di RF. sul punto (valida solo per i CdS e non per l’accesso pure delle IF alla rete ai sensi dell’art. 24 del D.lgs. 188/2003) ed al richiamo delle parti al caso Metroferro (formatosi in un contesto normativo diverso da quello per cui è causa).
5.2. – Lamenta anzitutto AGCM l’uso indebito della procedura di consultazione con le due Regioni interessate dal percorso indicate da Ar., sulle cui interlocuzioni il TAR escluse la natura solo strumentale di esse, sia per la mancata “… reazione istituzionale che non può non far seguito al dubbio di essere strumentalmente coinvolte in questioni completamente destituite di fondamento…”, sia perché esse in varia guisa ritennero la sostenibilità e la serietà delle problematiche agitate da RF. che “… anche tenuto conto delle modalità mediante le quali esse sono state, alla fine, composte, non possono considerarsi temerarie…”.
Tanto non volendo considerare come, con la nota prot. n. 90547 del 10 novembre 2008 (di cui si dirà meglio tra poco), il MIT-DGTF avesse chiarito a RF. il criterio d’assegnazione di capacità alle IF non sussidiate “… indipendentemente da una loro specificità di livello nazionale o regionale…”, così rendendo superflua ogni questione definitoria di tipo strettamente geografico funzionale (p. es., servizi d’interesse locale nazionale), piuttosto che meramente.
Ciò posto, ora bisogna intendersi su quando, in tema di trasporto ferroviario regionale, occorra (per obbligo di legge) o sia opportuna (per ponderata, ma purché ragionevolmente proporzionata scelta discrezionale del gestore della rete) un’interlocuzione con le Regioni in vario modo coinvolte da CdS col vettore nazionale Tr. sulla piccola-media percorrenza e da istanze di IF terze sulle medesime tratte.
Sul primo aspetto, il Collegio non vuole soffermarsi più di tanto su questioni polemiche circa detto obbligo: invero, l’art. 29, commi 3 e 4 dell’allora vigente D.lgs. 188/2003 ammise sì le predette interlocuzioni, ma nell’ambito delle assegnazioni delle capacità richieste. Tali richieste erano quelle di cui al precedente co. 1, che “… devono essere soddisfatte, per quanto possibile,… comprese quelle relative a tracce orarie su linee appartenenti a più reti, anche tenendo conto, per quanto possibile, dei vincoli gravanti sui richiedenti, compresa l’incidenza economica sulla loro attività …”. Sicché tali consultazioni obbligatorie erano quelle per valutare gli eventuali conflitti tra capacità -che il gestore dell’infrastruttura era tenuto a coordinare e a conciliare ove possibile tutte le richieste, proponendo se del caso capacità diverse da quelle richieste-, trattandosi di conflitti potenziali tra i richiedenti le capacità, la cui gestione era stata quindi sussunta nell’ambito della programmazione e del coordinamento delle capacità stesse, anche a salvaguardia o, comunque, una volta soddisfatte le esigenze, anche economiche, dei vettori onerati di servizio pubblico mediante CdS.
La chiave di lettura di tal vicenda fu fornita, tutto sommato presto nel procedimento di assegnazione di capacità alla Ar., dalla nota MIT prot. n. 90547/2008. Detta P.A. fece presente che per l’istanza della Ar. la RF. s.p.a. avesse ritenuto “… opportuno interpellare, preventivamente, le Regioni… competenti…” e chiarì pure che, una volta assegnate le capacità ai servizi sussidiati di trasporto pubblico locale mediante CdS, tutte le capacità residue sarebbero così rimaste disponibili “… per le altre attività esercite in autonomia commerciale (senza il ricorso… a contributi…), indipendentemente da una loro specificità di livello nazionale o regionale…”. Sicché la “… regolazione dei rapporti tra autorità pubblica e gestore dei servizi, demandata allo strumento del (CdS), non può che avere campo di applicazione esclusivamente quei servizi per i quali venga erogato un corrispettivo da parte della stessa Autorità …”. Ad avviso dei MIT, “… nessuna limitazione appare ravvisarsi, a legislazione vigente, per lo svolgimento di quei servizi… che, pur non avendo le caratteristiche di interesse nazionale…, siano effettuati in piena autonomia… e senza contribuzione di parte pubblica…”. Siffatta nota, che pure rammentò la necessità di controllare gli eventuali effetti nocivi della liberalizzazione sui servizi sussidiati, nondimeno rivelò due cose: a) non v’era un obbligo del gestore di interlocuzione con le Regioni, ma questa fu opportuna; b) una volta garantiti i servizi sussidiati e controllata l’assenza o l’irrilevanza di effetti pregiudizievoli ai servizi sussidiati, il gestore poteva assegnare le capacità secondo i criteri ex art. 29, commi 1, 2 e 4 del D.lgs. 188/2003, se del caso con restrizioni e prelievi compensativi nei casi (ex art. 59, co. 2 della l. 99/2009) di comprovata alterazione dell’equilibrio economico dei servizi dedotti in CdS; c) per quanto corretta fosse stata l’interlocuzione con le Regioni, comunque l’eventuale rifiuto alla proposta di Ar. sarebbe stato possibile solo se queste ultime avessero eccepito e dimostrato il contrasto effettivo coi servizi sussidiati.
Ebbene, ad avviso del Collegio, l’opportunità di tal interlocuzione si poté dire ragionevole e proporzionata solo la prima volta e basta. Infatti, già la DGTF del MIT, con nota interna al Capo delle Segreteria del Ministro (18 aprile 2008) a fronte d’una richiesta di Regione Piemonte aperta all’iniziativa di Ar., aveva espresso un primo parere favorevole di tenore simile a quello della nota n. 90547 dianzi citata. Richiesti da RF. i loro rispettivi pareri, la Regione Piemonte (il 12 agosto 2008) e la Regione Lombardia (il successivo 2 ottobre) espressero avvisi favorevoli (l’una con osservazioni sulle tariffe, da fissare con valore almeno pari a quelli di IC e l’altra con richiesta di non interferire col sistema “S Lombardo”), non v’era più bisogno di altre consultazioni. E ciò soprattutto quando il MIT, con detta nota n. 90547, indicò al gestore il metodo per una più rapida definizione della fattispecie ed avendo le Regioni chiarito per sommi capi le loro esigenze tariffarie.
Ogni ulteriore indugio consultivo, anche sugli impatti che potessero compromettere, ai sensi del ripetuto art. 59, co. 2, l’equilibrio economico “… di un contratto di servizio pubblico in termini di redditività di tutti i servizi coperti da (CdS), incluse le ripercussioni sul costo netto per le… autorità pubbliche titolari del contratto…”, non era doverosa e forse neppure necessaria. Pure il riscontro di detta compromissione, una volta che il regolatore avesse fissato tariffe superiori o pari a quelle IC ed attenendo le questioni economiche agli effetti di un esercizio di IF, non sarebbe dovuto esser per forza un atto ex ante, potendo intervenire durante l’esercizio stesso.
5.3. – Deve allora il Collegio concordare con l’appellante circa l’uso improprio, da parte di RF., di varie consultazioni, poiché il punto di diritto era stato già chiarito dal MIT ed al gestore non restò se non di valutare l’appropriatezza nel merito dell’offerta di Ar., conoscendo il percorso, le fermate ed il piano tariffario di essa e dei servizi in CdS di Tr. eventualmente interferenti e casomai rigettandola sotto il profilo dell’adeguatezza tecnica della gestione e del trasporto.
Le problematiche sollevate nella “consultazione” erano in realtà state già da tempo viste e risolte, perlomeno sulle linee generali, direttamente dal MIT nella primavera del 2008, chiare essendo pure le norme sui rapporti tra il gestore, le IF neoentranti ed i servizi sussidiati. Al più, l’esito della consultazione regionale del 13 maggio 2008, visti i ritardi nelle risposte delle due Regioni, sarebbe potuta esser adoperata da RF. fin da subito per proporre al regolatore il livello di tariffa d’equilibrio per l’IF e per i titolari di CdS, invece d’estenuare fino alla seconda metà del 2010 il procedimento d’accesso di Ar..
Sicché ha buon gioco l’appellante a rammentare come le istanze di interrogazione di RF. alle varie Amministrazioni implicate fossero, se non del tutto pretestuose, solo dilatorie, con riguardo: 1) alla natura dei servizi di Ar., risolta dalla DGTF fin dal novembre 2008, sulla scorta proprio dei pareri regionali; 2) al sistema tariffario, stanti le chiare richieste delle Regioni sul punto, nonché la sostanziale intercambiabilità tra i servizi IC ed i servizi pendolari/locali, indicata dalla Regione Piemonte e certo non disattesa dal regolatore; 3) alla verifica dell’impatto sull’equilibrio economico dei CdS di Tr. s.p.a., essendo tal questione rammentata nel parere del MIT e direttamente recata dalla legge; 4) all’oggetto ambivalente dell’offerta di trasporto di Ar., nel senso che essa avrebbe offerto servizi sostituibili con quelli IC e con quelli locali.
Da ciò discende che il gestore della rete, a fronte d’un espresso rifiuto dell’IF per tracce o capacità alternative offertele per una ragionevole e motivata tutela d’uno o più dei citati interessi primari -avendo avuto il tempo di comparare se l’eventuale sovrapposizione di tariffe, fermate e servizi della Ar. con quelli oggetto di CdS fosse nociva per l’utenza e l’equilibrio economico dei servizi sussidiati-, in assenza di reali ragioni preclusive delle Regioni meglio avrebbe fatto ad assegnare le tracce o a rigettare subito l’istanza di Ar. in caso d’inefficienza tecnica dell’IF, nell’un caso o nell’altro sgombrando il campo da ogni indugio o ambiguità .
Non v’era un’alternativa alla definizione rapida del procedimento e certo non quella di richiedere un ulteriore parere alle Regioni, a Tr. ed alla DGTF l’11 dicembre 2008, ventilando la possibile coesistenza tra servizi. Si trattò, stavolta sì, di una richiesta inutile e dilatoria, poiché nociva sarebbe stata non la coesistenza in sé, ma l’accertata compromissione dell’equilibrio economico dei servizi sussidiati discendenti da tal coesistenza, tant’è che, pur con la prudenza del caso, il successivo 16 dicembre la DGTF confermò tal quale il suo avviso di cui alla nota n. 90547/2008. Senonché l’iter procedurale continuò, con rinvio della disamina della questione Ar. all’incontro tra MIT, USGR, Regioni, RF. e Tr. del 19 gennaio 2009, nonostante il 18 dicembre precedente fosse intervenuta la nota della Regione Piemonte (confermativa di quella del 12 agosto 2008) e quelli interlocutori di Tr. e dell’ente regolatore (14 gennaio 2009, ma distonica con quanto già detto dalla DGTF). Pertanto pure su questo punto ha ragione l’appellante a predicare l’evidente inutilità di consultazioni ulteriori, quando poi, a quella data, la preoccupazione primaria delle Regioni fu che fosse loro garantita la non interferenza dell’attività di Ar. coi servizi sussidiati (Piemonte) e coi servizi suburbani (passante ferroviario e linee S, Lombardia), questioni entrambe da risolvere in sede di coordinamento ex art. 29, co. 4 del D.lgs. 188/2013.
Il gestore non intese definire, in un senso o nell’altro ma tempestivamente, il procedimento, specie per la tratta piemontese, ove ancora il 7 luglio 2009 la Regione ribadì l’assenza di sovrapposizione tra l’attività di Ar. ed il CdS con Tr.. E ciò sebbene la DGTF avesse ritenuto non dirimente la natura nazionale, piuttosto che regionale o viceversa, dell’offerta Ar. (invece ritenuta necessaria dal regolatore). Francamente incomprensibile furono gli argomenti dell’USFR, in contraddizione d’altronde con quanto detto dalla DGTF fin da novembre, come neppure è chiaro l’assunto di RF., ribadito pure in memoria conclusiva, per cui le due Regioni avrebbero dovuto aver per forza una posizione “comune” da spendere nel procedimento, nonostante la differenza di servizi sussidiati e di esigenze di trasporto nei rispettivi territori (ben chiarito nella missiva piemontese del 27 aprile 2008 ed in quella lombarda del 29 luglio 2008).
Su tal ultimo aspetto, è solo da soggiungere che, specie dopo le precisazioni della nota DGTF n. 90547/2008, l’insistenza di RF. nella ribadizione del parere lombardo (a suo dire) non favorevole ad Ar. non ha alcun effetto di confutazione della tesi attorea, poiché la stessa DGTF, per un verso, aveva già ritenuto opportuna la prima interlocuzione e, per un verso, richiamò RF. a definire il procedimento per Ar., distinguendo le vicende di essa da quelle dei CdS, ma tenendo in debito conto le necessità di coordinamento ex art. 29 del D.lgs. 188/2003. RF. non trovò conclusiva tal risposta, mentre agli occhi del Collegio appare chiarissima, spettando in fatti al gestore e non alla P.A. concedente d’assumere la misura più ponderata del caso. Se ciò non avvenne, imputet sibi, non al Ministero o alle Regioni (e certo non per aver ribadito di volta in volta, tra l’autunno 2008 e l’estate 2009 il proprio avviso, non essendo mutato lo scenario in quel torno di tempo: cfr. pagg. 17 / 29 dell’atto di costituzione RF.), né al regolatore, né tampoco all’AGCM (sol perché accertò tal inerzia o indugio e li ritenne, giustamente, abusivi).
L’atteggiamento dilatorio divenne palese quando l’USFR, dopo esser stata sollecitata da Ar. con riguardo alla rinnovata richiesta delle tracce per l’anno 2009/2010, il 10 giugno 2009 prese atto del ritardo ed invitò il gestore ad aver notizie sullo stato del procedimento. Il 24 luglio successivo, detto regolatore, ferma la piena legittimazione di tal IF ad ottenere le tracce, concluse dicendo che “… in entrambi i casi…sia che si tratti di servizi regionali che nazionali… codesto Gestore è … invitato a completare -secondo la tempistica prevista nel PIR per l’elaborazione del progetto orario- lo studio di fattibilità delle tracce richieste da Ar….”.
Reputa dunque il Collegio che corretta fu l’interpretazione della vicenda da parte dell’AGCM, anzi viepiù rafforzatasi a seguito dell’ulteriore richiesta di RF. all’USFR proposta ai sensi dell’art. 59, co. 2 della l. 99/2009, donde la necessità di riformare la sentenza sul punto.
5.4. – Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo alla censura di AGCM in ordine all’adizione del regolatore à sensi del sopravvenuto art. 59, co. 3 della l. 99/2009 da parte di RF. circa l’interpretazione sugli adempimenti ex art. 24, co. 1-bis del D.lgs. 188/2003 per le IF che intendessero svolgere servizi internazionali di trasporto passeggeri.
Invero, al di là della specifica tematica del trasporto internazionale, fu interessante la pronunzia del regolatore (nota URSF n. 207 del 24 luglio 2010) il quale, parlando di come si dovesse intendere il citato art. 24-bis, in realtà fissò l’interpretazione dell’art. 59, co. 3 della l. 99/2009 e del criterio di assegnazione delle tracce orarie, in tutti i contesti, nazionale o internazionale (cfr. pag. 2, righi 17 e 18 della nota n. 207/10).
L’URSF chiarì : 1) – l’evidente erroneità dell’interpretazione di RF., laddove volesse subordinare l’avvio della procedura per tal assegnazione alla pronunzia ex art. 59, co. 3; 2) – l’estensione al gestore della rete, in sede di recepimento della novella all’art. 10 della dir. n. 91/440/CE da parte della legge n. 99, del novero dei soggetti legittimati ad adire in via preventiva il regolatore, senza che tal estensione implicasse pure la subordinazione dell’avvio di detta procedura alla previa pronuncia del regolatore; 3) – il preciso obbligo del gestore d’esaminare, affinché fosse garantita equità e non discriminazione alla predetta procedura, tutte le istanze ed assegnare le tracce orarie, “… fatte salve le decisioni di quest’Ufficio, che terrà necessariamente conto dei dati e delle informazioni fornite dai sottoscrittori dei…” CdS o da altri soggetti interessati. Per quanto l’URSF si fosse pronunciato solo su questioni generali, in realtà non solo non vi fu contraddizione con quanto da esso già detto con la citata nota del 24 luglio 2009, ma soprattutto il contenuto di essa fu così legittimato anche in base alla norma sopravvenuta. Pertanto non è vero, come eccepisce RF., che il regolatore si pronunciò solo sui servizi internazionali, ma prese spunto da questi per chiarire i nodi essenziali dell’interpretazione delle norme sull’assegnazione delle tracce ai vettori terzi. Ecco perché l’appellante insiste tuttora a rammentare che RF. ebbe fin dal luglio 2009 la possibilità di definire il procedimento relativo ad Ar., ma preferì avvalersi dell’uso, se non strumentale, certo inutile dell’interpello a URSF per ottenere una risposta ovvia.
Infatti: a) l’art. 24 del D.lgs. 188/2003, prima dell’introduzione del co. 1-bis, aveva già delineato, in combinato disposto col successivo art. 29, un meccanismo di reciproca autonomia tra regolatore e gestore nell’assegnazione di tracce orarie; b) l’art. 54, co. 3 della l. 99/2009 consentì al regolatore, su istanza di parte, l’analisi sull’eventuale compromissione dell’equilibrio economico dei servizi sussidiati, nonché l’assunzione dei relativi rimedi, in aggiunta a quelli già previsti dal citato art. 29 a cura del gestore; c) tutto ciò nulla aggiunse o tolse alla potestà del gestore d’assumere la decisione più acconcia verso Ar., non subordinata ai poteri del regolatore circa i predetti rimedi; d) per vero e dal canto suo l’art. 21, § 2 della dir. n. 2001/14/CE, ancor prima della novella recata dalla dir. n. 2007/58/CE, già aveva dato al gestore della rete il diritto di proporre capacità d’infrastruttura diverse da quelle richieste, ma entro limiti ragionevoli, tenendo conto, in sede di coordinamento, delle effettive ragioni di conflitto tra capacità assegnate e richieste e valutando in autonomia a tali precipui fini se il calcolo sulla compromissione dell’equilibrio economico dei CdS fosse chiaro, attendibile e corretto.
Allora la richiesta servì a RF. non a chiarire a se stessa quali fossero i suoi poteri nel rapporto con il regolatore sul tema, ma solo a rinviare sine die ogni decisione su Ar., consapevole d’aver chiesto (13 maggio 2008) al regolatore una distinta decisione in sede di controllo. È da osservare come solo nel PIR ediz. dicembre 2010 fosse stata introdotta la clausola di previa consultazione dell’URSF, segno, questo, della necessità di superare, con effetto costitutivo, la precedente, corretta interpretazione.
5.5. – Inopponibile alla pretesa attorea è, ad avviso del Collegio, ogni questione che RF. sollevò sul periodo da settembre 2009 a novembre 2010, giacché neppure quella fase, che sarebbe dovuta esser decisoria, fu conclusiva e, stando così le cose, fu priva di significato per l’Autorità appellante.
In effetti, se a settembre 2009 Ar. aveva respinto la proposta di capacità offertale da RF., tal evento, quantunque solo marginale rispetto alla res controversa, avrebbe dovuto suggerire a RF., in base ai noti canoni di ragionevolezza ed efficienza dell’azione amministrativa, il rigetto dell’istanza di detta IF. Al contrario, RF. continuò nell’attesa indefinita di un’ulteriore mossa (ossia di un nuovo progetto) di Ar., nonostante lo scenario non fosse cambiato, per cui il Collegio non reputa erronea la definizione di “stallo” che nel provvedimento l’Autorità diede a tale fase.
La ragione di ciò è semplice: se fino al maggio 2009 Ar. non ebbe né la licenza di sicurezza, né il materiale rotabile, era obbligo del gestore chiudere subito il procedimento, invece d’attendere e di far attendere l’IF una definizione che non sarebbe potuta esser che negativa. Se tutte le posizioni di partenza non erano mutate a settembre 2009, l’ulteriore attesa fu un’inutile perpetuazione d’una non decisione, a questo punto sì di mero sbarramento all’ingresso di Ar. alla rete e ai servizi ferroviari. Invece, la presentazione d’un nuovo progetto semplificato avrebbe implicato, stavolta sì, in capo all’IF l’attivazione d’un nuovo e più rigoroso procedimento, con un più attento riguardo alle differenze tra i CdS ed il servizio liberalizzato e ad una rigorosa analisi dell’incidenza economica di quest’ultimo su quelli.
Come si vede, più si va avanti nel tempo, più faticose appaiono le giustificazioni che RF. oppose contro l’accertato abuso di posizione dominante, ché, proprio le dianzi citate condotte furono realmente dilatorie, specie se, come disse pure il TAR, in fondo Ar. non fu né operatore efficiente, né sempre in buona fede. A tal riguardo sfugge al Collegio perché mai il complesso di atti, interlocuzioni reiterate e disattenzione verso i pareri delle Regioni e del Ministero dovesse esser inteso dall’Autorità appellante a guisa di comportamento virtuoso e cautelativo nell’interesse dei consumatori. Interesse dei consumatori, al più, sarebbero potuti essere la rapida definizione del predetto procedimento (foss’anche per sgombrare il mercato da operatori inefficienti) ed un’analisi tariffaria congruente sì con le esigenze degli enti locali e dei CdS, ma anche per i passeggeri grazie all’ampliamento dell’offerta di treni, fermate ed orari.
6. – Per quel che poi attiene alla posizione di Tr., questa, già favorita nella specie dai predetti atteggiamenti preclusivi contro Ar., a sua volta rappresentò al regolatore un insieme di dati economici in varia guisa sopravvalutati e fuorvianti, per dimostrare l’esistenza di effetti nocivi sui CdS in atto, a causa dell’ingresso di detta IF nel mercato del trasporto interregionale passeggeri.
Ha ragione l’AGCM a reputare inappagante il decisum del TAR, ma una precisazione preliminare anche qui è d’obbligo, per chiarire alle parti e, soprattutto, a Tr. s.p.a. un concetto che, a tal Società evidentemente, forse non appare così preciso come al Collegio, che sul punto non nutre dubbi, né ritiene di dover investire la CGUE d’un tal quesito.
Tr. è sì l’ex-incumbent del trasporto ferroviario, ma riferibile al Servizio commerciale e del traffico, quale articolazione dell’unitaria Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, a sua volta concessionaria di Stato della rete e dell’esercizio in base alla l. 15 giugno 1905 n. 259. L’Azienda, nata come Amministrazione autonoma e poi così denominata dal 1958, fu da sempre soggetta alla vigilanza ed al controllo del Ministero dei trasporti e dell’aviazione civile, per poi esser trasformata in ente pubblico e, quindi e dopo un non breve processo adattativo, da ultimo nella Fe. dello St. It. s.p.a., holding del Gruppo FS. Essa ha la doppia natura giuridica d’impresa pubblica (come le controllate) e di soggetto privato che si avvale di diritti speciali o esclusivi per l’esercizio dell’attività ferroviaria. Tr. è una delle società operative del Gruppo FS, è oggidì è una IF, ossia un’impresa che opera come vettore ferroviario, al pari delle altre IF munite di licenza e titolari di tracce nella rete ferroviaria nazionale -e, quindi, tutte quante potenziali aspiranti a CdS-, in tal mercato rilevante, ma priva di qualunque potestà pubblica, men che mai discrezionale.
Pertanto ed in previa risposta al 2° motivo del ricorso di primo grado, qui riproposto dall’appellata Tr., essa, anche quando sia titolare di diritti speciali o di CdS per trasporto locale e regionale, non è né il Ministero concedente, né il regolatore, né tampoco il gestore della rete. Quest’ultimo, a sua volta ed esercitando poteri gestori sull’infrastruttura ferroviaria (a salvaguardia della sicurezza di tutte le IF titolari di capacità ), non ha discrezionalità nell’an, né nel quid, ma gode al più, per quanto qui d’interesse, di talune limitate potestà valutative nel quomodo dell’accesso alla rete ai sensi dell’art. 29, commi 1 e 3 del D.lgs. 188/2003, adoperando il coordinamento in base agli ovvi criteri di proporzionalità e ragionevolezza. Il regolatore, che predica d’aver discrezionalità, in realtà, oltre alla pienezza della valutazione anche sugli aspetti dell’equilibrio economico dei CdS, a tal ultimo riguardo non è libero nei fini (specie quando decide ai sensi dell’art. 59, commi 2 e 3 della l. 99/2009), ma è conformato dai criteri generali (non obbligatori, ma minimali) del cons. 8) della dir. n. 2007/58/CE e della citata Comunicazione interpretativa, rammentando ai regolatori nazionali la necessità d’indicare criteri adattativi
Scolorano così tutte le questioni poste da detta Società nel motivo in esame, che la rendono soggetta al regolatore, di talché essa non regola ma è regolata, non gestisce ma è vettore gestito, non decide ma è destinataria di decisioni.
Pertanto, in quanto IF, ma al pari di altre imprese ex-incumbent pubblici operanti in mercati onerati di servizio pubblico, ma pur sempre via via liberalizzati, anche Tr. può commettere illeciti anticoncorrenziali, ponendo in essere, come ogn’altra impresa in quel mercato e, se del caso, pure sfruttando le sinergie del Gruppo FS, barriere all’ingresso contro altri vettori. È certo vero che, ormai, tale Società non possa loro opporre lecitamente alcunché al riguardo, neppure la titolarità di CdS, se non quando il gestore o il regolatore, secondo le rispettive competenze, le riconoscano situazioni di concreto conflitto tra le capacità e le tracce dedotte in CdS e quelle di altre IF a danno ad essa. Non essendo qui in discussione la potestà e la discrezionalità valutativa e decisoria del regolatore, l’illecito di Tr. si può inverare anche quando, richiesta dal regolatore di settore di aver informazione sul concreto stato d’equilibrio economico dei singoli CdS o delle singole tracce implicati, gliene fornisca in modo da determinare, per quel che qui interessa e al di là della capacità d’indurre il regolatore veramente in errore, effetti distorsivi della concorrenza solo grazie all’abuso della propria peculiare posizione di titolare di CdS.
6.1. – L’impugnata sentenza, per un verso, affermò che l’appellante disconobbe “… le conclusioni raggiunte dall’URSF,… addebitando alle società sanzionate la non configurabilità delle premesse metodologiche e l’inattendibilità dei dati trasmessi all’URSF per dimostrare… che l’ingresso di Ar. sul mercato avrebbe determinato rilevanti effetti negativi sull’equilibrio economico dei contratti di servizio di Piemonte e Lombardia, e censurando espressamente il fatto che gli stessi fossero stati condivisi dal regolatore,… fuorviato e indotto in errore da Tr….”. Dall’altro, il TAR le contesta che “… operando una istruttoria parallela e effettuando valutazioni di merito autonome e completamente confliggenti con l’URSF,… si è completamente sostituita a detto Ufficio nell’esercizio di competenze a esso affidate dalla legge…”. In tal modo l’AGCM pervenne al tempo stesso “… all’apprezzamento dell’abusività dei comportamenti delle società sanzionate e all’autonoma creazione dell’ambito delle regole tecniche… (con cui)… effettuare l’apprezzamento stesso…”, così sovvertendo il principio per cui “… l’apposizione della regola, tendenzialmente eteronoma, precede la valutazione dell’antigiuridicità della condotta che con la stessa si ponga in conflitto…”.
Anzitutto, è vera la contraddizione in cui incappa il Giudice di prime cure tra quanto fin detto e la coesistenza e la complementarietà delle competenze di AGCM ed URSF, nonché tra gli scopi che entrambi i regolatori perseguono.
Di converso, non è vero che l’AGCM si fosse sostituita del tutto all’URSF, in pratica doppiandone in modo disgiunto e autonomo l’istruttoria svolta da quest’ultimo. In primo luogo il TAR già aveva chiarito, rigettandone i motivi delle appellate, che l’AGCM non esorbitò dalle sue attribuzioni, né interferì con quelle del regolatore di settore come inderogabilmente stabilite dall’art. 37 del D.lgs. 188/2003 e dall’art. 59 della 1. 99/2009 e recanti la vigilanza preordinata a garantire che i diritti costituiti dal gestore per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria fossero conformi al capo II della dir. n. 2001/14/CE e non discriminatori. Inoltre, le predette attribuzioni dell’URSF riguardarono le sole questioni attinenti ai servizi ferroviari come indicati e disciplinati dalle direttive comunitarie in materia, senza erodere, anzi convivendo con la competenza generale dell’AGCM sulla protezione, di rilevanza costituzionale, dei consumatori, degli interessi concorrenziali tra le imprese e di libero accesso ai mercati. Infine, vi fu nella sentenza impugnata, nonostante la correttezza dei profili testé evidenziati, un difetto di percezione sull’oggetto specifico dell’intervento dell’AGCM, che riguardò non già il giudizio di compatibilità del servizio ferroviario offerto da Ar. con l’equilibrio economico dei CdS in atto, bensì i concreti comportamenti tenuti dalle società del Gruppo FS, quali ex-monopolisti pubblici, al solo scopo d’ostacolare l’accesso al mercato di potenziali concorrenti (ossia le condotte delle appellate dal punto di vista antitrust).
In tal caso, anche qui si deve riaffermare il fermo principio, pur esso tanto noto da non imporre citazioni, per cui, emergendo chiaramente dal citato quadro normativo come le competenze dei due regolatori, seppur differenziate (in ragione delle diverse finalità delle due normative), coesistessero nel settore regolato dell’accesso all’infrastruttura ferroviaria in un rapporto non di antitesi, ma di complementarietà, l’applicazione delle norme a tutela della concorrenza non è esclusa nei casi in cui le disposizioni lascino sussistere la possibilità per le imprese di adottare comportamenti autonomi idonei ad ostacolare la concorrenza, confermando l’esistenza di un doppio controllo, regolatorio e antitrust. Tal principio è ancor di più enfatizzato nella specie, perché costituisce abuso di posizione dominante il comportamento dell’operatore ex-incumbent teso ad ostacolare o ritardare l’ingresso del concorrente nel mercato, anche quando la condotta illecita s’inserisca in un più complesso iter amministrativo dall’esito incerto o, peggio, quando sia teso ad inficiare, a vantaggio di tal operatore ed a scapito del concorrente, gli esiti di un procedimento di regolazione.
È allora evidente che, nel caso di specie, non ha gran senso lamentare che il controllo di AGCM si sovrapponga o, addirittura, sindachi il merito del giudizio dell’URSF. Qui si controverte solo delle condotte abusive delle società appellate, in quanto efficienti a vario titolo e con interventi cadenzati ad escludere il concorrente e che sarebbero state illecite a fini antitrust anche se non vi fosse stato il controllo preventivo del regolatore o, addirittura, se fossero state svolte secondo le norme di altre branche del diritto diverse dal diritto antitrust. Tanto per la peculiare responsabilità, che incombe su un’impresa in posizione dominante, di non compromettere, con condotte estranee alla concorrenza basata sui meriti, lo svolgimento di una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato comune.
Né vale obiettare alla tesi attorea la piena potestà discrezionale e valutativa del regolatore, tale da escludere la possibilità stessa dell’illecito anticoncorrenziale, quando questa pienezza dev’essere intesa non in linea d’astratto principio, ma in base alle asimmetrie informativa e cognitiva in cui versò il regolatore stesso nella vicenda in esame. Nonostante l’obbligo specifico delle parti, ai sensi dell’art. 30, § 4), II per. della dir. n. 2001/14/CE, di fornirgli tutti i dati senza indebiti ritardi, donde il principio di tempestività, completezza e correttezza dei dati da fornire. Infatti, da quanto disse il regolatore in sede di audizione presso l’appellante, l’una asimmetria si manifestò perché, in pratica, i dati inviati, occorrenti affinché il regolatore potesse dedurne in modo corretto e preciso se ed in qual misura si fosse realizzata la compromissione dell’equilibrio economico dei CdS, erano rimessi alla leale cooperazione ed alla disponibilità dei soggetti coinvolti di fornirglieli (nella specie, le valutazioni riferite da Tr. il 5 agosto 2010). L’altra asimmetria si verificò per l’impossibilità, da parte del regolatore stesso, d’apprezzare se non le inesattezze e le incongruenze macroscopiche dei dati elaborati. Il che è come dire, al di là della veridicità in sé dei dati e della congruenza del criterio di calcolo alle regole della direttiva n. 58 e della Comunicazione interpretativa, che in quel momento la capacità valutativa del regolatore non fu in grado di controllare in modo autonomo quanto dichiarato da Tr. e percepire gli effetti di un uso anomalo dei dati di conto economico basati sul c.d. “cata”.
6.2. – Dice a tal proposito l’AGCM che Tr. fornì all’URSF, al fine di dimostrare l’avvenuta compromissione dell’equilibrio economico, dati calcolati con una metodologia che coprisse tutti i costi del servizio non coperti da ricavi da traffico e garantisse pure un margine congruo all’operatore ferroviario (margine riportato tra le voci di costo come “costo del capitale investito”). In tal modo, il profitto, rispetto al quale si sarebbe dovuta svolgere l’analisi di compromissione, sarebbe stato, per definizione, pari a zero (o quasi a zero) e ciò se l’analisi fosse stata condotta tanto per linea/bacino o quanto per contratto. Sicché sarebbe bastato perdere anche un solo passeggero per compromettere l’equilibrio del contratto (o della linea), con l’effetto d’eliminare ogni possibile ingresso di nuove IF nell’offerta di servizi ferroviari passeggeri, regionali o interregionali.
Si rammentino, per comodità di lettura i passaggi salienti del procedimento ex art. 59, co. 3 della l. 99/2009, avviato dall’URSF il 19 maggio 2010, per verificare se l’ingresso di Ar. sulla linea
Torino-Milano (con alquante fermate intermedie) fosse in grado di compromettere l’equilibrio economico-finanziario dei CdS stipulati dalle Regioni Piemonte e Lombardia con Tr.. Detto procedimento si concluse con decisione n. 589 del 9 novembre 2010, in base alle Linee-Guida per l’analisi della compromissione (DD n. 203 del 6 maggio 2010), con cui il regolatore dispose che la Ar. operasse con limitazioni di fermata ai soli capisaldi della linea (Milano e Torino). Tanto nella considerazione che, ove fossero state previste fermate intermedie, si sarebbe determinata detta compromissione in danno a Tr..
A seguito dell’avvio del procedimento A436 da parte di AGCM (in data 15 dicembre 2010), il 21 marzo 2011 l’URSF avviò, su richiesta di Ar., un procedimento di riesame della precedente decisione n. 589/2010. Nelle more della decisione dell’URSF, l’AGCM, dopo aver esteso il proprio procedimento nei confronti di Tr. -avendo ipotizzato condotte abusive anticompetitive di essa, per aver fornito all’URSF uno scenario scorretto dell’impatto che l’ingresso di Ar. avrebbe avuto sull’equilibrio economico dei CdS in atto per la medesima tratta. Sebbene l’AGCM avesse sentito in audizione l’URSF (24 ottobre 2011) rendendogli nota la propria ipotesi accusatoria circa la condotta ingannevole di Tr. ai danni del regolatore, il 27 ottobre 2011 quest’ultimo definì il procedimento di riesame, confermando la decisione n. 589/2010, non essendo emersi “… elementi modificativi dei dati assunti alla base del quadro decisorio che ha portato all’emanazione …” di tal decisione. Questo atteggiamento dell’USFR fu mantenuto anche dopo la definizione del procedimento sanzionatorio dell’AGCM.
Non sfugge al Collegio l’obiezione tecnica di Tr., secondo la quale la fornitura di dati “a cata” al regolatore non avesse, da sola, alcunché di “fuorviante”. Si trattò d’una modalità usata da detta Società nei nuovi CdS stipulati, all’epoca dei fatti di causa, pressoché da tutte le Regioni e le Province autonome, in sostituzione della metodologia utilizzata in precedenza, ossia quella sul calcolo dei costi “treno/km”. Quest’ultima fu ritenuta incapace di determinare con accuratezza il valore dei servizi resi, poiché non aveva considerato vari elementi essenziali, quali le caratteristiche fisiche e funzionali, l’orario e il giorno di svolgimento di ciascuna corsa, la durata complessiva del servizio (correlata al numero di fermate, alla velocità commerciale, alle coincidenze) e il costo di tutti i servizi accessori.
Ora, si può discettare se, per meglio definire e descrivere siffatto equilibrio economico dei rapporti in CdS, fosse notoria o meno, o migliore o no, la metodica “a cata di servizi”, recante appunto un insieme dei corrispettivi unitari, definiti su base oraria e diversificati in base plurimi parametri (composizione del treno, orario e giorno di effettuazione, età del materiale rotabile, durata della prestazione), da proporre alla committenza pubblica, affinché potesse scegliere i servizi più adatti alle proprie esigenze di programmazione del TPL, pagando un corrispettivo più aderente al valore del servizio effettivamente reso dall’IF affidataria di CdS.
Ma non è questo il punto: per un verso, la notorietà o meno di tal scelta è irrilevante nella presente controversia, occorrendo che fosse notorio al regolatore e conforme alla direttiva n. 57, interpretata altrettanto notoriamente dalla Comunicazione della Commissione n. 335/2010.
Per altro verso, qui al più si discute non della bontà o meno d’una metodica, anziché di un’altra, ma della scelta (poi formalizzata dall’URSF con il DD 11 luglio 2012 n. 528, di modifica della DD 203/2010), di sbarramento all’ingresso ad ogni nuova IF sulla tratta gestita in CdS e secondo cui il profitto dovesse esser sempre decurtato della remunerazione minima del capitale proprio investito (a tasso NARS = 6,73 %). E ciò in tutti i casi in cui vi fosse comunque un profitto minimo risultante al netto del tasso di remunerazione minima del capitale proprio, già garantito in CdS. Si tratta di un risultato in contrasto con le norme nazionali e comunitarie, perché l’accertamento dello squilibrio sarebbe avvenuto anche quando il servizio svolto da una nuova IF avesse inciso solo sul margine residuo di utile eccedente la remunerazione minima del capitale proprio investito (profitto minore, ma esistente), mentre la Comunicazione de qua aveva chiaramente ancorato l’accertamento di tal squilibrio solo a fronte d’un considerevole aumento della contribuzione pubblica (remunerazione > profitto = maggior contributo pubblico).
È appena da rimarcare che i CdS in atto, a quanto consta, furono affidati direttamente e senza gara, cosa, questa, possibile fonte d’un cata di servizi a costi non efficienti. Ad avviso di AGCM, che il Collegio condivide, tali costi son in grado d’alterare la vera consistenza dell’equilibrio economico del CdS che, se accertata con criteri concorrenziali, non sarebbe opponibile all’ingresso di nuove IF sulle tratte onerate di servizio pubblico, coi conseguenti minor ricavi per il titolare di CdS. E ciò si verificherebbe, a vantaggio d’una più accettabile concorrenza, quand’anche l’eventuale effetto di remunerazione inferiore al minimo fosse compensabile grazie ad una corretta rappresentazione dei costi minimi, cioè con l’indicazione di costi più congruenti con le dinamiche di mercato e, quindi, senza aumento di contribuzione pubblica, quella, sì, fonte di sbarramento all’ingresso.
6.3. – Alla luce di quanto fin qui accennato, anche in questo caso bisogna intendersi sul significato di dati veridici, resi da Tr. all’URSF nel procedimento ex art. 59, co. 3 della l. 99/2009.
Il Collegio dà per scontato che Tr. avesse realmente versato, agli atti di detto procedimento, i dati corretti desunti dalla contabilità di ciascun CdS o da ciascuna linea.
Piuttosto la questione, ai fini antitrust, sta nel fatto che pure dati veri (ma non verificabili in sé dal regolatore), resi col metodo contabile che decurta il profitto a fronte della remunerazione minima del capitale investito (anche per i costi fissi e pure per profitto infra-minimo e sulla quale l’URSF ammette di non poterne riscontrare l’eventuale vizio logico) ed a fronte d’un ingresso di altra IF nel medesimo contesto dedotto in CdS (che di fatto sottrarrà almeno un passeggero), darà sempre uno ed un solo risultato, favorevole all’ex-incumbent ed al mantenimento dell’assetto del mercato e negativo per l’ingresso di qualunque IF newcomer in quest’ultimo.
Fu Tr., su richiesta di URSF, ad esser obbligata alla consegna dei dati a sua disposizione, ma non anche a dovergli prospettare uno scenario che fosse così congegnato. Infatti, è ben vero che, in base al dato testuale ex art. 6 delle linee-guida URSF (DD n. 231/2010, cit.), i costi totali sono, con ogni evidenza, la somma dei costi fissi sostenuti dall’impresa e dei costi variabili, ma quel che conta è la composizione dei costi fissi, secondo quanto accennato nel § precedente. Sicché l’indicazione pura e semplice di tali costi fu resa al regolatore proprio al fine d’ottenere la risposta più utile a tal Società, ma appunto perciò fu una sua esclusiva scelta anticoncorrenziale. Infatti, al di là della paradossalità di detta metodica, non vi fu l’esposizione dei citati criteri minimi d’accertamento dello squilibrio economico. Con dovizia di calcoli evidenziò AGCM nel proprio provvedimento (sui dati resi da Ar. e Tr.) per intero contratto e per linea, in tutt’e tre gli scenari d’esercizio (MI-TO semplice; MI-TO con fermate solo in direzione Torino e v.v.; MI-TO via Alessandria, anello completo) come sarebbe potuta verificarsi la temuta erosione del prospettato 50% dell’utile (dichiarato, non effettivo) per sottrazione di passeggeri Tr. a favore di Ar.. Affinché si potesse determinare la temuta assenza di equilibrio economico dei CdS, Ar. avrebbe per forza dovuto raggiungere un coefficiente di riempimento dei treni oggettivamente implausibile, non solo superiore, quindi, alla ragionevole stima del 33% proposta da detta IF, ma ben maggiore (75 / 85%), con ogni evidenza non nelle forze dell’IF, né nello stato delle cose.
Ecco perché tal prospettazione, anche se avesse avuto un regolatore padrone dei dati Tr. e delle vicende dei singoli CdS, sarebbe stata comunque sottilmente fuorviante nei riguardi di URSF, in quanto il livello di comparazione sarebbe dovuto essere in base agli utili reali (e non solo quelli dichiarati) di Tr., in relazione all’intero CdS effettivamente inciso dai servizi di Ar..
Il Collegio insiste su tal paradosso, in primo luogo perché Tr. era, o sarebbe dovuta esser ben consapevole di far concorrenza a se stessa, laddove anche i suoi treni commerciali percorrevano la tratta ambita da Ar. e, quindi, l’incidenza di questi ultimi avrebbero impattato sull’equilibrio economico dei CdS, sottraendone passeggeri, come d’altronde sarebbe accaduto coll’ingresso di tal nuova IF privata.
E che Tr. fosse consapevole, come la stessa Regione Lombardia, della non appropriatezza di detta metodica e delle conseguenti criticità logiche di quanto comunicato al regolatore, non par dubbio. Infatti, da una e-mail interna di tale Società, si poterono evincere che vi fossero due alternative per il calcolo di tale compromissione e che essa non volle fornire quella diversa dal contratto con corrispettivi a cata, meno favorevole e, soprattutto, indice sicuro dell’esistenza di una siffatta alternativa, che era meglio non palesare al regolatore. Né Tr. avrebbe mai potuto affermare di aver fornito a quest’ultimo dati completi e congrui, posto che, al di là del loro livello di dettaglio (e di quanto avesse potuto dire l’URSF o volle intendere AGCM sul punto), quelli forniti descrissero una situazione (sul livello degli utili) non del tutto comparabile tra il vettore titolare di rapporti non solo sussidiati ma pure intercambiabili in varia guisa con la sua offerta commerciale (i pendolari, a date condizioni, potevano fruire dei servizi IC) ed un’IF operante solo nel mercato.
Né basta: il regolatore giustamente ritenne corretta la sottrazione dal profitto dell’intero costo del capitale investito e con riferimento alle linee sussidiate, ma Tr. non le chiarì lo scenario ai fini antitrust, né che si trattasse di dati c.d. “a cata”. Pure in tal caso Tr. non può negare d’aver fuorviato il convincimento del regolatore, né affermare d’avergli esposto dati corretti non avendogli palesato l’esistenza di altri criteri di calcolo del costo del capitale investito. Essa invece enfatizzò così solo quegli elementi che permisero al regolatore di darle ragione con la decisione n. 589/2010, in quanto “… la rappresentazione dei possibili impatti sui servizi regolati da contratto di servizio… effettuata da Tr. nella relazione trasmessa…(il) 5/08/2010 dimostra che anche una “minima” perdita della quota commerciale contendibile causa la perdita della metà del risultato netto del bacino presa a riferimento…”, sì da comprometterne l’equilibrio economico. E tal vicenda fu poi replicata praticamente identica da Tr., quando nel procedimento di riesame della decisione n. 589/2010, avendole l’URSF richiesto più volte se fossero intervenute modifiche, detta Società gli rispose confermando quanto già detto il 5 agosto 2010.
Pertanto, ha ragione l’appellante a ribadire, come facilmente traspare da questa ricostruzione per sommi capi, che il suo provvedimento impugnato riguardò, in una con la condotta di RF. sinergica a quella di Tr. (quantunque in due segmenti temporali diversi), soltanto il comportamento di quest’ultima nel procedimento ex art. 59, co. 3 della l. 99/2009, non già lo svolgimento dell’analisi di compromissione da parte del Regolatore, i cui decisa o l’assunto d’aver ben compreso tutta la rappresentazione dei predetti dati sono sue scelte, collaterali, ma estranee al presente giudizio.
7. – Vanno ora esaminati i motivi di RF. e di Tr., assorbiti in primo grado.
7.1. – Quanto alla posizione di RF., essa si duole dell’evidente difetto di motivazione del rigetto, disposto dall’AGCM, degli impegni che detta Società avrebbe inteso assumere.
Sul punto, essa fece presente che tal assunzione non fu tardiva in quanto dipese dalla decisione dei URSF in esito alla procedura ex art. 59 della l. 99/2009, né si sarebbe potuta descrivere qual mera adesione al disposto legge in quanto avrebbe determinato una rapida definizione dell’assegnazione di tracce alla Ar., senza altri indugi e con beneficio per tutte le IF. In particolare, RF. s’impegnò, qualora una richiesta di tracce divenisse oggetto del procedimento di cui al citato art. 59 a stipulare, “… non appena ricevuta l’accettazione del progetto orario trasmesso all’impresa ferroviaria, il contratto di utilizzo dell’infrastruttura, subordinandone l’efficacia all’adozione del provvedimento finale dell’URSF e, se necessario, rimodulando il progetto orario in coerenza con il provvedimento,… purché (esso)… intervenga entro la data prevista per l’avvio del relativo servizio …”. Sicché, a suo dire, il suo impegno non si sarebbe risolto nella mera osservanza della normativa in materia, ma avrebbe garantito all’IF uno specifico quid pluris, ossia l’immediata stipula del citato contratto (per agevolarla nei rapporti coi terzi), però con l’apposizione della condizione sospensiva in vista della decisione del regolatore.
La tesi non ha pregio, ma non perché la presentazione dei rimedi fu tardiva per mera violazione del termine trimestrale ex art. 14-ter, co. 1 della l. 287/1990.
Se fosse solo per questo, non v’era e non v’è ragione di disattendere il principio, maggioritario in giurisprudenza (cfr. Cons. St., V, 22 settembre 2014 n. 4773), secondo cui l’introduzione d’uno sbarramento temporale rigido e inderogabile (qual sarebbe il termine di tre mesi, se s’accogliesse la tesi della sua natura decadenziale) contrasta con lo scopo dell’istituto degli impegni. Questo, invero, presuppone tanto che le imprese siano poste in grado di proporre misure correttive idonee, quanto che AGCM disponga di dati sufficienti per valutarne la rispondenza ai profili anticoncorrenziali emersi. La tesi avversa potrebbe determinare seri effetti distorsivi, tali da minare l’effettività della procedura stessa, favorendo solo la celerità e l’economia procedurale, elementi sì importanti, ma non a scapito delle esigenze d’effettiva e coerente applicazione delle regole di concorrenza.
Si badi: la tempestività della presentazione degli impegni va valutata in base a due principi precisi. Per un verso, gli impegni devono essere valutati anche in considerazione dell’interesse dell’Autorità al proseguimento del procedimento istruttorio e, nel caso in esame, essi pervennero in un momento in cui l’Autorità aveva riscontrato in istruttoria l’esistenza della gravità della condotta abusiva. Per altro verso, detta tempestività va commisurata non tanto al rigido sbarramento dei tre mesi, bensì, e di volta in volta, a come s’atteggia il caso concreto e sempreché il contenuto degli impegni, rispetto alle condotte tenute ed ai possibili rimedi, torni veramente utile a garantire l’effettività della concorrenza e l’eventuale beneficio per l’impresa colpita dall’abuso.
Ebbene, in questi termini, la tardività ci fu nei fatti, proprio a causa sia di tutti gli sbarramenti posti da RF., sia degli irrimediabili ritardi nell’accesso dell’IF all’infrastruttura ferroviaria. Questi ultimi dipesero da una condotta effettivamente dilatoria di RF., non dovuta affatto all’oscurità del quadro regolatorio o alla riscontrata e grave situazione di squilibrio economico subito dai CdS in atto per il temuto accesso dell’IF alla rete. Infatti, a RF. già era stato suggerito dalla DGTF, fin dall’autunno 2008, quel prudente e ben proporzionato modus operandi a salvaguardia e contemperamento dei legittimi interessi del TPL ed interregionale e delle IF newcomers. E quand’anche il ritardo fosse stato imputabile solo alle “carenze organizzative e di pianificazione” di Ar., RF. era ancor di più legittimata a rigettarne l’istanza, dandone idonea motivazione ed anche allo stato degli atti.
Ma, pur ad accedere alla tesi di RF. e di non reputare tardivo l’impegno, questo fu, per un verso, meramente parafrastico dell’assetto dato dal regolatore a seguito dell’intervento di esso sul PIR (adito l’URSF ai sensi dell’art. 59, soltanto la decisione avrebbe definito l’assegnazione, o no, delle tracce ad Ar.) e, per altro verso, peggiore dell’attesa (la condizione sospensiva non essendo in grado d’offrire un quadro certo dei suoi eventuali rapporti coi terzi).
Dice al riguardo l’appellata che, qualora le imprese presentino impegni idonei a risolvere le criticità sollevate dall’AGCM pure dopo lo scadere del termine trimestrale dall’avvio dell’istruttoria, questi possono comunque essere valutati dall’Autorità stessa e le previsioni dell’art. 14-ter possano trovare piena applicazione. Questo è vero, ma è anche vero il contrario, come s’è visto or ora, espressione, cioè, della ragionevole ampia discrezionalità di AGCM nell’accettare, o no, detti impegni. Invero correttamente l’Autorità rammenta che, al del 9 marzo 2012, quando Tr. e RF. proposero gli impegni rispettivi, il procedimento A436 era stato avviato da oltre un anno e loro strategia abusiva aveva già avuto modo d’esplicare fino in fondo i propri effetti anticoncorrenziali.
7.2. – Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo alla denunciata violazione dei diritti della difesa, in cui incorse 1’AGCM durante l’istruttoria, a cagione dei due dinieghi di accesso opposti il 15 ed il 21 maggio 2012 all’appellata.
Si trattò del diniego ad accedere, pur nella forma della presa visione, al business plan di Ar. relativo agli anni 2008/2012 (doc. n. 4.208, all. 86) ed uno studio interno svolto dalla stessa IF nel settembre 2008 (doc. n. 4.208, all. 87), ritenuti documenti sensibili, ma sulla cui accessibilità si pronunciò in modo favorevole a RF. il TAR Lazio con la sentenza n. 9275 del 12 novembre 2012.
Il Collegio ha seri dubbi se condividere quanto detto dal TAR in quella sentenza, ma essa non forma oggetto del presente giudizio, quantunque corrobori la violazione del principio della “parità delle armi” nel corso del procedimento innanzi all’AGCM. Va in primo luogo detto che detto principio fonda un interesse protetto di tipo strumentale, la cui tutela non consente l’apprensione diretta del bene della vita, né tampoco una difesa sostanziale della posizione di RF.. Tal sua violazione in tanto si riverbera sulla legittimità del provvedimento, in quanto chi l’invoca dimostri con serietà e rigore che tal vizio si traduca effettivamente in una lesione delle prerogative partecipative o difensive e quali argomenti sostanziali gli siano stati così inibiti che, se introdotti nel procedimento, avrebbero determinato un risultato diverso e favorevole. In realtà, RF. non solo non ha dimostrato alcunché di dirimente al riguardo, ma soprattutto non indica neanche ora quali parti del provvedimento AGCM si sia basato in modo determinante proprio sui documenti ad essa indebitamente preclusi e decisivi per le proprie difese.
In secondo luogo, ogni questione sul punto è superflua, e ciò per un duplice ordine di ragioni. Per un verso, il ritardo imputato dall’AGCM a RF. fu indipendente dalla stretta conoscenza del business plan (e anche da ogni altra eventuale malizia di Ar.), tant’è che RF. decise la sua condotta ostruzionista senz’aver compulsato mai quei documenti e per motivi strettamente inerenti alla procedura d’assegnazione delle tracce, per la (pretesa) tutela dei CdS. Per altro verso, RF. sempre oppose ad Ar., cioè prima delle conclusione del procedimento innanzi all’AGCM e che la sentenza n. 9275/2012 le accordasse la cognizione dei citati documenti, l’esclusiva imputabilità a detta IF di tutti i ritardi accumulatisi, dovuti solo all’impreparazione tecnica di questa ad accedere al mercato rilevante. Sicché tali documenti nulla aggiunsero o tolsero alle tesi difensive di RF. in sede procedimentale e nel presente giudizio, con conseguente svuotamento del suo interesse, ove fosse stato replicato qui in appello, dell’istanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE in ordine alla rilevanza del citato diniego.
7.3. – È riproposta anche la censura sugli aspetti precipui della sanzione irrogata.
La questione, tuttavia, è manifestamente infondata, anzitutto per un dato di fatto: avendo il Collegio respinto il presente appello relativamente alla posizione di FS, decade in via definitiva la quota di sanzione irrogata a quest’ultima, sicché RF. resta obbligata solo per metà dell’importo stabilito. Si avrà dunque che la sanzione in capo a RF. è adesso fissata in Euro 50.000,00, importo, questo, che ancor più di prima risponde all’esigenza a suo tempo avvertita dall’Autorità, ossia la necessità sì di una sanzione, ma in misura minimale stante sia la peculiarità del contesto del settore, sia la novità della condotta contestata. Scolorano dunque le questioni poste circa l’entità e la sproporzione della sanzione irrogata, a fronte dell’accertamento della complessa ed articolata strategia di RF., che si appalesò in effetti abusiva ed escludente avverso Ar. -al fine di impedirne, come in effetti ne impedì, l’accesso al mercato del trasporto passeggeri interregionale-, donde la ragionevolezza e la proporzionalità d’una sanzione, non superiore allo 0,1% del fatturato annuo di detta Società .
Ciò esime il Collegio da ogn’altra considerazione circa i pretesi vizi della valutazione di gravità e della durata della condotta abusiva, giacché dalla loro serena lettura s’evince la ribadizione di un argomento, cioè l’esclusiva responsabilità di Ar. circa i ritardi nell’accesso all’infrastruttura, già più volte contestato e ritenuto non condivisibile, ché, se colpevole fu mai Ar. per le sue carenze professionali, ancor di più lo fu RF. quale gestore della rete che avrebbe dovuto garantire un efficace accesso alla rete ad un’impresa virtuosa o, in caso contrario, far cessare subito ogni stato d’incertezza sul punto per un’IF non efficiente.
8. – Per quanto concerne la posizione di Tr. (ma ciò valse pure per RF.), è priva di pregio la doglianza in ordine all’assenza di base giuridica del provvedimento sanzionatorio, avendo l’AGCM errato nel qualificare la fattispecie violazione dell’art. 102 TFUE, in quanto sarebbe mancato ogni pregiudizio al commercio tra gli Stati membri.
Invero, non pare perspicuo al Collegio il significato di tal doglianza. Si può forse discutere se la sussistenza di un pregiudizio al commercio intracomunitario non debba esser dimostrato in pratica, ma il I co. di tal norma prevede che è “… incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo…”.
È pur vero che il pregiudizio al commercio intracomunitario debba esser inteso in senso estensivo, tenendo conto che esso si ha anche quando, in base ad un complesso di elementi di fatto e di diritto, appaia abbastanza probabile che una decisione, un accordo o una pratica di tipo anti-concorrenziale siano idonei ad esercitare un’influenza diretta o indiretta, attuale o potenziale, sugli scambi tra Stati membri, ostacolando così l’effettività d’un mercato unico. E sarà vero pure che, quando un’impresa (come quelle RTI e Tr.) ha una posizione dominante che si estende alla totalità di uno Stato membro, non è dirimente se l’abuso anti-concorrenziale da essa realizzato riguardi solo una parte del suo territorio o incida su dati acquirenti nel territorio nazionale, poiché qualunque abuso, che renda più difficile l’accesso ad un mercato nazionale, incide sensibilmente sul commercio. A parte che quest’ultima proposizione tende ad includere tutti i tipi d’indebito effetto, ogni riferimento di AGCM a possibili effetti pregiudizievoli sull’attività economica transfrontaliera è irrilevante ai fini dell’accertata configurazione dell’abuso di posizione dominante, giacché l’art. 102 copre l’universo, nazionale o intracomunitario, di tali condotte illecite. Ed è altresì irrilevante per fondare esattamente la responsabilità di RF. e di Tr. per le vicende di Ar., per cui, essendo l’art. 3 della l. 287/1990 omeomorfa alla norma UE, non v’è errore di qualificazione giuridica nel provvedimento di AGCM sol perché si prospettanti i citati effetti pregiudizievoli transfrontalieri, quando ben più serio e rilevante è l’abuso “nazionale” perpetrato da (ed accertato in capo a) dette Società .
Se poi la tesi di Tr. vuol appuntarsi su una (per vero inconsistente) minor capacità difensiva di Tr. a cagione dell’erroneo convincimento dell’AGCM sul pregiudizio intracomunitario, si tratta d’un argomento che sfiora la pretestuosità . L’appellata, nel rammentare il diverso regime della recidiva, a seconda che il primo illecito sia stato accertato dalla Commissione o da una ANR in base alla norma del Trattato anziché a quella omeomorfa nazionale, non tien conto che a tal fine rileva non già chi accerta l’abuso e per qual mercato rilevante, bensì se l’abuso abbia avuto, o no, effetti pregiudizievoli transfrontalieri, sicché agli occhi del Collegio tal censura è di temuto pericolo e, ove mai s’attualizzasse, sarà quella la sede ove discutere se ed in qual misura sarà applicata la recidiva e a chi spetti farlo.
In ogni caso e qualunque sia la ragione per cui l’ordinamento nazionale non permetta l’applicazione congiunta dell’art. 3 della l. 287/1990 e del ripetuto art. 102 TFUE ai casi d’abuso di posizione dominante “interno”, l’art. 3 del regol. n. 1/2003/CE impone alle ANR di applicare gli artt. 101/102 TFUE al posto delle corrispondenti norme nazionali.
8.1. – Tr. dedusse pure la violazione dell’art. 14-ter della l. 287/1990, sebbene sui principi di tempestività e di reale efficacia degli impegni valgano, anche nei suoi riguardi, le considerazioni ut supra svolte, al § 7.1.
In particolare, l’art. 14-ter prevede che gli impegni debbano essere tali da “far venir meno i profili anticoncorrenziali”, per cui, in disparte la tardività, l’abuso, anche da parte di Tr., aveva già prodotto i suoi effetti escludenti irreversibili fin dal 9 novembre 2009, cioè fino dalla decisione del regolatore sull’effetto negativo dell’ingresso di Ar. rispetto ai CdS in atto.
Ora, essa propose quali impegni: a) di sottoporre a verifica esterna, affidata a soggetto indipendente e tecnicamente capace, sia la procedura seguita per fornire al regolatore la propria analisi in ordine alla compromissione dell’equilibrio economico dei CdS, sia la corretta esecuzione dell’analisi nei singoli procedimenti ex art. 59 della l. 99/2009, con riguardo pure alla veridicità dei dati estratti dalla contabilità aziendale; b) di condurre detta analisi fornendo tutti i dati rilevanti (ci sarebbe ora da chiedersi che cosa avesse fatto finora Tr. col regolatore-NDE), rispetto sia alle singole tratte interessate dall’offerta di IF concorrenti, sia all’intero contratto di servizio; c) introdurre una stringente tempistica (45 gg. dalla ricezione della richiesta dell’URSF) entro cui fornire al predetto regolatore tutte le informazioni richieste, completando inoltre la fase di verifica esterna (anche qui il Collegio non può esimersi dal chiedere a Tr. perché mai non l’avesse fatto per tempo-NDE).
Ma pur ad accedere alla tesi dell’appellata, tali adempimenti sarebbero stati inutili, sia per l’omesso ripudio della metodologia contabile che rese inutile ogni offerta di Ar., sia per l’evidente somministrazione di dati problematici ad un regolatore, al quale ora si vogliono fornire quelli giusti e certificati, quando sui primi per due volte non ebbe alcunché da ridire, aggravando la vicenda di quella IF. Sicché è difficile pensare che, nel 2012 e al di là dei criteri di ragionevole proporzionalità della decisione discrezionale di rigetto da parte dell’AGCM, tali impegni, che avrebbero per forza presupposto tutto il tempo occorrente alla certificazione sui “nuovi” dati, avrebbero avuto un effetto dirimente sulla concorrenza solo facendo la revisione di quel procedimento ex art. 59 il cui esito fu, per decisione dell’URSF, sempre negativo.
8.2. – Infine, quanto alla misura delle sanzioni, anzitutto valgono le considerazioni svolte al § 7.3, anche con riguardo alla dimidiazione del relativo importo, che lo rende in effetti simbolico, rispetto alla gravità della condotta abusiva.
Su tal punto specifico, il Collegio ripudia la tesi di Tr., in base alla quale AGCM avrebbe valutato tali condotte secondo l’errata prospettiva di indiscriminati, ma infondati processi di liberalizzazione in corso, in un contesto ove la tutela della concorrenza e di graduale apertura del mercato fosse da contemperare con la salvaguardia, certo non recessiva, dei servizi di TPL.
Pare al Collegio che l’art. 29, co. 1 del D.lgs. 188/2003, da un lato, diede risalto proprio all’ampia liberalizzazione del settore mercé la tendenziale soddisfazione, nei limiti fisici e di sicurezza della infrastruttura, di tutte le richieste di capacità e, dall’altro, che si tenesse in tal assegnazione anche e per quanto possibile, dei vincoli gravanti sui richiedenti, tra cui l’incidenza economica sulla loro attività . Il che è come dire che v’è la tendenziale prevalenza dello sfruttamento della rete da parte di vettori efficienti rispetto ai vincoli economici di vettori onerati di servizio pubblico, da rendere efficienti anche per il contenimento della spesa pubblica, spettando al gestore di giungere a siffatto equilibrio in sede di coordinamento ed al regolatore di fissare tariffe congruenti a tal fine. Dal canto suo, l’art. 59, co. 2 della l. 99/2009, parafrasando il considerando n. 12) della dir. n. 2007/58, invero ammise la limitazioni di fermate all’IF per evitare la compromissione dell’equilibrio economico dei CdS in atto, limiti, però, da intendere non solo o non tanto come mera sottrazione di fermate, ma, se del caso, con l’imposizione di diritti all’operatore di un nuovo servizio di TPL, sì da liberare risorse a favore di Tr..
8.2. – In ordine ai profili soggettivi, entrambe le Società appellate affermarono, a loro favore, il difetto dell’elemento soggettivo ai fini dell’irrogazione delle rispettive sanzioni, tale da imporre ad AGCM, per l’art. 3 della l. 24 novembre 1981 n. 689 (richiamato dall’art. 31 della l. 287/1990), di non imputare l’illecito alle parti.
La tesi non convince, pur alla luce della ferma giurisprudenza della Sezione (cfr. per tutti Cons. St., VI, 6 giugno 2011 n. 3353; id., 15 ottobre 2018 n. 5012), poiché le sanzioni amministrative irrogate dall’AGCM, in base al principio generale della materia contenuto nel citato art. 3 della l. 689/1981, richiedono semplicemente la coscienza e volontà della violazione, mentre è il trasgressore a dover dimostrare l’assenza di dolo o colpa. Non sfugge certo al Collegio la medio tempore sopravvenuta sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo (cfr. Corte EDU, II, 27 ottobre 2011 – Menarini Diagnostics), che riconobbe carattere penale alla sanzione de qua, ma il risultato non cambia. Infatti, il dolo e la colpa in senso penalistico s’identificano, il primo, con l’intenzionalità della condotta (ossia col fatto che l’agente nel momento in cui la pone in essere se la rappresenta come tale) e, la seconda, con la deviazione della condotta stessa dal comportamento che socialmente si richiede all’agente modello (ossia all’homo eiusdem generis et condicionis). Non per questo, però, essi richiedono, di regola e per esser accertati, la dimostrazione d’un particolare atteggiamento della coscienza, dato che si desumono in via automatica, salvo prova contraria, nel fatto di aver posto in essere determinate condotte.
Ebbene, la sua condotta di Tr., lungi dall’esser stata neutra, fu veramente dolosa, poiché essa commise verso il regolatore e la stessa Ar. proprio tutti quei comportamenti che poi avrebbe voluto emendare con l’elenco degli impegni. Nel contesto così delineato, allora il dolo (ed anche la colpa), quale aspetto della volontà che sorresse la condotta illecito, non poté essere mai escluso dall’eventuale buona fede, perché ogni errore sulla liceità del fatto ha effetto esimente soltanto ove fossero stati presenti elementi positivi idonei ad ingenerare, in Tr., il convincimento della liceità del suo operato. Ma ciò sarebbe potuto accadere solo se detta Società avesse tenuto una condotta il più possibile conforme al precetto di legge -onde nessun rimprovero le si sarebbe potuto muovere-, mentre in realtà essa, chiamata dal regolatore nel procedimento ex art. 59, co. 3 della legge n. 99, non solo non fu tempestiva nell’adempiere all’incombente istruttorio, ma non gli diede comunque la possibilità di reinterpretare i dati contabili alla luce di criteri idonei a descrivere il reale impatto del progetto di Ar. sui CdS.
In questo senso, la condotta di Tr. fu peggiore di quella di RF. e giustamente fu sanzionata in misura diversa da quanto accadde a RF.. Infatti, quest’ultima dolosamente s’astenne inutilmente e per lungo tempo dal provvedere sulla richiesta di Ar., mettendo in campo vari escamotage, perlopiù inutili. Tr., già avvantaggiata dal comportamento di RF., agì sul regolatore solo per enfatizzare, grazie ai criteri per il calcolo del costo del capitale investito, l’impatto dell’ingresso di tal Ar. sui CdS, salvo poi addossare all’URSF il contenuto della scelta sfavorevole contro tal IF, scelta, questa, che però essa aveva così indotto (al di là del tempo occorso), in assenza d’ogni buona fede e con preciso intento anti-concorrenziale.
9. – In definitiva, l’appello va sì accolto, ma nei termini fin qui visti. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
La complessità e la novità della vicenda contenziosa suggeriscono la compensazione integrale, tra tutte le parti, delle spese del presente grado d’appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 5829/2014 in epigrafe), lo accoglie in parte e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, per quanto di ragione conferma l’accoglimento del ricorso della FS s.p.a. e respinge i restanti due ricorsi di primo grado di RF. s.p.a. e Tr. s.p.a. nei soli sensi di sensi di cui in motivazione.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio dell’11 aprile 2019, con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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