Consiglio di Stato, Sentenza|14 dicembre 2020| n. 7995.
La natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi e, quindi, anche delle determinazioni di sanatoria, esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, non impone nei confronti dell’amministrazione procedente, laddove come, nel caso di specie, l’impedimento al condono sia insuperabile perché tassativamente previsto dalla legge, un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della relativa domanda.
Sentenza|14 dicembre 2020| n. 7995
Data udienza 1 ottobre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Abusi – Zona sottoposta a vincolo – Vincolo archeologico – Condono – Procedimento – Natura vincolata delle determinazioni – Risvolti applicativi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10239 del 2014, proposto dal signor Fr. Ri., rappresentato e difeso dall’avvocato Mi. Co. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Ge. Te. in Roma, piazza (…);
contro
– il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e la Soprintendenza per i beni archeologici delle Province di Napoli e Caserta, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano per legge in Roma, via (…);
– il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 22 maggio 2014 n. 2822, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del Ministero e della Sovrintendenza appellati ed i documenti prodotti;
Esaminate le ulteriori memorie depositate dalle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza dell’1 ottobre 2020 il Cons. Stefano Toschei; nessuno è comparso per le parti e tenuto conto che l’avvocato Mi. Co., nel rispetto del Protocollo d’intesa sottoscritto in data 15 settembre 2020 tra il Presidente del Consiglio di Stato e le rappresentanze delle Avvocature, ha fatto pervenire richiesta di passaggio in decisione del giudizio senza discussione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso in appello il signor Fr. Ri. ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 22 maggio 2014 n. 2822, con la quale è stato respinto il ricorso (R.g. n. 6941/2009) proposto ai fini dell’annullamento del provvedimento prot. n. 17953 dell’1 giugno 2006 con cui la Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e Provincia ha espresso parere sfavorevole in merito al rilascio del condono edilizio, ai sensi della l. 28 febbraio 1985, n. 47, richiesto relativamente alle opere edilizie abusivamente edificate (in (omissis), via (omissis)) e consistenti in un manufatto di superficie pari a mq. 74,00, negando la compatibilità della sanatoria con il vincolo archeologico gravante sull’area di sedime delle predette opere edili.
2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:
– con istanza del 25 marzo 1986 prot. n. 15763 l’odierno appellante chiedeva al Comune di (omissis), in applicazione delle disposizioni sul condono edilizio recate dalla citata l. 47/1985, il rilascio del provvedimento di sanatoria edilizia con riferimento ad alcune opere abusivamente edificate in (omissis), via (omissis) e consistenti in un manufatto di superficie pari a mq. 74,00;
– nello specifico la domanda di sanatoria aveva ad oggetto la realizzazione di opere, di superficie complessiva pari a mq. 74,00, distribuite verticalmente su diversi livelli, risalenti a parecchi anni addietro e consistenti in “deposito e ripostiglio al piano terra ampliamento dell’appartamento al piano rialzato ed ampliamento dell’appartamento al primo piano, in aderenza a preesistenza edilizia”;
– nel corso dell’istruttoria l’ufficio comunale competente, posto che l’area in questione è sottoposta a vincolo paesaggistico, trasmetteva gli atti alla commissione edilizia integrata che rendeva parere favorevole al condono nella seduta del 12 giugno 1996;
– in ragione di quanto sopra il Comune di (omissis), con provvedimento prot. n. 13384 del 4 aprile 2006, rilasciava all’interessato il nulla-osta paesaggistico richiesto che veniva, poi, doverosamente trasmesso alla competente Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico di Napoli e Provincia, per l’esercizio del controllo di legittimità nonché, nonostante le opere da condonare ricadessero in area sottoposta a vincolo archeologico imposto con D.M. 19 marzo 1993 in epoca, quindi, successiva alla realizzazione delle predette opere (nonché successiva all’entrata in vigore della legge sul “primo” condono, l. 47/1985), anche alla Soprintendenza per i beni archeologici delle province di Napoli e Caserta per la pronuncia sul rilascio del nulla osta di competenza;
– la Soprintendenza per i beni archeologici delle province di Napoli e Caserta rendeva parere sfavorevole al rilascio del condono con provvedimento prot. n. 17953 dell’1 giugno 2006, sul presupposto che il manufatto oggetto di richiesta di condono edilizio insiste in zona soggetta a vincolo archeologico (ai sensi del D.M. 19 marzo 1993) che, per fini di conservazione e di valorizzazione dell’area sulla quale è ubicato il tracciato dell’antica via consolare (omissis), fa assoluto divieto di costruire fabbricati di qualsiasi tipo e natura nonché di modificare l’attuale assetto dei luoghi;
– detto provvedimento era impugnato dinanzi al TAR per la Campania che, con la sentenza 22 maggio 2014 n. 2822, respingeva il ricorso proposto in quanto, dal momento che le specifiche prescrizioni del decreto ministeriale impositivo del vincolo impediscono non solo la costruzione di fabbricati di qualsiasi tipo, nell’area in questione, ma anche la semplice modifica dell’assetto dei luoghi, trovano nel caso in esame applicazione le disposizioni recate dalla l. 47/1985 nella parte in cui stabilisce il principio per cui “i vincoli di inedificabilità assoluta risultano preclusivi del condono solo se apposti prima dell’esecuzione delle opere, fermo restando che se sopravvenuti – dovendo la funzione amministrativa essere esercitata secondo la normativa vigente alla data del relativo esercizio – detti vincoli restano comunque rilevanti, ma come vincoli a carattere relativo, richiedenti dunque apposita e concreta valutazione, da parte dell’Autorità preposta, circa la compatibilità dell’opera realizzata con i valori tutelati” (così, espressamente, nella sentenza qui oggetto di appello);
– ne deriva, a parere del giudice di primo grado, non solo la competenza della Soprintendenza ad esprimere il proprio avviso nel procedimento di rilascio del condono edilizio per l’area ricadente in zona vincolata, ma anche la congruità della motivazione del parere nel quale l’ente ha “esplicitato, anche in concreto, le ragioni ostative alla conservazione delle opere in argomento in quanto, in ragione della loro ubicazione, tali opere implicano un pericolo concreto rispetto alle esigenze di salvaguardia del valore archeologico della zona e della sua valorizzazione” (così ancora, espressamente, nella sentenza qui oggetto di appello).
3. – L’appellante chiede, dunque, la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 22 maggio 2014 n. 2822 sostenendo la evidente erroneità delle conclusioni alle quali è giunto il predetto Tribunale e tracciando sostanzialmente tre coordinate contestative che condurrebbero alla dichiarazione di illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado e alla conseguente inattendibilità del percorso argomentativo fatto proprio dal giudice di primo grado per respingere il ricorso in quella sede proposti.
In sintesi, dunque, i motivi di appello sono i seguenti:
1) erra il Tribunale amministrativo regionale a voler considerare impeditiva al rilascio del condono la presenza di un vincolo archeologico impresso sull’area ove insistono le opere oggetto di condono dal D.M. 19 marzo 1993, dal momento che la l. 47/1985 stabilisce espressamente che i vincoli impeditivi al rilascio della sanatoria sono solo quelli impressi in epoca antecedente rispetto alla realizzazione delle opere oggetto di condono. Conseguentemente, nel caso di specie, si conferma la incompetenza ad esprimere alcun parere sulla condonabilità delle opere da parte della Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e Caserta, in quanto le “(…) opere abusive in contrasto con un vincolo sopravvenuto di inedificabilità sarebbero, infatti, di per sé solo sanabili, senza previo parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, giacché questo, ove richiesto, sarebbe inutile a motivo del suo necessitato contenuto negativo per la sussistenza del vincolo di inedificabilità, seppur successivamente intervenuto, mentre la sanatoria di opere realizzate su aree sottoposte ad un vincolo che non comporta inedificabilità, sarebbe subordinata al previo parere favorevole dell’Amministrazione competente” (così, testualmente, a pag. 6 dell’atto di appello). Inoltre l’art. 2 del decreto ministeriale citato chiarisce che il vincolo impeditivo a costruire trova applicazione con riferimento a nuovi e, pertanto, futuri interventi edilizi e tende, inoltre alla conservazione delle attuali condizioni ambientali, quindi la portata impeditiva alla sanatoria non può interessare opere edilizie già esistenti al momento della sua entrata in vigore;
2) altrettanto erroneamente il primo giudice ha ritenuto di non accogliere il motivo di censura, dedotto in primo grado, con il quale l’odierno appallante tacciava di illegittimità il parere sfavorevole reso dalla Soprintendenza per mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda di condono che avrebbe dovuto essere trasmesso all’interessato ai sensi dell’art. 10-bis l. 241/1990, in quanto, ancor di più nel caso di specie, l’odierno appellante confidava legittimamente nel buon esito della procedura, oramai ingeneratosi, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera e dalla presentazione della domanda di sanatoria, oltre al fatto che si verte in ipotesi di provvedimento di diniego di nulla osta adottato senza che l’interessato sia stato preventivamente messo in grado di conoscere i motivi ostativi all’accoglimento della richiesta di sanatoria;
3) posto che il rilascio del parere di conformità non costituisce espressione di un potere vincolato, da adottarsi in via automatica solo per effetto di un vincolo di inedificabilità, dovendo la Soprintendenza, invece, svolgere i necessari accertamenti in concreto per valutare la compatibilità del manufatto con il provvedimento di vincolo, il parere sfavorevole al rilascio del condono doveva essere puntualmente motivato con riferimento alla reale consistenza dei manufatti oggetto di richiesta di sanatoria, alla specifica situazione dei luoghi nei quali essi ricadono e alle ragioni di incompatibilità dell’opera con il contesto ambientale vincolato, motivazione che, nella specie, è del tutto mancata. La Sovrintendenza, infatti, ha fondato il provvedimento di diniego sulla base della sola considerazione della esistenza del vincolo archeologico insistente sull’area in questione, tant’è che nel provvedimento impugnato si è limitata unicamente a richiamare il decreto di vincolo ed i valori con esso tutelati esplicitando unicamente le ragioni, le circostanze di fatto e gli elementi per cui il vincolo è stato imposto, “omettendo però di motivare in ordine al concreto contrasto ovvero al danno ed al concreto pericolo rispetto all’esigenza di salvaguardia del valore archeologico in relazione all’intervento eseguito”.
4. – Si sono costituiti nel presente giudizio di appello il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e la Soprintendenza per i beni archeologici delle Province di Napoli e Caserta, mentre il Comune di (omissis) ha ritenuto di non costituirsi in questo secondo grado di giudizio.
Le suddette amministrazioni hanno confermato la correttezza della sentenza di primo grado, contestando la fondatezza delle censure dedotte in grado di appello.
In particolare la difesa erariale ha ricordato, in sintesi, che:
1) la decisione della Soprintendenza e la conferma della legittimità del provvedimento sfavorevole espressa dal TAR per la Campania non costituiscono altro che la concretizzazione di orientamenti giurisprudenziali granitici in materia e che quindi vanno confermati anche nella sede di appello;
2) vertendosi in materia di procedimento per il rilascio del condono edilizio, di competenza comunale, il preavviso di diniego, semmai fosse stato necessario trasmetterlo nel caso di specie, doveva essere inviato all’interessato dal comune e quindi la mancata comunicazione ai sensi dell’art. 10-bis l. 241/1990 non può essere utilizzata quale pretesto per la contestazione della legittimità del parere reso dalla Soprintendenza, non incombendo su quest’ultima tale onere. D’altronde l’appellante ha fondato le proprie contestazioni esclusivamente sulla questione di diritto del difetto di competenza della Soprintendenza a rendere il parere e sulla inapplicabilità giuridica del vincolo al procedimento di sanatoria perché sorto dopo la realizzazione dell’opera, senza muovere, nel ricorso di primo grado, contestazioni specifiche in merito alle valutazioni effettuate dalla Soprintendenza con riguardo alla incompatibilità della sanatoria rispetto al vincolo impresso all’area;
3) infine l’asserito legittimo affidamento ingenerato dal lasso di tempo trascorso dalla presentazione della domanda fino all’epoca della pronuncia della Soprintendenza non può valorizzarsi nel caso di specie, in quanto tale situazione di attesa qualificata alla positiva conclusione del procedimento non può concretizzarsi in occasione di una richiesta di sanatoria di opere abusive.
Da quanto sopra consegue, ad avviso dell’amministrazione appellata, la reiezione del gravame proposto.
5. – Le parti hanno presentato ulteriori memorie confermando le opposte conclusioni già anticipate negli atti processuali.
6. – Osserva il Collegio che, in seguito all’esame della documentazione depositata dalle parti non vi sono dubbi che:
– l’area in cui si trovano le opere oggetto della richiesta di rilascio del condono edilizio sia vincolata ai sensi dell’art. 2 D.M. 19 marzo 1993 con vincolo di inedificabilità assoluta, sia per nuove costruzioni che per la modifica di quelle esistenti, atteso che in detta area “è fatto assoluto divieto di costruire fabbricati di qualsiasi tipo e/o natura, nonché di modificare l’attuale assetto dei luoghi”;
– il provvedimento della Soprintendenza sia comunque motivato in quanto, come ha precisato già il primo giudice, la ragione del parere sfavorevole al condono edilizio delle opere realizzate deriva dalla “(…) necessità di preservare il tracciato dell’antica via consolare (omissis), a ridosso della quale si trova l’area di proprietà attorea” nonché dalla circostanza di fatto, bene evidenziata dalla Soprintendenza, “che la ricerca archeologia degli ultimi anni ha aggiunto ai reperti già rinvenuti, e da tempo in vista, quali i nuclei di necropoli cd. di via (omissis) e di via (omissis), o i mausolei antistanti lo stabilimento ex Ge., nuovi ed imponenti complessi, quali una villa residenziale di fronte alla ex Ge. ovvero mausolei monumentali ipogei a sud del medesimo stabilimento, evidenziando al contempo la necessità di ampliare il parco archeologico della via (omissis) previsto dagli strumenti urbanistici comunali”.
Resta dunque da chiarire, al fine di valutare se i motivi di appello si prestano ad essere o meno condivisi, se:
a) può incidere in senso sfavorevole al rilascio della sanatoria edilizia la presenza ostativa di un vincolo archeologico impresso all’area successivamente all’epoca di realizzazione delle opere abusive e all’epoca di introduzione della legge sul condono edilizio, sulla scorta della quale è stata presentata la domanda denegata;
b) se, conseguentemente, è obbligatoria l’acquisizione del parere della Soprintendenza preposta alla tutela di tale vincolo nell’ambito del procedimento di verifica della condonabilità delle opere realizzate nell’area in questione;
c) se la motivazione, come sopra riprodotta, sia sufficiente a ritenere incondonabili le opere in questione;
d) se, infine, la mancata comunicazione del preavviso di diniego determini la illegittimità del parere sfavorevole espresso dalla Soprintendenza.
7. – In punto di diritto va ricordato che la questione della rilevanza dei vincoli sopravvenuti nei procedimenti di sanatoria edilizia è stato oggetto di un articolato dibattito giurisprudenziale, i cui esisti possono così sunteggiarsi:
– nel caso di sopravvenienza di un vincolo di protezione, l’amministrazione competente ad esaminare l’istanza di condono proposta ai sensi della l. 47/1985 (nonché della successiva l. 23 dicembre 1994, n. 724) deve acquisire il parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo sopravvenuto, la quale deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Ad. pl., 22 luglio 1999 n. 20);
– il procedimento preordinato al rilascio del condono o della sanatoria, ai sensi dell’art. 32 l. 47/1985, è infatti subordinato al parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo a prescindere dall’epoca della sua introduzione; il previo ottenimento del parere favorevole è necessario anche per opere eseguite prima dell’apposizione del vincolo (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8246 e 6 settembre 2018 n. 5244 nonché, più di recente, Cons. Stato, Sez. II, 28 agosto 2020 n. 5284).
– per quanto sussista l’onere procedimentale di acquisire il necessario parere in ordine alla assentibilità della domanda di sanatoria – a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo – l’Autorità preposta deve esprimere non una valutazione di conformità delle opere alle predette previsioni, trattandosi di un vincolo non esistente al momento della loro realizzazione, bensì un parere di compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio abusivo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 2015 n. 4564);
– quando le previsioni di tutela sono sopraggiunte alla realizzazione dell’intervento edilizio, la valutazione paesaggistica non potrebbe compiersi come se l’intervento fosse ancora da realizzare, e ciò è tanto più vero nei casi in cui le previsioni di tutela successivamente sopraggiunte ad integrare la disciplina dell’area risultano del tutto incompatibili con la tipologia dell’intervento già realizzato;
– in definitiva, il vincolo sopravvenuto non può considerarsi una condizione ex se preclusiva e insuperabile alla condonabilità degli edifici già realizzati, dovendo l’amministrazione valutare se vi sia compatibilità tra le esigenze poste a base del vincolo – anche sulla salvaguardia della pubblica incolumità – e la permanenza in loco del manufatto abusivo (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 23 dicembre 2019 n. 8704).
Nel caso di specie, in applicazione del quadro normativo sunteggiato nonché dei riferiti orientamenti giurisprudenziali consolidati, la Soprintendenza per i beni archeologici delle province di Napoli e Caserta aveva competenza ad esprimere il proprio avviso in merito alla condonabilità delle opere, tenuto conto delle prescrizioni vincolistiche gravanti sull’area sebbene il vincolo fosse stato impresso in epoca successiva alla realizzazione delle opere e alla presentazione della domanda di condono.
8. – Quanto alla congruità della motivazione appare evidente, nel caso in esame, che la Soprintendenza, rappresentando puntualmente le ragioni che hanno condotto alla imposizione del vincolo storico-archeologico su tutta l’area contigua alla via (omissis), quale tratto di territorio nel quale può storicamente inquadrarsi la presenza del tracciato dell’antica via consolare (omissis), ha correttamente disegnato l’importanza della zona archeologica in questione, facendo specifico riferimento agli elaborati progettuali trasmessi (alla Soprintendenza) dal Comune di (omissis) e relativi alla proprietà del signor Ri., significando che il vincolo di inedificabilità assoluta ha l’evidente scopo di proteggere il tracciato della via (omissis) come le aree ad esso immediatamente adiacenti. La Soprintendenza ha poi evidenziato, nel provvedimento impugnato in primo grado, come l’inedificabilità assoluta (sia per la realizzazione di nuove opere che per la trasformazione dei fabbricati esistenti) in tutta l’area adiacente la via (omissis) risponde a due ordini di obiettivi di tutela del patrimonio archeologico:
– per un verso la corretta conservazione e la salvaguardia di preesistenze monumentali quali nuclei di necropoli (di Via (omissis) e Via (omissis), già da tempo in vista) nonché dei mausolei che sono antistanti allo stabilimento ex Ge., oltre ad una villa residenziale;
– per altro verso rendere possibile l’ampliamento del parco archeologico della Via (omissis) già previsto dagli strumenti urbanistici locali.
Consegue a quanto sopra che le ragioni del diniego di sanatoria sono state, seppur sinteticamente, sufficientemente tracciate dalla Soprintendenza, ai fini della valutazione della condonabilità delle opere edilizie realizzate nella proprietà del signor Ri..
Ad ogni modo un decisivo riferimento circa la peculiarità dell’area dal punto di vista storico-archeologico è presente nello stesso D.M. del 1993 richiamato, per relationem, nel parere contrario alla condonabilità delle opere espresso dalla Soprintendenza.
Deve dunque rilevarsi che una lettura sistemica delle affermazioni contenute nel parere gravato pone in evidenza una chiara traiettoria argomentativa che regge le determinazioni assunte dall’organo tutorio, secondo una valutazione che prescinde dalla maggior o minore contiguità dell’area alle evidenze archeologiche, nonché dalla natura diretta o indiretta dal vincolo, risultando tutelata l’esigenza di fruizione collettiva del Parco Archeologico, nonché stante la necessità di preservare la connotazione ambientale dei numerosi complessi archeologici ivi esistenti in elevato (necropoli monumentali, ville residenziali, nuclei isolati di necropoli).
Ordunque, alla stregua di una piana lettura della motivazione del parere impugnato, appare di tutta evidenza l’intrinseca coerenza logica della valutazione svolta dall’organo tutorio il quale ha rilevato, in forma sintetica ma efficace, come per la rilevanza archeologica dell’area deve escludersi la possibilità di effettuare nuovi interventi edilizi ovvero opere modificative (come nel caso in esame) di strutture preesistenti, al fine di salvaguardare il godimento del contesto paesaggistico del complesso archeologico oggetto di tutela e suscettibile di più ampia valorizzazione all’interno di un Parco archeologico.
9. – Resta la censura, riproposta in sede di appello, in ordine alla mancata comunicazione del preavviso di diniego da parte della Soprintendenza.
In argomento, come è noto, si è formato un orientamento giurisprudenziale della Sezione, che non vi è ragione di disattendere nel presente giudizio, secondo il quale, nel caso in cui venga espresso un parere della Soprintendenza con riferimento alla valutazione della condonabilità di opere edilizie su area soggetta a vincolo, laddove sia dimostrata la impossibilità giuridica di consentire il rilascio del richiesto condono, per effetto della prevalente necessità di tutela dell’area vincolata, trova applicazione il principio generale, di cui all’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, l. 241/1990, a mente del quale l’omissione del preavviso di rigetto non può condurre all’annullamento del provvedimento impugnato, nel caso in cui l’eventuale comunicazione del preavviso di rigetto (e il conseguente contenuto delle eventuali osservazioni prodotte dalla parte interessata) non avrebbero condotto la Soprintendenza ad esprimere un parere di segno diverso e, quindi, favorevole(cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 26 agosto 2019 n. 5884).
Infatti la succitata norma, come è a tutti noto, così dispone: “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Orbene, per come più sopra si è chiarito, dalla lettura degli atti risulta dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso dalla verifica di incompatibilità in concreto operata dalla Soprintendenza.
Depongono in tal senso la rilevata operatività del vincolo pur nella natura sopravvenuta dello stesso, la evidente incompatibilità con esso degli interventi edilizi realizzati in area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta, la necessità che sia ampiamente salvaguardata la vocazione archeologica dell’area stessa e del Parco archeologico nel quale è inserita.
D’altronde, la natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi e, quindi, anche delle determinazioni di sanatoria, esclude(rebbe) la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, non impone nei confronti dell’amministrazione procedente, laddove come, nel caso di specie, l’impedimento al condono sia insuperabile perché tassativamente previsto dalla legge, un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della relativa domanda (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. VI, 18 giugno 2019 n. 4103 e 26 novembre 2018 n. 6671).
10. – Ritenuti quindi infondati i motivi dedotti in grado di appello, il relativo gravame (n. R.g. 10239/2014) va respinto potendosi, per l’effetto, confermare la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 22 maggio 2014 n. 2822, con conseguente conferma della reiezione del ricorso di primo grado (R.g. n. 6941/2009).
Le spese del giudizio di secondo grado seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., liquidandosi a carico del signor Fr. Ri. e a favore del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e della Soprintendenza per i beni archeologici delle Province di Napoli e Caserta, nella misura complessiva di Euro 3.000,00 (euro tremila/00) oltre accessori come per legge. La mancata costituzione in giudizio nel grado di appello del Comune di (omissis) esenta questo giudice dalla decisione sulle spese con riferimento alla predetta parte processuale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. R.g. 10239/2014, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. VI, 22 maggio 2014 n. 2822, con conseguente conferma della reiezione del ricorso di primo grado (R.g. n. 6941/2009).
Condanna il signor Fr. Ri. a rifondere le spese del giudizio in grado d’appello in favore del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e della Soprintendenza per i beni archeologici delle Province di Napoli e Caserta, in persona del rispettivi rappresentanti legali pro tempore, nella misura complessiva di Euro 3.000,00 (euro tremila/00) oltre accessori come per legge.
Nulla per le spese del grado di appello con riferimento al Comune di (omissis).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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