Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 24 aprile 2020, n. 12911.
Massima estrapolata:
L’amministratore che non promuove le azioni legali a tutela dei crediti della società non può difendersi dall’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale con l’affermazione di non essersi appropriato indebitamente del denaro distraendolo
Sentenza 24 aprile 2020, n. 12911
Data udienza 6 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Reati fallimentari – Fatti di bancarotta – Bancarotta fraudolenta – Mancata riscossione di un credito – Integrazione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale – Ragioni
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere
Dott. MOROSINI E. M. – rel. Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/03/2019 della CORTE di APPELLO di LECCE, SEZIONE DISTACCATA di TARANTO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Elisabetta Maria Morosini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Lori Perla, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la condanna di (OMISSIS), pronunciata all’esito di giudizio abbreviato, per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capi A e B con esclusione di alcune condotte) e documentale (capo C), commessi nella veste di amministratore unico (dal 29 luglio 2005 alla data del fallimento) della societa’ “(OMISSIS)” s.r.l., dichiarata fallita il (OMISSIS); mentre ha prosciolto il medesimo imputato sia dai reati di cui ai capi D) ed E) perche’ estinti per prescrizione, sia dalla condotta di sottrazione dei crediti verso soci e dalla distrazione dei corrispettivi di vendita di cui alle fatture da 1 a 28 e alla fattura n. 36, per insussistenza del fatto; ha inoltre escluso l’aggravante del danno di rilevante gravita’; ha concesso le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla cd. “continuazione fallimentare”; ha rideterminato la pena principale e, infine, ha rimodulato le pene accessorie di cui all’articolo 216, u.c., L.F. in ossequio alla sentenza della Corte Costituzionale n. 222 del 2018.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato, tramite i difensori, articolando quattro motivi.
2.1 Con il primo e il secondo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di sussistenza della bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo A).
2.1.1 In relazione ai crediti verso terzi, sostiene il ricorrente che non vi sarebbe prova che il corrispettivo di tali crediti fosse stato versato e che se ne fosse appropriato l’amministratore. Anzi e’ la sentenza stessa ad addebitare all’imputato di “non aver fatto nulla per avviare le pratiche di riscossione dei crediti insoluti”.
2.1.2 Quanto alle “immobilizzazioni e rimanenze”, si afferma che la prova sarebbe desunta dalla circostanza che l’imputato non avrebbe fornito indicazioni sufficienti circa l’ubicazione dei beni, in tal modo ponendo a carico dell’imputato un onere probatorio gravante invece sulla pubblica accusa.
Si rileva che: non esiste un verbale recante la sottoscrizione dell’imputato; non risulta una richiesta di informazioni da parte del curatore; si trattava di beni deperibili (per la gran parte vino); l’intervento del curatore e’ avvenuto a distanza di sei anni dalla cessazione dell’attivita’; le immobilizzazioni immateriali non possono costituire oggetto di distrazione; le immobilizzazioni materiali e le rimanenze di magazzino non sono state ricercate dal curatore il che lascia intendere come le stesse fossero prive di valore economico.
Inoltre nella relazione del curatore non vi sarebbe cenno a condotte distrattive, lo stesso consulente tecnico del pubblico ministero si sarebbe espresso in termini ipotetici.
2.2 Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di sussistenza della bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo B).
L’imputato e’ stato ritenuto responsabile della distrazione dei corrispettivi delle fatture di vendita emesse dalla societa’ nell’anno 2005, dalla numero 29 alla numero 38 (esclusa la numero 36), solo in ragione della emissione delle fatture, in assenza di prova del fatto che i pagamenti siano stati effettivamente incassati e quindi distratti.
2.3 Con il quarto lamenta analoghi vizi sulla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale (capo C).
Dalle dichiarazioni del curatore e del consulente tecnico del pubblico ministero risulta che la contabilita’ e’ stata regolarmente tenuta.
Risulta solo una parziale incompletezza, successiva al 2004, dovuta alla inoperativita’ della societa’.
Il reato prevede il dolo specifico costituito dallo scopo di procurare a se’ o ad altri un ingiusto profitto, profilo cui nessun cenno dedica la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. Il primo e il secondo motivo sono manifestamente infondati.
2.1 La prima censura non coglie quale sia la condotta materiale effettivamente addebitata al (OMISSIS).
L’imputato viene ritenuto responsabile di banca rotta fraudolenta patrimoniale non per aver distratto il denaro ricavato dalla riscossione dei crediti, ma per aver omesso di porre in essere, dal momento di assunzione della carica di amministratore e sino al fallimento avvenuto cinque anni piu’ tardi, qualunque azione di recupero dei crediti vantati dalla societa’ verso terzi, ammontanti all’importo complessivo di circa 90.000,00 Euro (pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata).
Secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione la mancata riscossione di crediti integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all’articolo 216, comma 1, L.F. poiche’ oggetto delle condotte di depauperamento e’ il patrimonio in senso lato, comprensivo delle ragioni di credito che devono concorrere alla formazione dell’attivo patrimoniale (da ultimo Sez. 5, n. 57153 del 15/11/2018, Ruggeri, Rv. 275232).
Invero in materia di bancarotta fraudolenta, il depauperamento, apprezzabile ai fini della configurazione del reato di cui all’articolo 216 L. Fall., va inteso come riferito ad una nozione giuridica di patrimonio in senso lato, comprensivo cioe’ non solo dei beni materiali ma anche di entita’ immateriali, fra cui rientrano anche le ragioni di credito che avrebbero dovuto concorrere alla formazione dell’attivo del compendio patrimoniale (Sez. 5, n. 32469 del 16/04/2013, Nassetti, Rv. 256252), tanto piu’ che oggetto della bancarotta fraudolenta patrimoniale puo’ anche essere un bene futuro, purche’ non si riduca a mera aspettativa (ex plurimis, Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984, Pompeo, Rv. 165675).
2.2 La seconda censura, per un verso, espone profili di merito gia’ esaminati e risolti dalla Corte di appello (effettiva ed infruttuosa interlocuzione con il curatore; esito degli accertamenti che non hanno consentito di rinvenire alcun bene che invece risultava esistente, cfr. pag. 7 sentenza impugnata); mentre, per altro verso, propugna tesi giuridiche del tutto prive di fondamento.
Deve ribadirsi come la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della societa’ dichiarata fallita possa essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260 del 22 settembre 2015, dep. 2016, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, Ranon, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, Ghirardelli, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, Zanettin, Rv. 255385; Sez. 5, n. 7048 del 27 novembre 2008, dep. 2009, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400 del 15 dicembre 2004, dep. 2005, Sabino, Rv. 231411).
Il ricorrente trascura la costante elaborazione seguita dal giudice di legittimita’, la quale si ancora alla peculiarita’ della normativa concorsuale. Deve quindi ricordarsi che l’imprenditore e’ posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima. Donde la diretta responsabilita’ del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell’integrita’ della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra l’evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta. La L. Fall., articolo 87, comma 3 (anche prima della sua riforma) assegna al fallito obbligo di verita’ circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell’interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale. Immediata e’ la conclusione che le condotte descritte all’articolo 216, comma 1, n. 1 (tra loro sostanzialmente equipollenti) hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto dell’interpello. Osservazioni che giustificano lâEuroËœ(apparente) inversione dell’onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura e di assenza di giustificazione al proposito (o di giustificazione resa in termini di spese, perdite ed oneri attinenti o compatibili con le fisiologiche regole di gestione). Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato della dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato. Indicazione che (presumibilmente) soltanto egli, che e’ (oltre che il responsabile) l’artefice della gestione, puo’ rendere (Sez. 5, n. 7588 del 26 gennaio 2011, Buttitta, in motivazione).
3. Il terzo motivo e’ infondato.
Anche a voler seguire la tesi del ricorrente la condotta distrattiva sussiste.
Difatti:
– o le residue fatture in contestazione sono state pagate dai clienti alla fallita e allora, in difetto di prova circa la successiva destinazione delle somme, il ricavato, non rinvenuto nel patrimonio aziendale, deve ritenersi distratto in base a quanto detto sopra al paragrafo 2.2 e sulla base degli indici indicati dai giudici di merito: la mancata annotazione delle fatture nei libri contabili;
– oppure le fatture non sono mai state pagate, come sostiene il ricorrente, allora l’oggetto della distrazione e’ costituito dalla merce trasferita a terzi senza mai pretendere il pagamento del corrispettivo.
4. Il quarto motivo e’ infondato.
Le doglianze sono inammissibili nella parte in cui prospettano una diversa ricostruzione del fatto, richiamando gli asseriti esiti di alcune prove.
Mentre sono infondate per la residua parte.
4.1 La bancarotta fraudolenta documentale di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico, e quella di tenuta della contabilita’ in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi e richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904).
4.2 Nel caso in esame risulta contestata e ritenuta in sentenza la seconda ipotesi (cfr. pag.9 sentenza impugnata).
Quindi obiezioni sollevate dal ricorrente in tema di dolo specifico non sono pertinenti, poiche’ ricorre la fattispecie a dolo generico.
5. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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