Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza|5 marzo 2020| n. 6123.

La massima estrapolata:

Ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non è sufficiente, perché non esprime in modo inequivocabile l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attività materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa è svolta “uti dominus”; costituisce, pertanto, accertamento di fatto, rimesso al giudice del merito, valutare, caso per caso, l’intero complesso dei poteri esercitati su un bene, non limitandosi a considerare l’attività di chi si pretende possessore, ma considerando anche il modo in cui tale attività si correla con il comportamento concretamente esercitato del proprietario.

Ordinanza|5 marzo 2020| n. 6123

Data udienza 24 settembre 2019

Tagparola chiave: Proprietà – Intervenuta usucapione del terreno agricolo confinante – Irrilevanza dell’attività di coltivazione sul fondo non sufficiente ad integrare il possesso ad usucapionem – Riparto dell’onere della prova – Genericità delle doglianze – Rigetto

________________________________________
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 16366-2018 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 527/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 20/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO COSENTINO.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

I sigg. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza con cui la corte d’appello di Catanzaro, confermando la decisione del tribunale della stessa citta’, ha rigettato la domanda del loro dante causa (OMISSIS) (deceduto in corso di causa) avente ad oggetto la dedotta usucapione dei terreni agricoli e fabbricati annessi, siti nel Comune di (OMISSIS), oggi in proprieta’ di (OMISSIS).
La corte d’appello, condividendo il percorso argomentativo del giudice di prime cure, ha giudicato l’attivita’ di coltivazione svolta da (OMISSIS) non sufficiente ad integrare il possesso ad usucapionem, trattandosi di attivita’ non corrispondente, sul piano qualitativo e quantitativo, all’esercizio del completo dominio sulla cosa. Sotto altro aspetto, nell’impugnata sentenza si evidenzia che il titolare del fondo, (OMISSIS), aveva compiuto attivita’ di controllo, custodia e sorveglianza sul bene – quali la concessione in fitto di parte dei terreni o le denunce per discarica abusiva di terra e materiale di risulta – incompatibili con l’altrui possesso ad usucapionem.
Con il primo motivo di ricorso, riferito all’articolo 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., degli articoli 832, 1158, 1140 c.c. in cui la corte d’appello sarebbe incorsa ritenendo che l’attivita’ di coltivazione di un fondo non sia da sola sufficiente a configurare un possesso ad usucapionem. I ricorrenti – dopo aver premesso che l’accertamento della sussistenza di un possesso ad usucapionem va effettuata non in astratto, ma con riferimento alla specifica destinazione economica del bene posseduto deducono che nel caso di specie (concernente terreni, con annessi fabbricati di servizio, aventi specifica destinazione agricola) la coltivazione del fondo corrispondeva all’esercizio del diritto di proprieta’, risultando conforme alla qualita’ e destinazione del bene posseduto. Ancora, ad avviso dei ricorrenti, la prova del c.d. corpus possessionis deve ritenersi idonea a fondare la presunzione di sussistenza dell’animus possidendi, gravando sull’intestatario del fondo l’onere della prova contraria.
Con il secondo motivo, riferito all’articolo 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti lamentano la contraddittorieta’ della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, deducendo come la sentenza, da un lato, correttamente escluda che le attivita’ poste in essere dal sig. (OMISSIS) sul fondo di sua proprieta’ fossero idonee ad interrompere il possesso ad usucapionem e, d’altro lato, contraddittoriamente qualifichi tali attivita’ come espressive di un potere di controllo, custodia e sorveglianza sul bene in capo al proprietario.
L’intimato (OMISSIS) non ha spiegato attivita’ difensiva.
La causa e’ stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 24 settembre 2019, per la quale i ricorrenti hanno depositato una memoria.
Il primo motivo di ricorso va disatteso. L’assunto del ricorrente secondo cui “ai fini della prova del possesso di un fondo, utile per l’usucapione, la sua coltivazione e’, di per se’, manifestazione di una attivita’ corrispondente all’esercizio della proprieta’” (pag. 7, ultimo capoverso del ricorso) contrasta, infatti, con il recente orientamento della seconda sezione civile di questa Corte che – superando i difformi precedenti rappresentati dalle sentenze nn. 7500/06 e 15446/07 – ha chiarito che “ai fini della prova degli elementi costitutivi dell’usucapione – il cui onere grava su chi invoca la fattispecie acquisitiva – la coltivazione del fondo non e’ sufficiente, perche’, di per se’, non esprime, in modo inequivocabile, l’intento del coltivatore di possedere, occorrendo, invece, che tale attivita’ materiale, corrispondente all’esercizio del diritto di proprieta’, sia accompagnata da univoci indizi, i quali consentano di presumere che essa e’ svolta uti dominus” (cosi’ Cass. n. 17376/18; conformi Cass. n. 18215/13). Tale piu’ recente orientamento va condiviso, con la precisazione che l’accertamento del corpus possessionis e’ accertamento di fatto, che il giudice di merito deve operare caso per caso/ esaminando l’intero reticolo dei poteri concretamente esercitati su un bene; cosicche’ nel relativo apprezzamento non ci si puo’ limitare a considerare l’attivita’ di chi si pretende possessore (nella specie, la coltivazione del fondo) ma e’ necessario considerare anche il modo in cui tale attivita’ si correla con il comportamento del proprietario.
Correttamente, quindi, la corte territoriale, ha preso in considerazione i poteri di controllo ed ingerenza concretamente esercitati dal proprietario e, sulla base di tale considerazione, e’ pervenuta al giudizio di fatto – non censurabile in cassazione se non sotto il profilo, non dedotto nel motivo di ricorso in esame, dell’omesso esame di fatto decisivo – che nella specie la attivita’ di coltivazione svolta sul fondo non manifestava, in capo a chi la esercitava, un potere di fatto corrispondete all’esercizio del diritto dominicale.
Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile – perche’, alla stregua del vigente testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, il vizio di contraddittoria motivazione non e’ piu’ contemplato come motivo di ricorso per cassazione (cfr. Cass. n. 23940/17) – e, comunque infondato; determinati comportamenti del proprietario di un fondo possono contribuire a definire la situazione di fatto in termini incompatibili con la sussistenza di un altrui possesso su tale fondo, pur quando tali comportamenti non possano essere ricondotti al novero degli atti interruttivi dell’usucapione.
Il ricorso va quindi rigettato.
Deve altresi’ darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, del raddoppio del contributo unificato Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 13, comma 1 quater, se dovuto.
Non vi e’ luogo a regolazione di spese, in mancanza di attivita’ difensiva dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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