Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 24 luglio 2019, n. 20040.
La massima estrapolata:
L’art. 1012 comma 2 c.c. è una norma eccezionale, che non ammette interpretazione analogica, il cui ambito di applicazione è limitato alle sole azioni proposte dell’usufruttuario e non si estende a quelle proposte dal proprietario
Sentenza 24 luglio 2019, n. 20040
Data udienza 18 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11009/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1566/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA deposita il 20/03/2013;;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/09/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per la parziale inammissibilita’ o comunque il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega depositata in udienza dell’avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno agito innanzi al tribunale di Roma – sezione distaccata di Tivoli – per sentir dichiarare esente da servitu’ di condotta o scolo il loro terreno in (OMISSIS), nei confronti del fondo confinante di (OMISSIS) e (OMISSIS), con regolamento dei confini e condanna generica al risarcimento dei danni.
2. Sulla resistenza di (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno eccepito il difetto di legittimazione degli attori per essere soltanto nudi proprietari del fondo, essendosi riservati l’usufrutto i loro danti causa (OMISSIS) e (OMISSIS), il tribunale di Tivoli – nel frattempo istituito – con sentenza n. 621 del 2005 ha rigettato la domanda in negatoria, ma ha regolato i confini sulla base di c.t.u., disponendo l’eliminazione di uno sconfinamento con rimozione di una recinzione.
3. Avverso detta sentenza (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto appello in via principale, mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno avanzato impugnazione incidentale, insistendo i primi per la dichiarazione di difetto di legittimazione attiva degli originari attori e per il difetto di legittimazione passiva di essi originari convenuti, chiedendo altresi’ condanna ex articolo 96 c.p.c. e i secondi per l’accoglimento della negatoria con risarcimento dei danni.
4. Con sentenza n. 1566 depositata il 20 marzo 2013 la corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello principale e accolto l’appello incidentale con riconoscimento del danno da sconfinamento, liquidato in Euro 500 oltre interessi, e accertamento dell’esenzione del fondo degli originari attori da servitu’, con condanna degli originari convenuti alla rimozione di allaccio a pozzetto.
5. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di tre motivi successivamente illustrati da memoria, cui hanno resistito (OMISSIS) e (OMISSIS) con controricorso.
6. Con ordinanza in data 16 maggio 2018 questa corte, su conformi conclusioni scritte del p.g., ha disposto la rimessione del procedimento dalla sede camerale, cui era stato originariamente devoluto, a quella della pubblica udienza celebratasi in data odierna.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Deve notarsi in via preliminare che il ricorso risulta proposto dal solo (OMISSIS), in assenza dell’altro nudo proprietario del fondo oggetto di negatoria e regolamento di confini, (OMISSIS).
In argomento, rileva questa corte che, dovendo essere il ricorso disatteso per le ragioni di cui in prosieguo, la corte stessa e’ esentata dal valutare le questioni processuali in ordine alla regolarizzazione del contraddittorio, ovvero comunque relative all’esercizio di facolta’ defensionali da parte di eventuale intimando, dovendo farsi applicazione del principio della “ragione piu’ liquida”, in base al quale – quand’anche dei relativi adempimenti sussistesse effettiva necessita’ – la loro effettuazione pur nell’ininfluenza sull’esito del giudizio sarebbe lesiva del principio della ragionevole durata del processo (v. Cass. sez. U. n. 26373 del 2008; sez. U, n. 6826 del 2010; n. 2723 del 2010; n. 15106 del 2013; sez. U, n. 23542 del 2015).
2. Con il primo motivo si denuncia violazione degli articoli 101 e 102 c.p.c. e degli articoli 949, 950 e 1012 c.c.. Si lamenta avere ingiustamente la corte d’appello ritenuto (OMISSIS) e (OMISSIS) legittimati ad agire in negatoria e regolamento di confini, pur essendo meri nudi proprietari del fondo preteso libero da pesi e dal confine incerto; parimenti erroneamente la corte d’appello non avrebbe integrato il contraddittorio nei confronti degli usufruttuari. Si lamenta altresi’ il difetto di legittimazione passiva del ricorrente, siccome non titolare di fondo dominante.
2.1. Il motivo impone la trattazione separata delle due censure che esso sviluppa.
2.2. Quanto alla contestazione della legittimazione passiva, le deduzioni del ricorrente muovono nel senso che, in base agli accordi tra gli originari titolari dei lotti su cui sono edificati i villini, la servitu’ lamentata grava non solo sul fondo dei signori (OMISSIS) – (OMISSIS), ma anche su quello del ricorrente (p. 11 del ricorso), il quale quindi non si pretende dominante, trattandosi di una rete di interconnessioni ed allacci.
2.3. La censura e’ infondata. Nessuna erronea applicazione di norme giuridiche puo’ infatti ascriversi ai giudici d’appello che con l’impugnata sentenza (p. 4 e 5) hanno ben chiarito, anche in base alle risultanze di c.t.u., trattarsi di una diramazione di acque impure che, partendo da un pozzetto in proprieta’ dell’odierno ricorrente e di (OMISSIS), si immette nel pozzetto degli attori; benche’ si tratti di un pozzetto ispettivo e di una deviazione, la corte d’appello ha chiarito che tale situazione costituisce esercizio di una servitu’ senza titolo. Non rileva che sussista un quadro preesistente di servitu’ reciproche, non essendo emerso che il tratto contestato rientrasse nell’ambito delle servitu’ in questione. Inoltre, la corte d’appello ha chiarito come si tratti di un nuovo peso rispetto ai tratti delle fognanti rilevate dal c.t.u. (p. 5 della sentenza impugnata).
2.4. Quanto all’altro profilo di censura dedotto con il primo motivo, concernente l’asserita erroneita’ della sentenza per avere ritenuto (OMISSIS) e (OMISSIS) legittimati ad agire in negatoria e regolamento di confini, pur essendo meri nudi proprietari del fondo preteso libero da pesi e dal confine incerto, escludendosi anche il sussistere di litisconsorzio nei confronti degli usufruttuari, va notato che con il terzo motivo si reitera, sotto il profilo della nullita’ della sentenza o del procedimento, la doglianza di violazione delle norme in tema di integrazione del contraddittorio.
2.5. Ne deriva che il primo motivo, per il profilo restante, e il terzo possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono infondati.
2.6. Il ricorrente basa la sua tesi essenzialmente su profili riguardanti l’esercitata azione negatoria, e non quella di regolamento di confini, in ordine alla quale ultima non sono svolte specifiche deduzioni in tema di legittimazione attiva ed eventuale litisconsorzio per il caso che, sul fondo vicino, coesistano diritti reali non omogenei, cioe’ una comunione impropria, in particolare tra nudo proprietario e usufruttuario. Alle questioni in tema di negatoria vede quindi questa corte ristretta la propria cognizione. E’ appena il caso di notare che, viceversa, la corte d’appello ha basato la propria motivazione piu’ sulla considerazione dei profili afferenti all’azione di regolamento di confini (“le azioni a difesa della proprieta’, quale quella di regolamento di confini, ben possono essere esercitate dal nudo proprietario”, senza ulteriori riferimenti alla tematica evocata in relazione all’articolo 1012 c.c.). Pur a fronte di cio’, trattandosi di problematica essenzialmente processuale, nel cui ambito non si da’ omessa pronuncia, questa corte di legittimita’ e’ comunque chiamata a verificare se sussista il concreto vizio lamentato, che peraltro correttamente ha evocato la parte ricorrente quale violazione dell’articolo 102 c.p.c., seppure in relazione alle norme sostanziali riguardanti l’azione negatoria e l’usufrutto.
2.6.1. L’argomentazione sostenuta dal ricorrente, dunque smentita sub silentio dalla corte d’appello, trae spunto da una proposta applicazione analogica dell’articolo 1012 c.c., comma 2, articolo di legge anch’esso indicato quale norma violata. Detto articolo, mentre
al comma 1 disciplina l’obbligo dell’usufruttuario (e la responsabilita’ per i danni in caso di omissione) di far denuncia al proprietario delle usurpazioni e delle offese delle ragioni del proprietario stesso commesse da terzi, al comma 2 prescrive che “l’usufruttuario puo’ far riconoscere l’esistenza delle servitu’ a favore del fondo o l’inesistenza di quelle che si pretende di esercitare sul fondo medesimo; egli deve in questi casi chiamare in giudizio il proprietario”. La norma e’ emblematica di quelle (v. articolo 2900 c.c.) che, nel nostro ordinamento, impongono il litisconsorzio necessario con il soggetto legittimato all’azione (nel caso in esame, il proprietario) in collegamento con il riconoscimento da parte del legislatore in capo a un diverso soggetto (nel caso in esame, l’usufruttuario), altrimenti non legittimato, di una legittimazione straordinaria.
2.6.2. Benche’ le parti non lo abbiamo ricordato, la giurisprudenza di questa corte ha chiarito la ratio dell’articolo 1012 c.c., comma 2, relativa alle azioni negatorie e confessorie esercitate dall’usufruttuario e, confrontata la fattispecie con quella, solo apparentemente speculare, delle azioni in questione esercitate dal nudo proprietario, ha affermato che non vi e’ identita’ di ratio e, quindi, non vi e’ luogo per l’applicazione analogica della disposizione in parola in tema di litisconsorzio necessario tra soggetti in comunione impropria come innanzi descritta sul fondo interessato da cause concernenti servitu’. Da tale approdo, pur nelle dissonanti opinioni della dottrina, non vi e’ ragione per discostarsi alla luce dell’argomento che lo sorregge.
2.6.3. In particolare, questa corte ha ritenuto che l’onere di chiamare in giudizio il nudo proprietario, posto dall’articolo 1012 c.c., a carico dell’usufruttuario che intenda esercitare l’azione confessoria o negatoria a tutela del fondo gravato dall’usufrutto, trae la sua giustificazione dal particolare contenuto, assai ristretto nel tempo e nelle facolta’, che caratterizza l’estensione di tale diritto nei confronti della proprieta’ e dalla correlativa esigenza di evitare la formazione di giudicati la cui inopponibilita’ al nudo proprietario, derivante dalla sua mancata partecipazione al giudizio, contrasterebbe con la finalita’ di accertare una conditio o qualitas fundi cui i giudicati stessi sono preordinati. Cio’ corrisponde a una precisa scelta del legislatore del 1942, che – di fronte alla giurisprudenza formatasi nel silenzio del codice del 1865, che ammetteva i soggetti titolari di diritti reali non omogenei ad agire isolatamente in negatoria e confessoria, con formazione del giudicato pero’ relativamente solo a chi fosse stato parte in causa (e quindi con temporaneita’ della res iudicata se nei confronti dell’usufruttuario, e con sospensione della stessa sino all’estinzione dell’usufrutto, se nei confronti del nudo proprietario) volle evitare, per le sole azioni promosse da o contro l’usufruttuario, date le predette connotazioni del diritto, l’efficacia temporanea del giudicato.
2.6.4. Tale esigenza non ricorre, invece, nella diversa ipotesi in cui le suddette azioni siano promosse da o contro il nudo proprietario, con la conseguenza che, in tal caso, non e’ necessaria la partecipazione al giudizio dell’usufruttuario del fondo passivamente o attivamente gravato dalla servitu’ (cosi’ Cass. n. 1375 del 1971 che richiama la n. 1291 del 1961). Invero, facendo applicazione della dottrina dei limiti soggettivi della cosa giudicata, tale giurisprudenza ha continuato ad ammettere, come in precedenza, che, se l’azione confessoria o negatoria venga proposta direttamente da o contro il nudo proprietario, senza che al giudizio partecipi l’usufruttuario, gli effetti del giudicato si producono, ma non possono essere lesivi dei diritti di quest’ultimo. Solo apparentemente si tratta di una “sospensione” di tali effetti nei confronti dell’usufruttuario (detta giurisprudenza concede che, ad esempio, l’eventuale condanna alla demolizione di una costruzione esistente sul fondo gravato dall’usufrutto non potra’ essere eseguita prima che tale diritto sia cessato), trattandosi di una “sospensione” dei soli effetti lesivi, in quanto, anche durante il decorso dell’usufrutto, il predetto giudicato e’ immediatamente produttivo degli effetti non lesivi di quel diritto, potendo, ad esempio, evitare la prescrizione di una servitu’ negativa per inerzia dell’usufruttuario, ovvero l’usucapione di una servitu’ di prospetto a carico del fondo sul quale insiste l’usufrutto (cosi’ Cass. cit.).
2.6.5. Detto indirizzo, a quanto consta ripreso e condiviso in epoca piu’ prossima da Cass. n. 7541 del 2002 (non massimata, la quale pronuncia peraltro, poi, ha affermato il litisconsorzio necessario sul lato passivo di nudo proprietario e usufruttuario del fondo su cui si chieda costituzione di servitu’ coattiva), e’ stato ribadito in via di obiter dictum quantomeno da Cass. n. 20845 del 2014 (in materia di servitu’ coattiva costituita da usufruttuario) e n. 11765 del 2002.
2.6.6. La considerazione delle peculiarita’ dell’usufrutto, quale diritto reale limitato nel tempo e nelle facolta’, ha portato la giurisprudenza di questa corte a escludere l’applicazione analogica dell’articolo 1012 c.c., comma 2, oltre che al caso della negatoria esercitata dal nudo proprietario, il cui diritto e’ emblematicamente assai esteso, anche alle fattispecie di negatoria proposta:
– dal superficiario, atteso che la superficie puo’ essere perpetua ed attribuisce al superficiario facolta’ dominicali piene e stabili (cosi’ Cass. n. 23593 del 2013 che ha escluso l’obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti del dominus soli, essendo la posizione di questi diversa da quella del nudo proprietario per quanto detto);
– dall’enfiteuta, in ragione degli ampi poteri del medesimo sul bene, che si estendono sino alla disposizione del diritto di enfiteusi e al diritto potestativo di affrancazione dell’immobile (cosi’ Cass. n. 12169 del 2002, che parimenti dunque ha escluso il litisconsorzio).
2.6.7. Questa corte, poi, ha ritenuto specificamente legittimato passivo alle negatorie il solo nudo proprietario (Cass. n. 12948 del 2015, cui si rinvia per richiami), potendo in tali casi l’usufruttuario intervenire volontariamente ad adiuvandum.
2.6.8. In definitiva, questa corte ha fatto dell’articolo 1012 c.c., comma 2, applicazione quale norma eccezionale, che non ammette interpretazione analogica, cosi’ finendo per limitarne l’ambito alle sole azioni proposte dell’usufruttuario (cosi’ Cass. n. 3004 del 1981 e 2968 del 1976), nel cui ambito rientrano, quali negatorie, le azioni ex articolo 844 c.c. (cosi’ Cass. n. 1404 del 1979). A tale principio – cui va qui assicurata continuita’ – si e’ attenuta la sentenza impugnata, pur senza esporre troppo ampiamente le ragioni della decisione, comunque corretta in diritto e da ritenersi integrata dalla presente, con infondatezza delle doglianze.
3. Resta da esaminare il secondo motivo, con cui si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, indicato nel dato per cui il pozzetto di scolo sarebbe stato realizzato ben prima che il ricorrente acquistasse il proprio fondo da (OMISSIS), dato adeguatamente dimostrato; la decisivita’ sarebbe da individuarsi nel fatto che la servitu’ si sarebbe costituita per destinazione del padre di famiglia, restando escluso che si trattasse di nuova servitu’.
3.1. La doglianza e’ inammissibile.
3.2. Invero l’odierno ricorrente, appellante in seconde cure, aveva l’onere di indicare nel motivo di ricorso le modalita’ con cui la questione della costituzione della servitu’ per destinazione del padre di famiglia fosse stata portata all’attenzione del giudice d’appello, oltre che prospettata in primo grado. Anche la sentenza impugnata non fa menzione della deduzione. Non puo’ pertanto che pervenirsi a ritenere il motivo inammissibile.
4. Dovendo in conclusione rigettarsi il ricorso, le spese del giudizio di legittimita’ vanno regolate secondo soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 cit., comma 1-bis.
P.Q.M.
la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 4.000 per compensi, oltre accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto del sussistere dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 cit., comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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