SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I
SENTENZA 17 dicembre 2012, n.23202
Ritenuto in fatto
Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado relativa allo scioglimento del matrimonio contratto da M.F. e C.M. in data …, la Corte d’Appello di Milano ha eliminato l’obbligo del padre di versare alla moglie Euro 850 mensili a titolo di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne G.M. , confermando la sentenza del Tribunale in ordine al contributo al mantenimento di C.M. determinato in Euro 700 mensili. Quest’ultima statuizione si è fondata: a) sulla diversa situazione patrimoniale e reddituale delle parti; b) sulla considerazione che tale diversità evidenzi l’inadeguatezza della C. a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio; c) sul rilievo che la condizione economica di M.F. abbia subito un miglioramento a causa della cessazione del contributo al mantenimento del figlio.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione M.F. affidandosi a tre motivi. Ha resistito con controricorso C.M. . Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
Nel primo motivo viene censurata la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma sesto, della L. n. 898 del 1970 così come modificato dall’art. 10 della L. n. 74 del 1987, per avere la Corte d’Appello fondato la decisione sull’attribuzione e determinazione dell’assegno di mantenimento in favore della C. esclusivamente sul rilevato squilibrio patrimoniale e reddituale, ritenuto sintomatico dell’inadeguatezza, ancorché attenuata, rispetto al passato, della coniuge divorziata a conservare soltanto con il proprio reddito il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. A giudizio del ricorrente, lo squilibrio indicato, peraltro fondato su una differenza fondata soltanto su cespiti immobiliari, non può essere assunto come criterio esclusivo ma deve essere filtrato dagli altri criteri determinativi; dell’assegno medesimo quali le ragioni della decisione, il i contributo personale ed economico, la durata del matrimonio. Le ragioni della censura sono così espresse nel seguente quesito di diritto:
‘se ai fini della determinazione dell’assegno divorzile la motivazione possa, in difformità della previsione dell’art. 5, comma sesto, della L. n. 898 del 1970, come modificato dall’art. 10 L. n. 74 del 1987, omettere totalmente l’esame e l’applicazione dei ‘presupposti’ e dei ‘criteri’ previsti in detta norma limitandosi a privilegiare un solo profilo di valutazione’.
Nel secondo motivo viene censurata la medesima norma sotto lo specifico profilo della mancata considerazione del criterio delle ‘ragioni della decisione’ nella determinazione dell’assegno divorzile. In particolare il ricorrente lamenta la mancata ammissione dei capitoli di prova orale, (riguardanti circostanze apprese dopo la sentenza di separazione giudiziale, disposta senza addebito, e non considerate in sede di giudizio di separazione), volti a dimostrare che le cause dell’irreversibile fallimento del legame coniugale sarebbero state da attribuirsi in via esclusiva alla propria moglie, la quale avrebbe contratto matrimonio al solo fine di conseguire una rendita parassitarla. Il motivo viene così sintetizzato dal seguente quesito di diritto: ‘Se sia consentito, in presenza di prova di nuove circostanze di fatto, mai formulate nella fase di separazione perché venute a conoscenza del deducente solo in epoca successiva al passaggio in giudicato di quella sentenza, suscettibili ove provate, di incidere sulla complessiva valutazione di cui all’art.5, comma sesto, legge divorzio novellata, dichiarare la richiesta inammissibile per intervenuto passaggio in giudicato della sentenza di separazione senza addebito, stante il diverso fine dell’accertamento di cui alla citata norma rispetto a quello in sede di separazione’.
Nel terzo motivo, viene censurata sotto il profilo del vizio di motivazione, la determinazione in 700 Euro mensili del contributo al mantenimento dell’ex coniuge C.M. , invece che in 500, come stabilito nel provvedimento presidenziale assunto nel primo grado di giudizio. La riduzione fino a tale importo era stata giustificata, secondo il ricorrente, in virtù del miglioramento del reddito della C. , condizione che si era conservata anche al tempo della sentenza di divorzio sia di primo che di secondo grado. L’aumento contestato, era stato, invece, fondato sull’incremento reddituale, conseguito dal M. a causa della sopravvenuta cessazione dell’obbligo di corrispondere un contributo al mantenimento del figlio, ma tale circostanza, secondo il ricorrente non poteva essere ritenuta un normale e prevedibile sviluppo della capacità reddituale dell’obbligato, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, ma doveva qualificarsi un evento autonomo, connesso ad una circostanza occasionale ed eccezionale, come tale non valutabile in sede di determinazione dell’assegno di divorzio.
Nel primo motivo la parte ricorrente ritiene che illegittimamente alla luce di tutti i criteri indicati nell’art. 5, sesto comma della L. n. 898 del 1970 non sia stato escluso il diritto della controricorrente all’assegno di divorzio dal momento che nella sentenza impugnata si sarebbe tenuto conto, soltanto, ed in modo illegittimo, del criterio cosiddetto assistenziale da ritenersi, nella specie, recessivo rispetto a quello delle ragioni della decisione e della durata del matrimonio, fino all’esclusione dell’esistenza del diritto all’assegno. Peraltro, nello svolgimento del motivo, viene riconosciuto che il diritto all’assegno di divorzio sì fonda sull’accertamento comparativo della mancanza di mezzi adeguati del coniuge richiedente e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, con riferimento al tenore di vita goduto durante il matrimonio mentre gli altri criteri, indicati dall’art. 5, sesto comma, possono incidere esclusivamente sulla determinazione dell’ammontare del contributo. Il motivo, oltre ad essere esposto in modo intrinsecamente contraddittorio e mediante l’indicazione solo generica degli altri criteri applicabili in sede di accertamento del diritto all’assegno di divorzio, è infondato. Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, non è necessario che il giudice dia adeguata giustificazione di tutti i parametri di riferimento, potendo valorizzare e ritenere prevalente quello basato sulle condizioni economiche delle parti (Cass. 9876 del 2006; 7601 del 2011). Nella specie, la Corte d’appello, con una valutazione delle circostanze di fatto incensurabile in sede di legittimità, richiamando la sentenza del tribunale, ha concentrato l’attenzione sul profilo incidente sull’esistenza delle condizioni per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento, sottolineando lo squilibrio patrimoniale e reddituale dei coniugi, ancorché attenuato dalle migliorate condizioni economiche dell’avente diritto, ma comunque persistente grazie anche al miglioramento economico dell’obbligato, determinato dalla cessazione del contributo per il mantenimento del figlio, senza trascurare di esaminare le ‘ragioni della decisione’, specificamente indicate dall’appellante, ritenendole, tuttavia, nella specie non operanti, per le ragioni oggetto di specifica censura nel secondo motivo. In questo motivo, strettamente correlato al primo, viene, infatti, censurata la valutazione d’irrilevanza del criterio delle ‘ragioni della decisione’ (art. 5, comma sesto, 1. 898 del 1970; come modificato dall’art. 10 L. 74 del 1987), operata dalla Corte d’Appello. Al riguardo, occorre ribadire che, secondo il consolidato orientamento di questa sezione, le ‘ragioni della decisione’ al pari degli altri criteri indicati nella norma sopracitata possono incidere esclusivamente ai fini della concreta determinazione del’assegno, come elementi ‘di moderazione del suo ammontare’ (Cass.12382 del 2005). ma non al fine di escluderne l’an, la cui valutazione è fondata sulla verifica in concreto della sussistenza del criterio assistenziale. Nella specie, la sentenza impugnata ha preso in considerazione l’invocato criterio delle ‘ragioni della decisione’, escludendone però il rilievo, sulla base delle circostanze di fatto dedotte dalla parte appellante, in quanto relative a comportamenti risalenti ad un periodo di piena vigenza del vincolo coniugale (1989-1994), nettamente anteriore all’instaurazione del giudizio di separazione e, conseguentemente ampiamente considerato nella decisione, passata in giudicato, che ha pronunciato la separazione giudiziale dei coniugi, rigettando la domanda di addebito. La Corte d’Appello di Milano ha mostrato di aderire al costante e più recente orientamento di questa sezione secondo il quale, quando la sentenza di separazione si è pronunciata specificamente sull’addebito, escludendolo, o ponendolo a carico di entrambi i coniugi, al fine di far valere, in sede di determinazione dell’assegno di divorzio ‘le ragioni della decisione’, ovvero la responsabilità esclusiva o prevalente di uno dei coniugi nella definitiva cessazione del vincolo coniugale, occorre dedurre circostanze successive all’accertamento passato in giudicato che abbia statuito sull’assenza o la reciprocità di tale responsabilità. Nella pronuncia n. 10210 del 2005, essendo stata la separazione giudiziale pronunciata con addebito ad entrambi i coniugi, la Corte ha ritenuto che in assenza di specifiche deduzioni delle parti relative al comportamento dei coniugi successivo alla separazione, il criterio medesimo dovesse essere considerato sostanzialmente privo di valore orientativo ai fini della quantificazione dell’assegno di divorzio. Il medesimo principio è espresso nella sentenza n. 15055 del 2000 (ed in precedenza, in Cass. 3712 del 1980; 3549 del 1981), invocata a contrario nel secondo motivo di ricorso. In tale pronuncia, ancora più rilevante, ai fini dell’ampiezza del principio, in quanto la decisione sulla separazione era priva della domanda sull’ addebito, è stato espressamente affermato che ‘il criterio delle ‘ragioni della decisione’ previsto dall’art. 5 della legge n. 898 del 1970 se per un verso postula una indagine sulla responsabilità del fallimento del matrimonio in una prospettiva comprendente l’intero periodo della vita coniugale, e quindi in una valutazione che attenga non soltanto alle cause determinative della separazione, ma anche al successivo comportamento dei coniugi che abbia concretamente costituito un impedimento al ripristino della comunione spirituale e materiale ed alla ricostituzione del consorzio familiare, per altro verso deve essere inteso nel senso che il comportamento dei coniugi anteriore alla separazione resta pur sempre separato ed assorbito dalla salutazione effettuata al riguardo dal giudice della separazione”. La sentenza di separazione, in linea generale, costituisce, in conclusione, uno spartiacque nella valutazione della rilevanza delle circostanze che in sede di quantificazione dell’assegno di divorzio, possono essere allegate a sostegno della riconducibilità della irreversibile cessazione del vincolo coniugale ad uno solo dei coniugi. Il principio, ormai consolidato da oltre un decennio, chiarisce la portata del precedente orientamento riscontrabile in alcune pronunce (5874 del 1981; 3520 del 1983, 11978 del 1992 e la più recente 13060 del 2002), nelle quali risulta affermato, dalla lettura delle massime ufficiali, che, ai fini della valutazione del cosiddetto criterio risarcitorio, si deve far riferimento alla responsabilità del fallimento matrimoniale che tenga conto dell’intera durata del vincolo. In realtà, nelle pronunce citate, la Corte intende sottolineare la necessità di non omettere la valutazione dei comportamenti successivi alla separazione al fine di accertare quali comportamenti abbiano determinato il definitivo impedimento al ripristino della comunione coniugale. In conclusione, rilievo centrale, anche in queste pronunce, viene attribuito alla fase successiva alla separazione dei coniugi al fine di valutare l’applicabilità, in fase di quantificazione dell’assegno di divorzio, del criterio fondato sulle ‘ragioni della decisione’, mentre nella specie, il ricorrente ha richiesto l’ammissione di mezzi di prova volti a dimostrare la medesima tipologia di comportamenti, intervenuti in piena costanza di matrimonio, che, secondo la stessa prospettazione del ricorso, avrebbero dovuto determinare la pronuncia di addebito, esclusa, con sentenza passata in giudicato, dal giudice della separazione. Il secondo motivo, pertanto, deve essere rigettato, dovendosi ritenere che del tutto legittimamente la Corte d’Appello abbia escluso l’ammissibilità dei predetti mezzi di prova, ritenendo coperto dal giudicato sull’insussistenza dell’addebito l’accertamento richiesto.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. L’art. 366 bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile, essendo stata la sentenza impugnata, depositata il 19/11/2008, richiede, come indicato nella sentenza n. 16258 del 2008 delle Sezioni Unite di questa Corte, che siano specificamente indicati i fatti controversi in relazione ai quali la motivazione sì assume carente, e che siano indicati i profili di rilevanza di tali fatti, non essendo sufficiente enunciare la necessaria esaustività della motivazione quale premessa maggiore del sillogismo che dovrebbe portare alla soluzione del problema giuridico, senza indicare la premessa minore (cioè i fatti rilevanti su cui vi sarebbe stata omissione) ‘e svolgere il successivo momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza della censura’. Nella specie il motivo, rivolto esclusivamente a richiedere una diversa valutazione della circostanza di fatto, non controversa, relativa alla sopravvenuta eliminazione del contributo mensile al mantenimento del figlio, difetta radicalmente del momento di sintesi richiesto a pena d’inammissibilità dall’art. 366 bis cod. proc. civ. citato.
Le spese del presente procedimento seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente procedimento che liquida in Euro 2500 oltre accessori di legge.
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