Eccesso di potere giurisdizionale

Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Ordinanza 14 giugno 2019, n. 15992.

La massima estrapolata:

Come ribadito dalla Consulta con sentenza n. 6/2018, l’eccesso di potere giurisdizionale denunciabile in Cassazione si riferisce ai soli casi di difetto assoluto di giurisdizione, con invasione della sfera riservata all’amministrazione o al legislatore o, al contrario, con arretramento basato sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto di giudizio, e di difetto relativo di giurisdizione, con insorgenza di conflitto sugli ambiti di competenza dei diversi giudici.
Non sono invece sindacabili le sentenze cd. “abnormi” o “anomale”, che derivino cioè da uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento anche quando ciò determini una pronuncia extra o ultra petita con violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Ordinanza 14 giugno 2019, n. 15992

Data udienza 18 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f.

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di sez.

Dott. GRECO Antonio – Consigliere

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 2573-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, in persona del Presidente pro tempore, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 6083/2017de1 CONSIGLIO DI STATO, depositata il 27/12/2017;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 6083 del 2017 la Quinta Sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato accoglieva l’impugnazione proposta dal Ministero della giustizia avverso la decisione di primo grado del TAR Lazio – che aveva accolto, con sentenza pronunciata ai sensi dell’articolo 60 c.p.a., il ricorso proposto da (OMISSIS) volto ad ottenere l’annullamento della Delib. Consiglio superiore della magistratura 26 febbraio 2016 che aveva nuovamente annullato d’ufficio la precedente Delib. stesso Consiglio 17 novembre 2010 di dispensa dal servizio del ricorrente per infermita’ – e per l’effetto, in riforma della decisione gravata, respingeva l’originario ricorso affermando che, in ordine alla deduzione di illegittimita’ dell’accertamento effettuato da medici privati libero professionisti, non sussisteva alcun principio di infungibilita’ della relativa competenza specialistica rispetto all’esito di quello svolto dalla Commissione medica di Brindisi, dovendosi – di converso – ritenere possibile che l’Amministrazione procedente potesse avvalersi del supporto specialistico di un diverso collegio, formato anche da medici privati, specie in un procedimento di autotutela attivato proprio per l’esistenza di dubbi sull’attendibilita’ del primo accertamento sanitario, come occorso nella specie, purche’ dotato di capacita’ tecnica equipollente. Del resto le diverse pronunce favorevoli al Dott. (OMISSIS) avevano accertato solo vizi di natura procedimentale o formale, che non precludevano il riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione, con adozione di provvedimento anche dello stesso contenuto.
Avverso tale sentenza il (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso. Attivato il procedimento camerale ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c., introdotto, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, articolo 1-bis, comma 1, lettera f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 (applicabile al ricorso in oggetto ai sensi del medesimo Decreto Legge n. 168 del 2016, articolo 1-bis, comma 2), la causa e’ stata riservata in decisione.
In prossimita’ dell’adunanza camerale parte controricorrente ha depositato memoria illustrativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la erroneita’ della sentenza impugnata per diniego di giurisdizione per avere il Consiglio di Stato travisato i fatti, con connessa violazione del principio della domanda e dei limiti dei poteri processuali previsti per il giudice di appello.
Nella sostanza il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia affermato di voler aderire alla tesi esposta nella decisione n. 1463/2016, secondo cui il parere sanitario puo’ essere emesso anche da medici privati di fiducia dell’Amministrazione, e cio’ indipendentemente dal fatto che il giudice di prime cure si fosse attenuto al giudicato costituito dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 2014, che in recepimento del conforme parere del Consiglio di Stato n. 709/2014, in accoglimento del ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto dallo stesso (OMISSIS) aveva annullato il provvedimento imputato per inosservanza delle garanzie procedimentali, compresa la questione inerente la competenza esclusiva delle commissioni sanitarie pubbliche ad emettere parere sanitario ai fini della dispensa dal servizio, e pur riconoscendo che la tesi adombrata nella sentenza n. 1463 costituiva un mero obiter dictum. In tal senso il Consiglio di Stato – ad avviso del ricorrente – avrebbe consapevolmente scelto di violare il giudicato, con conseguente grave sconvolgimento delle norme di rito (articolo 324 c.p.c. richiamato dall’articolo 39 c.p.a.) e con ricadute sui limiti esterni di giurisdizione per essersi il giudice amministrativo di appello, benche’ consapevole che il suo potere giurisdizionale sul punto era ormai consumato, per essere stato gia’ deciso, deliberatamente sottratto alla limitazione del suo potere.
Il ricorrente, inoltre, lamenta la violazione dell’articolo 97 e 111 Cost. in relazione all’articolo 6 CEDU ed ai principi di correttezza e buona fede, per avere il Consiglio di Stato, dopo due giudicati di annullamento, per la terza volta negato al ricorrente il bene della vita richiesto. Inoltre lamenta la violazione della L. n. 241 del 1990, articolo 21 nonies come modificato dalla L. n. 124 del 2015, per non avere la pronuncia impugnata argomentato alcunche’ sul notevole ritardo denunciato rispetto all’azione del Ministero della giustizia, che omettendo di eseguire la Delib. CSM di dispensa dal servizio del 17 ottobre 2010, gli aveva impedito di conseguire il trattamento pensionistico collegato.
Il motivo e’ inammissibile.
Osserva il Collegio che il ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato, ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 8, e dell’articolo 362 c.p.c. e articolo 110 c.p.a., e’ ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione e, secondo la costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite, e’, quindi, esperibile solo nel caso in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato l’ambito della giurisdizione in generale, esercitando la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalita’ amministrativa, oppure, al contrario, negando la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non possa formare oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale, ovvero qualora abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione (pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale; o negandola o compiendo un sindacato di merito, pur trattandosi di materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo controllo di legittimita’ degli atti amministrativi, e invadendo arbitrariamente il campo dell’attivita’ riservato alla P.A.: v., ex plurimis, Cass., Sez. Un., 23 luglio 2015, n. 15476; Cass., Sez. Un., 29 dicembre 2017, n. 31226; Cass., Sez. Un., 30/03/2018, n. 8047).
La censura all’esame pone la questione relativa alla possibilita’ di configurare un concetto piu’ ampio di giurisdizione, che consentirebbe a queste Sezioni Unite di sindacare non solo le norme sulla giurisdizione che individuano i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quelle che stabiliscono i limiti della forma di tutela attraverso l’interpretazione di una pronuncia assunta in violazione di asserito giudicato, nei casi in cui la violazione dello stesso comporta un diniego di giustizia, evocandosi, in sostanza il concetto di giurisdizione, c.d. “dinamico” (o “funzionale” o “evolutivo”).
Le Sezioni Unite hanno escluso un siffatto approccio avendo ritenuto sindacabile la violazione di legge (sostanziale e/o processuale) in relazione alla giurisdizione solo qualora sia conseguenza di un’interpretazione “abnorme o anomala” (Cass., Sez. Un., 20 maggio 2016 n. 10501), ovvero di uno “stravolgimento” (Cass., Sez. Un., 17 gennaio 2017 n. 956) delle “norme di riferimento” (di rito o di merito, Cass., Sez. Un., 17 gennaio 2017 n. 964; Cass. 11 maggio 2017 n. 11520).
Infine la Corte costituzionale, con la sentenza n. 6 del 2018, ha chiarito che la concezione c.d. dinamica o evolutiva della giurisdizione “non e’ compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale” (ex articolo 111 Cost., commi 7 e 8) e, in una prospettiva di sistema, mette in discussione la scelta di fondo dei costituenti dell’assetto pluralistico delle giurisdizioni.
Secondo la Consulta, il rifiuto di giurisdizione sindacabile e’ solo quello “in astratto” e giammai “in concreto”, pena l’invasione nella nomofilachia del giudice di vertice della giurisdizione speciale, cui solo e’ rimessa la cognizione degli errores in iudicando o in procedendo. A norma dell’articolo 111 Cost., comma 8, quale supremo organo regolatore della giurisdizione, la Cassazione puo’ soltanto vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia, ma non puo’ vincolarli sotto alcun profilo quanto al contenuto (di merito o di rito) di tale decisione (v. Corte Cost. 12 marzo 2007 n. 77).
Con la pronuncia n. 6 del 2018, la Consulta ha, quindi, affermato che l'”eccesso di potere giudiziario”, denunziabile con il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, “va riferito… alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioe’ quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (c.d. invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non puo’ formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (c.d. arretramento); nonche’ a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici”. “Il concetto di controllo della giurisdizione, cosi’ delineato nei termini puntuali che ad esso sono propri – ha aggiunto la Corte costituzionale – non ammette soluzioni intermedie come quella… secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento””. Ha infatti precisato il Giudice delle leggi che “attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravita’ del vizio e’, su piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive”. La Consulta ha, quindi, affermato che, “alla stregua del cosi’ precisato ambito di controllo sui “limiti esterni” alla giurisdizione, non e’ consentita la censura di sentenze con le quali il giudice amministrativo o contabile adotti un’interpretazione di una norma processuale o sostanziale tale da impedire la piena conoscibilita’ del merito della domanda”.
Cosi’ precisato il contenuto del sindacato esperibile in questa sede, alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale richiamata, e ponendo l’attenzione sull’eccesso di potere giurisdizionale conseguente ad un preteso error in procedendo, si osserva che, in coerenza con la concezione dell’eccesso di potere giurisdizionale esplicitata dalla Consulta e accolta da queste Sezioni Unite, queste ultime hanno gia’ avuto modo di escludere che lo stesso sia integrato quando, ad esempio, abbia dato luogo ad una pronuncia che abbia comportato una pronuncia ultra o extra petita e, quindi, un difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Cass., Sez. un., 9 giugno 2006 n. 3433; Cass., Sez. Un., 4 ottobre 2012 n. 16849; Cass., Sez. Un., 22 aprile 2013 n. 9687) ovvero l’interpretazione del giudicato, interno ed esterno, sotto tutti i possibili profili, dalla sua omessa interpretazione alla valutazione del suo contenuto, nonche’ dei presupposti, ed alla sua efficacia, con i conseguenti limiti (Cass., Sez. Un., 30 marzo 2017 n. 8245).
Ritiene il Collegio che, in applicazione dei sopra richiamati principi, non sussiste, nella specie, il denunciato vizio, in quanto il ricorso prospetta un errore nel quale sarebbe incorso il Consiglio di Stato nel qualificare la domanda rispetto alle pronunce gia’ intervenute fra le medesime parti, oltre che nell’applicazione del principio del “tantum devolutum quantum appellatum”, che non possono essere ricondotti alla concezione di eccesso di potere giurisdizionale sopra riportata, trattandosi di error in procedendo, e, in quanto tali, non investono la sussistenza ed i limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo, ma solo la legittimita’ dell’esercizio del potere medesimo.
In ultima analisi, anche esaminando la censura come attinente alla violazione del giudicato, essa non puo’ essere dedotta come motivo di ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione avverso decisioni del Consiglio di Stato, in quanto anche sotto detto profilo non attiene al superamento dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo, ma sempre ad “error in procedendo” (cfr Cass., Sez. Un., 21 novembre 2008 n. 27618), riguardando comunque la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice amministrativo, sicche’ resta estranea al controllo ed al superamento dei limiti esterni della giurisdizione.
Peraltro, la radicale irriconducibilita’ alla sopra delineata concezione del vizio denunciato impedisce ogni approfondimento in ordine alla correttezza dell’interpretazione dell’asserito giudicato operata, nella specie, dal Consiglio di Stato, dal momento che lo stesso ricorrente riconosce che il Decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 2014 e’ stato esaminato dal giudice di appello, fornendone una propria interpretazione (peraltro cosi’ riportata nella sentenza impugnata: “perche’ emessa senza l’osservanza delle garanzie di partecipazione che lo stesso CSM ritiene essenziali per il valido svolgimento della procedura diretta ad accertare l’inidoneita’ del magistrato allo svolgimento delle funzioni e perche’ adottata in violazione delle prescrizioni di cui al combinato disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articoli 71, 129 e 130pplicabili anche al procedimento di dispensa dal servizio dei magistrati, in forza delle quali il magistrato avrebbe avuto diritto ad un termine per presentare eventuali osservazioni, alla sottoposizione a visita medico-collegiale con diritto di assistenza di un sanitario di fiducia, all’audizione. Tali garanzie erano mancate nel caso di specie, avendo il Consiglio superiore della magistratura conferito ad un unico professionista privato l’incarico di esaminare la documentazione medica presente nel fascicolo”).
Infine, del tutto priva di pertinenza rispetto al giudizio introdotto ai sensi dell’articolo 362 c.p.c. appare l’ulteriore doglianza relativa al lamentato ritardo dell’Amministrazione nell’adozione dei provvedimenti richiesti dal ricorrente.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la erroneita’ della sentenza impugnata per avere pronunciato relativamente ad appello incidentale subordinato mai proposto dal ricorrente.
Anche siffatta censura e’ inammissibile, giacche’ sotto l’apparente aspetto di difetto di giurisdizione per superamento dei limiti esterni, la parte prospetta in sostanza una violazione di legge commessa dal Consiglio di Stato nell’esercizio del potere giurisdizionale nel valutare il contenuto dell’atto di appello non consentita in questa sede.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate e prenotande a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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