Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 3 maggio 2019, n. 11737.

La massima estrapolata:

In tema di equa riparazione da irragionevole durata di un processo civile conclusosi innanzi alla Corte di cassazione con una decisione di rigetto del ricorso o di inammissibilità o di decisione nel merito, ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 4 della l. n. 89 del 2001 – il cui “dies a quo” è segnato dalla definitività del provvedimento conclusivo del procedimento nell’ambito del quale si assume verificata la violazione – occorre avere riguardo alla data di deposito della decisione della Corte, quale momento che determina il passaggio in giudicato della sentenza, a ciò non ostando la pendenza del termine per la revocazione ex art. 391 bis c.p.c.

Ordinanza 3 maggio 2019, n. 11737

Data udienza 28 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 16542-2018 proposto da:
(OMISSIS), quale difensore di se’ stesso, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
MINISTERO GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositato il 14/11/2017;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;
Letta la memoria illustrativa depositata dal ricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al presidente della Corte di Appello di Cagliari depositato il 22/5/2017, (OMISSIS) chiese, ai sensi della L. n. 89 del 2001, la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata di un giudizio civile iniziato dinanzi al Tribunale di quella citta’ con atto di citazione dell’8 ottobre 2001, cui fu successivamente riunito altro giudizio iniziato con atto di citazione del 5 novembre dello stesso anno.
Il Consigliere designato emise decreto n. 38/2017, col quale accolse la domanda e, ritenendo che il processo civile aveva ecceduto di nove anni (nei tre gradi di giudizio) la ragionevole durata, ingiunse al Ministero il pagamento in favore dello (OMISSIS), a titolo di indennizzo, della somma di Euro 5.300,00, da maggiorarsi con gli interessi legali dalla domanda al saldo.
2. Avverso tale decreto, il ricorrente propose opposizione, ai sensi della L. n. 89 del 200, articolo 5-ter.
Con un primo motivo, dedusse che erroneamente la Corte di Appello aveva ritenuto l’ammissilita’ del ricorso da lui proposto: tale ricorso – a suo dire – avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, in quanto, al momento della proposizione dello stesso, era ancora pendente il termine per impugnare per revocazione, ai sensi dell’articolo 391-bis c.p.c., la sentenza della Corte di Cassazione che aveva definito il giudizio presupposto. Con un secondo motivo di opposizione, dedusse poi l’erronea quantificazione dell’indennizzo in rapporto alla complessita’ della causa.
Con decreto del 14 novembre 2017, la Corte d’Appello di Cagliari, in composizione collegiale, rigetto’ l’opposizione.
Quanto al primo motivo, la Corte territoriale rilevo’ che la sentenza della Corte di Cassazione che aveva definito il giudizio presupposto – rigettando il ricorso proposto avverso la sentenza d’appello – era insuscettibile di impugnazione per revocazione alla data in cui lo (OMISSIS) aveva proposto la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, essendo a quella data gia’ decorso il termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza previsto dal nuovo testo dell’articolo 391-bis c.p.c., come modificato dalla novella di cui al Decreto Legge n. 31 agosto 2016 n. 168 (convertito dalla L. 25 ottobre 2016 n. 197), applicabile ratione temporis. In ogni caso, osservo’ la Corte di Cagliari territoriale, il rigetto del ricorso per cassazione determina il passaggio in giudicato delle sentenze impugnate col ricorso; conseguentemente, avendo lo (OMISSIS) proposto domanda di equo indennizzo dopo la pronuncia della Corte di cassazione che aveva respinto il ricorso avverso la sentenza di appello che aveva definito il giudizio presupposto, sussisteva la definitivita’ del provvedimento richiesta dalla L. 89 del 2001, articolo 4, ai fini della proponibilita’ della domanda.
Quanto al secondo motivo di opposizione, con il quale lo (OMISSIS) aveva contestato la quantificazione dell’indennizzo sull’assunto che fosse eccessivamente restrittiva, osservo’ la Corte distrettuale che, tenuto conto della media complessita’ della causa, era da reputarsi congrua la somma riconosciuta nel decreto opposto, essendosi anche provveduto alle maggiorazioni del 20% e del 40% legate alla progressiva durata del processo.
3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di due motivi.
Il Ministero ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 391-bis c.p.c. e articolo 395 c.p.c., n. 4, anche in rapporto all’articolo 124 disp. att. c.p.c., nonche’ dell’articolo 112 c.p.c., articolo 132 c.p.c., n. 4, articolo 277 c.p.c. e articolo 111 Cost, comma 6.
Secondo il ricorrente, la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere applicabile, alla fattispecie in esame, il testo dell’articolo 391-bis c.p.c. introdotto dalla novella del 2016, disposizione che – invece – sarebbe inapplicabile ratione temporis per essere stata la sentenza della Corte di Cassazione deliberata all’esito dell’udienza del 27/9/2016, ossia in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge. La Corte territoriale, inoltre, avrebbe errato nel ritenere che si possa formare il giudicato in pendenza del termine per proporre ricorso per revocazione ai sensi dell’articolo 391-bis c.p.c.; sul punto, il decreto impugnato sarebbe nullo per difetto di motivazione, in quanto lo stesso avrebbe ignorato le ragioni addotte dal ricorrente.
Rileva il Collegio come la censura risulti inammissibile sotto plurimi profili.
1.1. Innanzitutto, la censura risulta inammissibile per difetto di interesse. Con il motivo in esame, infatti, lo (OMISSIS) punta ad ottenere la declaratoria della improponibilita’ della domanda di equa riparazione da lui stesso proposta, per essere stata la stessa avanzata prima della conclusione del procedimento presupposto.
E’ evidente che lo (OMISSIS) non ha interesse ad ottenere la rimozione di una pronuncia a lui favorevole, con la quale gli e’ stato riconosciuto l’equo indennizzo richiesto e con la quale il Ministero della Giustizia e’ stato condannato a corrispondergli la somma di Euro 5.300,00, oltre agli interessi legali.
1.2. Oltre carenza di interesse appena evidenziata, esiste poi un’altra ragione di carenza di interesse alla proposizione della censura in esame, tale da determinarne la inammissibilita’, essendo venuta meno – gia’ prima della proposizione del ricorso per cassazione qui scrutinato (notificato il 14/5/2018) – la rilevanza giuridica della questione sottoposta col motivo.
E infatti, il ricorrente non ha considerato gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale 26/04/2018 n. 88 (pubblicata sulla G.U. del 2/5/2018)
Con tale pronuncia, il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della L. 24 marzo 2001, n. 89, articolo 4, come sostituito dal Decreto Legge n. 22 giugno 2012, n. 83, articolo 55, comma 1, lettera d), (convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134) nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.
Per effetto di tale pronuncia e della caducazione in parte qua, con effetto ex tunc, della detta L. n. 89 del 2001, articolo 4, e’ ora possibile avanzare domanda di equa riparazione anche durante la pendenza del processo presupposto.
Stante l’attuale possibilita’, derivante dalla richiamata declaratoria di illegittimita’ costituzionale, di proporre domanda di equa riparazione anche in pendenza del giudizio presupposto, e’ divenuta ora del tutto irrilevante la questione dedotta col motivo circa la irrevocabilita’ o meno del provvedimento che ha definito tale giudizio (in ordine alla necessita’ di dover tenere conto anche in sede di legittimita’ degli effetti della declaratoria di incostituzionalita’ della L. n. 89 del 2001, articolo 4, cfr. Cass. n. 3205/2019), risultando la domanda ex L. n. 89 del 2001 comunque proponibile.
1.3. Nonostante che le ragioni dianzi esposte risultino gia’ sufficienti per ritenere la palese inammissibilita’ del motivo, il Collegio ritiene di dover esaminare comunque il merito della censura, al fine di valutare funditus se la condotta processuale della parte configuri un abuso del processo.
Ora, entrando nel merito della prima questione sottoposta col motivo, ossia la pretesa inapplicabilita’ del nuovo testo dell’articolo 391-bis c.p.c. (introdotto dalla novella di cui al Decreto Legge n. 31 agosto 2016 n. 168) e del piu’ breve termine di sei mesi (anziche’ di un anno) ivi previsto per proporre ricorso per revocazione avverso sentenza della Corte di cassazione, appare ictu oculi evidente come la censura risulti manifestamente infondata per il fatto di non confrontarsi con la norma transitoria che accompagna la detta novella.
Com’e’ noto, il Decreto Legge n. 31 agosto 2016 n. 168, articolo 1-bis, comma 2, (inserito dalla legge di conversione 25 ottobre 2016 n. 197), nel dettare la disciplina transitoria, ha stabilito che “Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonche’ a quelli gia’ depositati alla medesima data per i quali non e’ stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio”.
Poiche’ la legge di conversione del Decreto Legge n. 168 del 2016 e’ entrata in vigore il 30/10/2016 (giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 254 del 29/10/2016) e poiche’ in quella data non era venuta ancora ad esistenza la sentenza della Corte di Cassazione (pubblicata solo il successivo 22/11/2016) che ha definito il giudizio presupposto e suscettibile di essere impugnata per revocazione ai sensi dell’articolo 391-bis c.p.c. (nessun rilievo puo’ assumere in proposito la data della camera di consiglio nella quale la sentenza e’ stata deliberata), ne deriva contrariamente a quanto assume il ricorrente – che il termine lungo per proporre la revocazione ex articolo 391-bis c.p.c. va individuato, nel caso di specie, in quello di sei mesi previsto dal nuovo testo della disposizione, e non in quello annuale previsto dal precedente testo.
1.4. Il motivo poi risulta inammissibile, ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 1, laddove punta a negare che la sentenza della Corte di cassazione abbia determinato la definitivita’ della pronuncia che ha definito il giudizio presupposto.
La sentenza impugnata e’, sul punto, conforme alla giurisprudenza della Corte e il motivo non offre elementi per mutare l’orientamento.
E invero, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (formatasi prima della declaratoria di illegittimita’ costituzionale in parte qua della L. n. 89 del 2001, articolo 4, di cui alla sentenza della Corte Cost. n. 88 del 2018), “In tema di equa riparazione da irragionevole durata di un processo civile conclusosi innanzi alla Corte di cassazione con una decisione di rigetto (o inammissibilita’ o decisione nel merito) del ricorso, ai fini della decorrenza del termine di cui alla L. n. 89 del 200, articolo 4 – il cui “dies a quo” e’ segnato dalla definitivita’ del provvedimento conclusivo del procedimento nell’ambito del quale si assume verificata la violazione – occorre avere riguardo alla data di deposito della decisione della Corte, quale momento che determina il passaggio in giudicato della sentenza, a cio’ non ostando la pendenza del termine per la revocazione, ex articolo 391 bis c.p.c.” (ex plurimis, Cass., Sez. 6 – 2, n. 63 del 03/01/2017; Sez. 6 – 2, n. 21863 del 05/12/2012).
Il ricorrente non ha offerto argomenti per mutare orientamento; anzi, non si e’ neppure rapportato a tale giurisprudenza, ne’ ha tenuto conto della precisa motivazione del decreto impugnato sul punto (p. 3), del quale, denunciando una inesistente nullita’ per mancanza della motivazione, non ha colto la ratio decidendi.
Sul punto, va osservato che la L. n. 89 del 2001, articolo 4 – prima dell’intervento della Corte costituzionale di cui si e’ detto – subordinava la proponibilita’ della domanda di equa riparazione alla definitivita’ della decisione conclusiva del giudizio presupposto. Tale pronuncia, tuttavia, andava individuata, non – come assume il ricorrente – nella pronuncia della Corte di cassazione di rigetto del ricorso, ma in quella di merito che risultata convalidata da tale rigetto.
Invero, la sentenza impugnata col ricorso per cassazione passa in cosa giudicata con la mera pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione che rigetta o dichiara inammissibile il ricorso.
Cio’ e’ quanto stabilisce, d’altra parte, la stessa disposizione dell’articolo 391 bis c.p.c., comma 5, (che non e’ stata modificata sul punto ne’ dal Decreto Legislativo n. 2 febbraio 2006 n. 40, ne’ dal piu’ recente Decreto Legge n. 31 agosto 2016 n. 168 e dalla relativa legge di conversione 25 ottobre 2016 n. 197) laddove dispone che “La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto”. Di tal che e’ nella stessa lettera della legge che la pronuncia della Corte di cassazione che rigetta o dichiara inammissibile il ricorso determina la definitivita’ della sentenza di merito che ha definito il giudizio nel quale si assume essersi verificata la violazione del principio della ragionevole durata del processo.
In altre parole, la pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione che rigetti o dichiari inammissibile il ricorso avverso la pronuncia che ha definito il giudizio presupposto determina ipso facto il passaggio in giudicato di tale pronuncia, senza che rilevi la pendenza del termine per impugnare la sentenza della Corte Suprema per revocazione.
Non puo’ esservi dubbio, pertanto, sulla manifesta infondatezza dell’assunto del ricorrente secondo cui la pendenza del termine per proporre ricorso per revocazione ai sensi dell’articolo 391 bis c.p.c. impedirebbe la formazione del giudicato.
2. Col secondo motivo di ricorso, si denuncia ancora la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, articolo 2-bis (come modificato dalla L. n. 228 del 2015 in relazione alla misura dell’equo indennizzo) ed ulteriori plurime violazioni di legge, per avere i giudici di merito liquidato un indennizzo in misura non adeguata alla natura del giudizio presupposto, il cui oggetto aveva risvolti non meramente economici, ma anche personali (trasferimento disciplinare di magistrato amministrativo), cosicche’ – a dire del ricorrente – si imponeva il riconoscimento di un indennizzo in misura superiore a quella liquidata.
Anche questa censura e’ inammissibile, risolvendosi in una doglianza di merito, non proponibile in sede di legittimita’.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’e’ ragione di discostarsi, in tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, articolo 2-bis, relativo alla misura ed ai criteri di determinazione dell’indennizzo, rimette al prudente apprezzamento del giudice di merito – sindacabile in sede di legittimita’ nei soli limiti ammessi dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati, da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto, orientando il quantum della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nel comma 2 della stessa disposizione, che appaiano maggiormente significativi nei caso specifico (Cass., Sez. 6-2, n. 14974 del 16/07/2015; Cass., Sez. 6-2, n. 3157 del 01/02/2019).
Invero, lo scrutinio e la valutazione degli elementi della fattispecie, necessari per formulare il giudizio sulla sussistenza e sulla entita’ del patema d’animo derivato dalla durata irragionevole del processo, e la conseguente determinazione dell’entita’ dell’indennizzo, purche’ entro il minimo ed il massimo di legge, integrano un tipico accertamento in fatto e costituiscono esercizio di potere discrezionale del giudice, cosicche’ la decisione del giudice dell’equa riparazione sul punto non e’ sindacabile in sede di legittimita’ quando la motivazione della decisione non sia apparente e sia esente da manifesta illogicita’.
Nella specie, i giudici di merito hanno spiegato le ragioni della loro decisione; la motivazione del decreto impugnato sul punto e’ esente da vizi logici e giuridici, rimanendo cosi’ insindacabile in sede di legittimita’.
Ne’ il ricorrente, col motivo in esame, ha lamentato l’omesso esame di alcun fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
3. In definitiva, risultando inammissibili entrambi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
4. Avuto riguardo alla palese iinammissibilita’ e alla manifesta infondatezza dei motivi, il Collegio ritiene che la condotta processuale del ricorrente e’ connotata da colpa grave ed integra un abuso del processo (secondo la nozione enucleata da Cass., Sez. Un., n. 22405 del 13/09/2018; v. anche Cass., Sez. 1, n. 29462 del 15/11/2018; Sez. 3, n. 10327 del 30/04/2018; Sez. 3, n. 19285 del 29/09/2016), per il quale va comminata la sanzione di cui all’articolo 96 c.p.c., u.c., applicabile ratione temporis, mediante condanna del ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della controparte.
5. La Corte rileva ancora che la memoria difensiva depositata dallo (OMISSIS) in prossimita’ della adunanza camerale contiene – precisamente alla pag. 2, sub D/1) ed alla pag. 9 sub E) – apprezzamenti del tutto “irrituali” in ordine alla proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c.. Va disposto, pertanto, che copia di tale memoria, unitamente a copia della presente ordinanza, siano trasmesse, a cura della cancelleria, al Consiglio Nazionale Forense ed al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari, per le valutazioni di loro competenza sotto il profilo disciplinare.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al rimborso, in favore del Ministero della Giustizia, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito; condanna (OMISSIS), ex articolo 96 c.p.c., u.c., al pagamento, in favore del Ministero della Giustizia, della ulteriore somma di Euro 2.000,00.
Manda alla Cancelleria di trasmettere copia della presente ordinanza e della memoria depositata dal ricorrente ex articolo 380-bis c.p.c. datata 18/02/2019 al Consiglio Nazionale Forense ed al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari per quanto di loro competenza.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *