Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 15 aprile 2019, n. 2435.
La massima estrapolata:
Nel processo amministrativo la parte che non abbia depositato la memoria conclusionale può comunque depositare la memoria di replica.
Sentenza 15 aprile 2019, n. 2435
Data udienza 19 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8158 del 2018, proposto da
Ca. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto come in atti;
contro
Consorzio In. de. No. de. Se. al. pe. (C.S.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Gr., Gi. Ra., Ni. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ni. Pa. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda n. 453/2018, resa tra le parti, concernente il risarcimento del danno ex art. 124 c.p.a. conseguente alle sentenze n. 1236/2015 del TAR Piemonte e n. 697/2016 del Consiglio di Stato, con le quali è stata dichiarata la illegittimità della aggiudicazione alla C.I. (Consorzio In. Tr.) della gara per l’affidamento del trasporto disabili al Centro Diurno socio- terapeutico ri. di No. Li. dal 1.5.2013 al 30.4.2015;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consorzio In. de. No. de. Se. al. pe. (C.S.);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 marzo 2019 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati Gi. Ga., Na. Pa. su delega dichiarata di Ni. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Piemonte, la società Ca. S.r.l. ha chiesto il risarcimento del danno derivante dall’illegittima aggiudicazione della gara bandita dal Consorzio In. de. No. dei servizi alla persona – C.S. per l’affidamento del servizio di trasporto disabili al centro diurno so. di No. Li..
L’illegittimità di tale aggiudicazione, già pronunciata dal TAR per il Piemonte con sentenza n. 1236/2015, era stata confermata con la sentenza di questa Sezione n. 697/2016; tale decisione, però, era intervenuta quando il servizio era ormai esaurito.
La parte ricorrente, con il ricorso ex art. 124 c.p.a. aveva chiesto il risarcimento del danno da perdita di “chance” e da “danno curriculare”; nel giudizio di primo grado aveva quantificato il danno, mediante perizia di parte, in Euro 79.875,39.
2. – Con la sentenza impugnata il TAR ha accolto il ricorso nei seguenti termini:
– ha riconosciuto il risarcimento del danno da perdita di chance, liquidando in via equitativa la somma di Euro 10.000, pari alla differenza tra la base d’asta e l’offerta economica proposta dalla società ricorrente, che aveva presentato un’offerta in aumento;
– ha negato il risarcimento del danno curriculare per mancanza di prova.
3. – Avverso tale sentenza la società ricorrente ha proposto appello chiedendone la riforma.
3.1 – Con memoria del 14 febbraio 2019 l’appellante ha insistito nelle proprie tesi difensive chiedendone l’accoglimento.
3.2 – In data 20 febbraio 2019 si è costituito il C.S. chiedendo il rigetto dell’appello; con memoria di replica del 25 febbraio 2019, ha eccepito, preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello rilevando che l’appellante non avrebbe contestato i capi della sentenza sui quali si fondava la liquidazione del danno.
Con la stessa memoria la parte appellata ha anche contestato le tesi difensive proposte dall’appellante, delle quali ha chiesto il rigetto.
3.3 – Con memoria di replica del 25 febbraio 2019, l’appellante ha chiesto lo stralcio della memoria di replica prodotta dalla parte appellata, in quanto depositata fuori termine.
4. – All’udienza pubblica del 19 marzo 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
5. – L’appello è infondato e va, dunque, respinto.
6. – Preliminarmente ritiene il Collegio di dover esaminare la richiesta di stralcio della memoria di replica depositata dalla parte appellata.
6.1 – Il C.S. si è costituito in giudizio il 20 febbraio 2019, oltre il termine di trenta giorni previsto dall’art. 73, comma 1, c.p.a. per il deposito della memoria difensiva; ha quindi depositato direttamente la memoria di replica giovandosi del termine di venti giorni previsto per le repliche.
L’appellante ha sostenuto che tale memoria sarebbe inammissibile, in quanto la memoria di replica sarebbe ammessa solo per replicare “ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dall’udienza” e non per controdedurre sugli atti della controparte.
6.2 – La tesi dell’appellante non può essere condivisa.
Nel processo amministrativo il termine di costituzione è ordinatorio, e quindi, la parte può costituirsi anche oltre il termine previsto per il deposito della memoria conclusionale svolgendo attività difensiva.
L’art. 73, comma 1, c.p.a. attribuisce alle parti la facoltà di depositare in giudizio memoria e successiva memoria di replica senza prevedere che la produzione di quest’ultima sia subordinata al deposito della prima, dal momento che in sede di replica si esercita il diritto al contraddittorio avverso le difese presentate dalle parti avverse (in tal senso, Cons. Stato, 31 agosto 2015, n. 4031).
Questo Consiglio di Stato ha precisato, di recente, che “Nel processo amministrativo, la parte che non abbia depositato la memoria conclusionale può comunque depositare la memoria di replica” (Cons. Stato sez. IV, 07/09/2018, n. 5277).
Nel caso di specie, la parte appellante ha depositato la memoria difensiva, sicchè la controparte ben poteva produrre quella di replica.
L’eccezione di inammissibilità della memoria di replica dell’appellato va, di conseguenza, respinta.
7. – Può prescindersi dalla disamina dell’eccezione di inammissibilità dell’appello tenuto conto della sua infondatezza.
7.1 – Nell’atto di appello l’appellante ha rilevato, innanzitutto, che la modalità della gara era ad “offerta libera” e che quindi era consentita anche l’offerta in aumento: essa aveva offerto la somma di Euro 199.937,09 a fronte di una base d’asta di Euro 190.000,00 ed era stata puntualmente ammessa alla gara.
L’aggiudicazione è stata annullata perché l’offerta vincente – di entità inferiore alla base d’asta – era avvenuta sulla base di un fatto distorsivo della concorrenza (l’acquisto dei mezzi per lo svolgimento del servizio con sovvenzioni pubbliche) che l’avevano avvantaggiata.
Nel giudizio di primo grado l’appellante aveva quantificato il danno da mancata aggiudicazione mediante consulenza tecnica stimandolo in Euro 79.976,26; quanto al danno curriculare l’aveva quantificato nel 10% dell’importo dell’appalto.
La stazione appaltante aveva contestato la quantificazione effettuata dalla parte avversaria computando il danno in Euro 22.211,09; in merito al danno curriculare aveva dedotto che non era stato provato.
8 – Con l’unico articolato motivo di impugnazione, l’appellante ha dedotto la doglianza di “Errata considerazione dei fati fattuali documentati, travisamento dei fatti e violazione dell’art. 115 c.p.c. – Mancata considerazione delle ammissioni del resistente; violazione dell’art. 2730 c.c.” rilevando che:
– il TAR avrebbe erroneamente considerato la gara come una procedura al ribasso, facendo assumere al rialzo effettuato dalla Ca. valenza probatoria in ordine all’entità del possibile guadagno;
– l’offerta, invece, sarebbe stata ad offerta libera, come emergerebbe dal bando di gara;
– la ratio sulla quale si fonda la sentenza appellata sarebbe quindi erronea;
– il danno, pertanto, avrebbe dovuto essere calcolato tenendo conto della perizia prodotta in giudizio dalla parte ricorrente, o quantomeno, prendendo in considerazione la somma di Euro 22.211,09 indicata dalla C.S. nella propria perizia, ovvero disponendo una consulenza tecnica d’ufficio;
– nella propria perizia prodotta in primo grado il danno sarebbe stato stimato tenendo conto dell’utile di impresa (al lordo delle imposte) non conseguito per il periodo di durata dell’appalto (dal 1° maggio 2013 al 30 aprile 2015); da tale valore sarebbero stati sottratti i costi per lo svolgimento del servizio senza alcuna decurtazione di quanto eventualmente derivante dall’applicazione del principio giuridico dell’aliunde perceptum vel percipiendum;
– quanto al danno curriculare, erroneamente il TAR l’avrebbe negato ritenendolo non provato, in quanto tale danno sarebbe in re ipsa e potrebbe essere calcolato in via equitativa nella misura del 10% dell’offerta presentata.
L’appellante ha quindi concluso chiedendo al Collegio di disporre, in via istruttoria, una CTU diretta alla concreta quantificazione dei danni e, quindi, la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno con interessi e rivalutazione monetaria.
9. – La doglianza non può essere condivisa.
9.1 – E’ opportuno richiamare innanzitutto i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 2/2017 in ordine alla quantificazione del danno da mancata aggiudicazione, secondo cui:
a) ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di aver sofferto;
b) nel caso di mancata aggiudicazione il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subì to dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto). Non è dubitabile, invero, che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), possa essere, comunque, fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti;
c) spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.);
d) la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno;
e) le parti non possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente tecnico d’ufficio;
f) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della “inferenza necessaria”), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in virtù della regola della “inferenza probabilistica”), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici;
g) va esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo);
h) anche per il c.d. danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somme liquidata a titolo di lucro cessante;
i) il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.
9.2 – Nel caso di specie il TAR ha ritenuto del tutto inattendibile la perizia presentata dalla società Ca. S.r.l., rilevando che conteneva errori palesi (come la doppia esposizione dei costi indiretti); la stessa stima dell’utile reclamato, pari al 38% del prezzo offerto doveva ritenersi palesemente inattendibile in quanto “fuori mercato”; l’inattendibilità di tale stima era ancora più evidente tenendo conto del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso (art. 7 del Capitolato di gara – Disciplinare del servizio, doc. n. 5 C.S.).
La presentazione di un’offerta in aumento in una gara da aggiudicarsi in base al criterio del prezzo più basso, può spiegarsi soltanto considerando non remunerativa la base d’asta; ed infatti come ha rilevato il TAR “questa è la tesi che stessa ricorrente sostiene ed ha sostenuto per contestare l’aggiudicazione in favore dell’originaria prima classificata”.
La società Ca., infatti, aveva ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione per condotta anticoncorrenziale dell’aggiudicatario sostenendo che la ditta avrebbe ottenuto l’aggiudicazione avendo potuto offrire il servizio mediante l’utilizzo di un mezzo acquistato con fondi pubblici; tale risparmio di spesa avrebbe comportato una compressione dei costi tale da consentirle di presentare un’offerta nei limiti della base d’asta; diversamente, infatti, non avrebbe potuto conseguire un serio margine di utile.
La partecipazione alla gara presentando un’offerta in aumento “esponendosi ad elevata probabilità di non conseguire l’aggiudicazione” (come ha rilevato il TAR) si giustifica in considerazione della ritenuta non remunerabilità del servizio nei limiti della base d’asta.
Da ciò discende l’evidente inattendibilità dell’indicazione di un utile del 38% contenuto nella perizia prodotta dalla società dinanzi al TAR.
9.3 – L’inattendibilità della stima dei danni operata dalla società appellante deriva, inoltre, anche dalla mancata valutazione dell’aliunde perceptum vel percipiendum: la giurisprudenza è consolidata nel ritenere, in base al principio della presunzione semplice, che il soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili e che, comunque, ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, sicché il comportamento inerte dell’impresa ben può assumere rilievo in ordine all’aliunde perceptum vel percipiendum. (cfr. Cons. Stato, A.P. n. 2/2017).
Ne consegue che la valutazione in ordine all’inattendibilità del computo dei danni effettuato dalla società Ca. resa dal TAR risulta del tutto condivisibile, né può assegnarsi natura confessoria alla consulenza di parte prodotta dalla CSP, trattandosi di mera perizia diretta a contestare i conteggi avversari.
9.4 – Tenuto conto dell’inattendibilità della consulenza di parte ricorrente, della difficoltà di computare in concreto l’entità del danno subito, e correlativamente della possibilità di ricorrere a dati presuntivi ai fini della quantificazione del danno, evitando di porre in essere un’attività di stima che avrebbe potuto dimostrarsi antieconomica, legittimamente il TAR ha percorso la strada della liquidazione in via equitativa, ritenuta ammissibile in un caso come quello in questione, nel quale era agevole e ragionevole stimare in via presuntiva il danno patito.
E’ opportuno ribadire, infatti, che sebbene la gara non prevedesse la clausola del divieto dell’offerta in aumento, indicava – nel contempo – come criterio di aggiudicazione quello del prezzo più basso: in tale situazione si appalesa del tutto logica e ragionevole la decisione del TAR di stimare la perdita subita, pari al mancato guadagno, prendendo come parametro (con i dovuti arrotondamenti) la differenza tra l’offerta economica in aumento e la base d’asta.
Peraltro, tale stima si appalesa perfino vantaggiosa per la parte appellante, tenuto conto che essa – per poter conseguire il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione nei termini in cui è stato richiesto – sarebbe stata onerata dalla prova relativa alla immobilizzazione dei mezzi durante la durata del servizio, e quindi alla loro mancata utilizzazione, prova che non è stata fornita (la perizia, infatti, non tiene conto dell’aliunde perceptum vel percipiendum).
9.5 – Infine, va rigettata la pretesa dell’appellante diretta ad ottenere il danno curriculare, tenuto conto che – come ha rilevato il TAR – e come ha precisato l’Adunanza Plenaria n. 2/2017, anche tale voce di danno deve essere provata dalla parte richiedente e non può essere liquidata in via presuntiva.
10. – In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va respinto, e per l’effetto, va confermata la sentenza appellata che ha respinto il ricorso di primo grado.
11. – Le spese del grado di appello possono tuttavia compensarsi tra le parti, in considerazione della particolarità della fattispecie.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, e per l’effetto, conferma la sentenza appellata che ha respinto il ricorso di primo grado.
Spese del grado di appello compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore
Giorgio Calderoni – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere
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