Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 13 marzo 2019, n. 7195.
La massima estrapolata:
In tema di revocatoria fallimentare, e in, caso di castelletto di sconto o fido per smobilizzo cediti, non sussiste la c.d. copertura di un conto corrente bancario, in quanto essi, a differenza del contratto di apertura di credito, non attribuiscono al cliente la facolta’ di disporre con immediatezza di una determinata somma di danaro, ma sono solo fonte, per l’istituto di credito, dell’obbligo di accettazione per lo sconto, entro un predeterminato ammontare, dei titoli che l’affidato presentera’; sicche’, ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, le rimesse effettuate su tale conto dal cliente hanno carattere solutorio ove, nel corso del rapporto, il correntista abbia sconfinato dal limite di affidamento concessogli con il diverso contratto di apertura di credito.
Resta da aggiungere – a fronte dell’asserita rilevanza, in proposito, di una “delibera dell’istituto” – che, di la’ da ogni altro rilievo, trattasi di un mero atto interno della Banca, che, in quanto tale, non possiede nessuna rilevanza di carattere negoziale. Per contro, per la configurazione di un “fido” rilevante ai fini della revocatoria (come discrimine, appunto, tra le rimesse ripristinatorie e le rimesse invece solutorie) la giurisprudenza di questa Corte fa riferimento esclusivo al fido che sia frutto di un apposito contratto intervenuto tra la Banca e il cliente.
Ordinanza 13 marzo 2019, n. 7195
Data udienza 24 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19393/2015 proposto da:
(OMISSIS) S.p.a., in persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento (OMISSIS) s.a.s., in persona del curatore Avvocato (OMISSIS) pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 538/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 20/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/01/2019 dal Consigliere Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTO E DIRITTO
1.- Nel corso del 2001, il Fallimento della s.a.s. (OMISSIS) e dei soci accomandatari (OMISSIS) e (OMISSIS), ha convenuto avanti si Tribunale di Sulmnna la s.p.a. (OMISSIS), per chiedere la revoca L. Fall., ex articolo 67, comma 2 (testo vigente all’epoca) di una serie di rimesse di conto corrente. La sentenza n. 303/2008 ha parzialmente accolto la domanda attorea.
La Banca ha impugnato la pronuncia avanti alla Corte di Appello di L’Aquila. Che, con sentenza depositata il 20 aprile 2015, ha parzialmente accolto l’impugnazione, riducendo il montante delle rimesse revocabili e per il resto confermando, invece, la decisione del primo giudice.
2.- Con riferimento al requisito della scientia decoctionis – di cui la Banca negava la sussistenza – la Corte abruzzese ha in particolare rilevato, riprendendo la valutazione del primo giudice, che i bilanci degli anni precedenti alla dichiarazione di fallimento (avvenuta nel 1995) mostravano evidente lo stato di decozione dell’impresa; e che risultavano altresi’ negativi gli “indici di tesoreria e di liquidita’”; e che, ancora, risultava un'”abnorme percentuale di effetti insoluti e “richiamati”, rispetto al totale dei titoli portati allo sconto”, come pure una dinamica di sconfinamento “molto consistente”.
Ha altresi’ riscontrato che nella specie tra le parti erano corsi due distinti contratti: un’apertura di credito per 500 milioni di Lire; e un castelletto bancario di sconto per ulteriori 500 milioni. E ne ha tratto la conseguenza di non poter dar corso al rilievo della Banca di ritenere il conto corrente senz’altro assistito da un fido pari a 1 miliardo di Lire, posto che il castelletto riguardava solo lo sconto di effetti.
Ha infine ritenuto corretta l’adozione – per l’accertamento del superamento del limite di fido al momento dell’effettuazione delle singole rimesse – del criterio del c.d. saldo disponibile, che la Banca aveva contestato.
3.- Avverso tale pronuncia ricorre la (OMISSIS), spiegando tre motivi di cassazione.
Resiste, con controricorso, il Fallimento.
4.- Il primo motivo di ricorso e’ intestato “violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., articolo 67, dei principi generali in tema di natura ripristinatoria delle rimesse effettuate su conto corrente unitamente a motivazione contraddittoria sul punto della verificazione delle relative circostanze (articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5). Nullita’ della sentenza o del procedimento (articolo 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 c.p.c., n. 5)”.
Nel merito, il motivo riprende il punto del limite di fido complessivamente concesso dalla Banca alla societa’ di poi fallita. Per assumere che “non e’ possibile aderire alla tesi prospettata dal Tribunale e ribadita dalla Corte, secondo la quale il castelletto di sconto si distingue da quello dell’apertura di credito”.
“Va da se'” – assume il motivo – “che nessuna effettiva differenza ricorre fra l’apertura di credito bancario regolata in conto corrente e l’apertura di credito “per crediti di firma” o “per castelletto”. Nella specie, poi, il conto corrente avrebbe dovuto essere considerato come “passivo” – non come “scoperto” -, posta l’esistenza di una “delibera” dell’istituto convenuto, per cui i rapporti derivati da entrambi i contratti (quello di apertura; quello di sconto) erano destinati comunque a rifluire su un unico conto corrente.
5.- Il motivo non puo’ essere accolto.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, “in tema di revocatoria fallimentare, e in, caso di castelletto di sconto o fido per smobilizzo cediti, non sussiste la c.d. copertura di un conto corrente bancario, in quanto essi, a differenza del contratto di apertura di credito, non attribuiscono al cliente la facolta’ di disporre con immediatezza di una determinata somma di danaro, ma sono solo fonte, per l’istituto di credito, dell’obbligo di accettazione per lo sconto, entro un predeterminato ammontare, dei titoli che l’affidato presentera’; sicche’, ai fini dell’esercizio dell’azione revocatoria, le rimesse effettuate su tale conto dal cliente hanno carattere solutorio ove, nel corso del rapporto, il correntista abbia sconfinato dal limite di affidamento concessogli con il diverso contratto di apertura di credito” (cosi’, da ultimo, Cass., 21 giugno 2017, n. 22597).
Resta da aggiungere – a fronte dell’asserita rilevanza, in proposito, di una “delibera dell’istituto” – che, di la’ da ogni altro rilievo, trattasi di un mero atto interno della Banca, che, in quanto tale, non possiede nessuna rilevanza di carattere negoziale. Per contro, per la configurazione di un “fido” rilevante ai fini della revocatoria (come discrimine, appunto, tra le rimesse ripristinatorie e le rimesse invece solutorie) la giurisprudenza di questa Corte fa riferimento esclusivo al fido che sia frutto di un apposito contratto intervenuto tra la Banca e il cliente.
6.- Il secondo motivo di ricorso risulta intestato “violazione o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. e della L. Fall., articolo 67 (articolo 360 c.p.c., n. 3). Nullita’ della sentenza o del procedimento (articolo 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 c.p.c., n. 5)”.
Nel merito, il motivo riguarda il requisito della scientia decoctionis. In proposito rileva in via filata il ricorrente che “incombe al curatore del fallimento l’onere di fornire la prova” della scientia; che la consulenza tecnica non e’ un mezzo di prova e che quella disposta nella specie aveva natura esplorativa; che, ai fini in discorso, la conoscenza puo’ essere provata per presunzioni, ma solo se gravi, precise e concordanti.
Cio’ posto, assume poi che la ” (OMISSIS) non puo’ avere esaminato il bilancio 1993 (e non puo’ quindi su di esso aver formato un proprio convincimento) in quanto non esistono delibere di revisione fidi dall’aprile 1994 all’agosto 19944″; e che i bilanci precedenti mostrano una “situazione aziendale migliorativa” rispetto al tempo anteriore.
7.- Il motivo non puo’ essere accolto.
Nei fatti, esso intende richiedere una nuova valutazione dei fatti e del materiale probatorio prodotto, cosi’ domandando un giudizio che e’ per contro rimesso all’attivita’ del giudice del merito; e che e’ sindacabile da questa Corte solo nei limiti della ragionevolezza e della plausibilita’ della motivazione sviluppata in proposito da detto giudizio.
Non v’e’ dubbio, d’altro canto, che la motivazione svolta in concreto dalla Corte abruzzese sia del tutto ragionevole e plausibile. Tutt’altro che limitata all’analisi dei bilanci (sopra, nel n. 2), la sentenza trae dall’esame di questi – sia di quello relativo all’esercizio del 1993, sia da quelli precedenti – dati estremamente significativi in proposito. Appare poi non attendibile che una banca non si preoccupi di esaminare i bilanci di clienti con significative posizioni di debito (come quello in questione), posto che un simile comportamento integrerebbe senz’altro la violazione del dovere di sana e prudente gestione posto dalla norma dell’articolo 5 TUB.
8.- Il terzo motivo di ricorso e’ intestato “omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 c.c., comma 1)”.
Nel merito, il motivo fa riferimento al saldo utilizzato dalla consulenza tecnica d’ufficio per la verifica in concreto del carattere solutorio oppure ripristinatorio delle singole rimesse affluite in conto.
Ad avviso del ricorrente, la “revocabilita’ delle rimesse e’ retta dal criterio di disponibilita’”. Si tratta, pero’, di “valutare quale sia il concetto di “disponibilita’” accoglibile secondo il sistema revocatorio”:
se un criterio convenzionale (“secondo il disposto dell’articolo 4 N. U.B.”) o forfetario o un criterio ancora diverso. Cio’ affermato, il motivo giunge a conclusione rilevando che “in assenza di scoperto, come nella fattispecie che ci occupa, a maggior ragione non puo’ esservi un successivo pagamento lesivo della massima”.
9.- Il motivo e’ inammissibile.
In effetti, lo stesso non individua e isola, prima di ogni altra cosa, un fatto materiale il cui esame sia stato trascurato dalla Corte di Appello. Nei fatti, il motivo si limita a ribadire quanto gia’ rilevato dal primo motivo.
10.- In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida nella somma di Euro 10.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi).
Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto dell’articolo 13, comma 1 bis.
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